Società tra professionisti e d.lg. 231

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Ha avuto notevole risonanza la notizia del decreto di sequestro preventivo emesso il 23 agosto dal GIP del Tribunale di Milano a carico del conto corrente di una Società tra Avvocati, per fatti di riciclaggio.

La Procura della Repubblica ha deciso di indagare, per quanto consta, anche la STP per l’illecito amministrativo previsto dal d.lg. 231/2001 (articolo 25-octies): in buona sostanza un avvocato-socio sarebbe concorso nel riciclaggio del cliente e, in questo modo, avrebbe procurato un profitto alla STP.
Pertanto, secondo il GIP, la STP deve rispondere anche patrimonialmente per il beneficio goduto grazie ai comportamenti (presunti) illeciti del professionista.
Mi premono due riflessioni.

All'associazione professionale o alla STP si applica il d.lg. 231?
Uno studio associato (che è associazione senza personalità giuridica) o - a maggior ragione - una società tra avvocati sembrano rientrare tra i soggetti collettivi ai quali si applica il d.lg. 231 (art 1).
Ma, a ben vedere, tali enti non svolgono funzioni di rilievo costituzionale (il che porterebbe alla loro esenzione dalla 231)?
Mi riferisco ovviamente al diritto di difesa, inviolabile, ex art 24 Cost, la cui tutela è rimessa all'avvocato.
Per ragioni analoghe (direi, anzi, meno "robuste") sono pacificamente esclusi dall'applicabilità del d.lg. 231 i partiti politici e i sindacati.
Sul tema - in campo sanitario - è intervenuta nel 2010 la Cassazione (21 luglio 2010, n. 28699), che ha precisato che

la ratio dell'esenzione è quella di preservare enti rispetto ai quali le misure cautelari e le sanzioni applicabili ai sensi del d.lg. n. 231 sortirebbero l'effetto di sospendere funzioni indefettibili negli equilibri costituzionali, il che non accade rispetto a mere attività di impresa. In realtà non può confondersi il valore - pur indubbiamente di spessore costituzionale - della tutela della salute con il rilievo costituzionale dell'ente o della relativa funzione, riservato esclusivamente a soggetti (almeno) menzionati nella Carta costituzionale (e su ciò dottrina costituzionalistica e giurisprudenza sono pacifiche); né può qualificare come di rilievo costituzionale la funzione di una s.p.a., che è pur sempre quella di realizzare un utile economico.

Secondo la Corte, supporre che basti - per l'esonero dal d.lg. n. 231 - la mera rilevanza costituzionale di uno dei valori più o meno coinvolti nella funzione dell'ente

è opzione interpretativa che condurrebbe all'aberrante conclusione di escludere dalla portata applicativa della disciplina un numero pressoché illimitato di enti operanti non solo nel settore sanitario, ma anche in quello dell'informazione, della sicurezza antinfortunistica e dell'igiene del lavoro, della tutela ambientale e del patrimonio storico e artistico, dell'istruzione, della ricerca scientifica, del risparmio e via enumerando valori (e non "funzioni") di rango costituzionale".

Dubito che il caso di specie possa rientrare pacificamente in questo ragionamento della Cassazione.
A mio avviso la questione dovrà essere rimeditata dalla S.C. alla luce del fatto che la STP ha sì fine di lucro ma nella sostanza è una particolare modalità associativa di avvocati che sono i soggetti che tutelano per conto del cliente il diritto di difesa sancito nella Costituzione.

Il riscontro del vantaggio illecito basta per sancire la responsabilità dell'ente?
In secondo luogo e, si direbbe, in via subordinata: se un socio, all'insaputa degli altri, versa sul conto della STP parcelle di provenienza illecita (riferibili a sue prestazioni professionali), mi sembra che difetti il requisito dell'interesse dell'ente.
Si tratterebbe piuttosto di una condotta ascrivibile esclusivamente a quel socio e tenuta verosimilmente per finalità dissimulatorie: la STP potrebbe chiedergli i danni derivati da tale condotta (con autonoma azione civile, in quanto secondo la giurisprudenza l'ente imputato non può costituirsi parte civile nei confronti del suo esponente imputato nel medesimo processo penale).
In altri termini, i proventi illeciti sarebbero entrati nel suo patrimonio, ma l'ente non aveva la finalità criminale - ex ante - di avvantaggiarsi dal reato.
La mera ricaduta a vantaggio non può essere ritenuta sufficiente per imputare l'illecito ex d.lg. 231 all'ente.