Corporate Social Responsibility e Modelli ex d.lg. 231

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La Corporate Social Responsibility (CSR) è definibile quale “integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle pr

La Corporate Social Responsibility (CSR) è definibile quale “integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate” (Libro verde 2001 della Commissione europea).

In questa sede si intende svolgere qualche breve considerazione sul progetto “CSR-SC” del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che si fonda sul social statement; in particolare sulle possibili interrelazioni con il sistema dei Modelli di organizzazione, gestione e controllo ex d.lg. 231

Il S.S. deriva dall’analisi dei principali standard nazionali, europei ed internazionali: SA 8000, GRI, AA 1000, QRES, SEAN, GBS, SIGMA Project, London Benchmarking Group ecc.

Con questo progetto si vuole andare oltre il semplice rispetto della normativa, promuovendo una “cultura dalla responsabilità” all’interno del sistema industriale.

Vengono considerati tutti gli aspetti di un comportamento socialmente responsabile alla luce delle relazioni che l’organizzazione intrattiene con i suoi stakeholder.

In particolare sono individuate otto categorie di stakeholder:

-         risorse umane;

-         soci/azionisti/comunità finanziaria;

-         clienti;

-         fornitori;

-         partner finanziari;

-         Stato, enti pubblici e P.A.;

-         Comunità;

-         ambiente;

La realizzazione del social statement prevede la compilazione della SCHEDA ANAGRAFICA e  del SET DI INDICATORI

Nella scheda anagrafica viene, tra l’altro, richiesto all’impresa se ha adottato sistemi di gestione in materia di ambiente, qualità, sicurezza, gestione sociale e privacy.

Ad avviso di chi scrive si potrebbe comunicare l’adozione del “Modello 231” (ed allegarlo almeno in parte), in quanto trattasi di sistema di gestione del rischio di reato (facente parte del sistema di controllo interno), potenzialmente integrabile con gli altri sopra elencati

Vengono poi previsti alcuni indicatori: COMUNI (per tutte le imprese) e ADDIZIONALI (per le imprese di maggiori dimensioni, a partire da 50 dipendenti e, comunque per le società quotate).

Ci sono alcuni indicatori potenzialmente collegati all’ambito di operatività del d.lg. 231 – e, quindi, all’esistenza dei Modelli ex artt 6 e 7 - anche in prospettiva, che si riportano suddivisi per categoria di stakeholder:

  1. Risorse umane: sicurezza e salute sul luogo di lavoro – tutela dei diritti dei lavoratori
  2. Soci/azionisti: partecipazione dei soci al governo e tutela delle minoranze – investor relation
  3. Clienti: tutela privacy
  4. Fornitori: selezione – comunicazione, sensibilizzazione e informazione
  5. Partner: rapporti con banche, assicurazioni e società di servizi finanziari
  6. Stato: norme e codici per il rispetto della legge (auditing interno, verifiche di conformità e controlli ispettivi)

In particolare, all’interno di quest’ultimo indicatore: 6.3 Norme e codici etici per il rispetto della legge. L’indicatore in questione valuta l’esistenza di politiche esplicite e di sistemi di autocontrollo interno (adottati su base volontaria) per garantire il rispetto della legge: in questo ambito può rientrare il codice etico e il Modello 231, in quanto di non obbligatoria adozione.

  1. Comunità: relazioni con i media – prevenzione della corruzione

In particolare, all’interno di quest’ultimo indicatore: 7.6 Prevenzione della corruzione

L’indicatore valuta l’esistenza di politiche esplicite e di sistemi di autocontrollo interno per garantire che non si verifichino pratiche di corruzione e, più in generale, comportamenti non etici. Trattasi, come è noto, dello “zoccolo duro” del d.lg. 231

  1. Ambiente: strategia ambientale e relazioni con la comunità

Come è stato correttamente rilevato, “l’adozione da parte delle imprese di un codice di comportamento in linea con il disposto di cui al D.lgs.231/2001 è cosa diversa dall’instaurazione di un processo negoziale interno all’impresa, che porta la stessa ad adottare un codice etico condiviso da tutti gli stakeholder”.

Nel primo caso l’adozione e il rispetto del codice di condotta è legato alla forza deterrente che ha la sanzione prevista dalla norma (legal compliance), nel secondo caso l’adozione del codice etico, e soprattutto il rispetto delle prescrizioni in esso contenute, non sono assistiti dalla forza coercitiva dell’ordinamento giuridico, ma dal grado di adesione, alla norma etica (per condivisione del valore in essa espresso) da parte di ciascun stakeholder” (ethics compliance) (1).

(Maurizio Arena)

 

(1) Nobili, La responsabilita' sociale e la responsabilita' penale delle imprese, www.feem.it, 2003.

L’A. ritiene che l’intervento del legislatore del 2001 costituisca di fatto un grosso impulso (soprattutto per la media impresa) ad adottare codici di condotta: l’adozione degli stessi presuppone un’opera di monitoraggio delle attività a rischio di commissione dei reati previsti dal D.lgs.231/2001, ponendo il management di fronte alla necessità di monitorare i processi e le interrelazioni che caratterizzano la vita stessa dell’impresa. Solo alla fine di questo complesso processo di consultazione e di negoziazione l’impresa potrà adottare il proprio codice etico, che sarà veramente espressione dell’adozione di un modello di responsabilità sociale condiviso da tutto l’organigramma aziendale (e non una mera operazione di marketing aziendale).