La disciplina dell'insider trading (I)
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- Pubblicato Mercoledì, 20 Aprile 2005 00:00
- Scritto da Federico Parmeggiani
Insider trading: disciplina vigente e prospettive di riforma
parmeggiani Normal . 2 1834 2005-04-13T06:47:00Z 2005-04-20T11:45:00Z 2005-04-20T11:45:00Z 1 9296 52993 ministero giustizia 441 124 62165 10.2625 Clean Clean 14 MicrosoftInternetExplorer4Prima di compiere una breve analisi sulla repressione del reato di insider trading nell’esperienza legislativa italiana, occorre innanzitutto premettere cosa sottenda la nozione di “insider trading “ secondo quanto oramai assodato nella maggior parte delle legislazioni nazionali in materia. Dette legislazioni convengono in modo pressoché unanime nel definire l’insider trading come “utilizzazione di informazioni chiave prima che esse divengano di pubblico dominio” (1), e nel considerare fattispecie rilevanti sanzionate dalle discipline in materia (1) l’impiego di informazioni privilegiate nel compimento di operazioni su strumenti finanziari, (2) la comunicazione a terzi di tali informazioni in assenza di giustificato motivo (c.d. tipping), (3) la raccomandazione a terzi di porre in essere tali operazioni, senza rivelare loro le informazioni privilegiate possedute (c.d tuyautage).
E’ inoltre opportuno premettere alla nostra analisi un’ulteriore considerazione preliminare: il fatto che l’insider trading in Italia sia sempre stato disciplinato solo come reato, non significa che tale fenomeno debba essere concepito e positivizzato solo in termini penalistici.
Volendo gettare uno sguardo comparatistico (2) sulle legislazioni dei maggiori paesi a capitalismo avanzato, è possibile constatare che l’insider trading, concepito tendenzialmente come utilizzo di informazioni riservate in operazioni su strumenti finanziari, riceve una regolamentazione ed una conseguente repressione articolata su più livelli. Ma facciamo degli esempi concreti.
La legislazione statunitense, che è sicuramente considerata quella maggiormente all’avanguardia nella repressione degli abusi di mercato e, più in generale, dei reati finanziari, offre una vasta gamma di rimedi. In primo luogo è utile menzionare il rimedio civile, inteso come un’azione, sia individuale che nella forma di class-action, esperibile dagli investitori che hanno negoziato con l’insider in quanto controparte contrattuale nell’operazione di vendita o di acquisto degli strumenti finanziari oggetto del suo trading (3). In secondo luogo sono presenti una serie di sanzioni amministrative, direttamente irrogabili dalla SEC (Securities Exchange Commission, ossia l’autorità di vigilanza sui mercati delle securities statunitensi), la quale può emanare provvedimenti ingiuntivi (c.d. injunctions), dai quali scaturiscono obblighi di compiere o di astenersi dal compimento di un atto determinato, la violazione dei quali è reato. La SEC inoltre può sospendere l’attività degli insiders o revocare le autorizzazioni ad essi rilasciate. Per di più, ai sensi del Security Exchange Act, così come innovato dall’ Insider Trading Sanctions Act (1984) e dall’ Insider trading and Securities Fraud Act (1988), all’authority federale è data la facoltà di avviare procedimenti amministrativi o di esperire azioni civili a prescindere dall’apertura di un procedimento penale , potendo chiedere sanzioni pecuniarie (c.d. civil penalities) commisurate al profitto conseguito dall’insider e agire anche nei confronti di brokers, dealers, investment advisers responsabili anche solo per negligenza degli illeciti compiuti da dipendenti e collaboratori (4).
Particolarmente dissuasive paiono infine le sanzioni penali, essendo prevista per i soggetti che pongano in essere le predette condotte la reclusione fino a 10 anni e una sanzione pecuniaria che può, per la persone giuridiche, ammontare anche a 2.582.000 euro. Abbastanza singolare risulta poi essere la possibilità di corrispondere a coloro che forniscono indicazioni utili a individuare casi di insider trading una taglia (bounty) in cui ammontare può essere pari anche al 10% della sanzione pecuniaria inflitta all’insider colpevole.
Come è possibile constatare le risposte sanzionatorie predisposte nel sistema americano sono molteplici e di varia natura; spicca poi in particolar modo il dato secondo cui la sanzione precipua destinata alla repressione delle condotte di insider trading sia quella di tipo amministrativo, erogabile con maggiore facilità, mentre della sanzione penale ci si vale come ulteriore strumento stigmatizzante riservato ai casi di maggior gravità.
Un simile approccio alle condotte illecite derivanti dallo sfruttamento di informazioni privilegiate da parte di insiders non solo è ampiamente diffuso nel mondo anglosassone (5), ma per certi versi è rintracciabile anche nell’ambito di esperienze legislative continentali, solitamente meno distanti da quella italiana. La stessa legislazione francese, che non ha mai conosciuto l’azione civile, affianca alle sanzioni penali (consistenti nella pena detentiva fino a 2 anni e in una multa fino a massimo 10 volte il profitto conseguito o, se inferiore, fino a 1.549.000 euro) diversi rimedi di carattere amministrativo, consistenti nella facoltà in capo alla Autoritè des Marchès Financiers (AMF) di disporre il divieto per gli insiders di esercitare la professione precedentemente svolta o di irrogare una sanzione pecuniaria pari a minimo 1.500.000 euro.
Tale premessa risulta utile ai fini di una disamina della disciplina a tutt’oggi vigente nel nostro ordinamento per comprendere innanzitutto come la nostra esperienza legislativa che fornisce alla condotte di insider trading una risposta solo penale rappresenta un’eccezione nel panorama internazionale. Questo dato non deve stupire in quanto l’Italia soffre da sempre di un cronico ritardo nella predisposizione e nell’aggiornamento della propria legislazione finanziaria, e il caso della disciplina repressiva dell’insider trading non fa eccezione: la prima legge in materia di cui l’Italia si è dotata, la l. 17-5-1991 n. 157, emanata in recepimento della direttiva 89/592/CE, giunge 21 anni dopo la prima normativa francese e ben 58 anni dopo quella americana (rappresentata dal Securities Act del 1933).
La legge testè menzionata sollevò, a causa del suo dettato approssimativo e poco rispettoso di diversi principi fondanti del diritto penale (quali il principio di colpevolezza o di offensività) la critica quasi unanime della dottrina e della stessa Consob (6). Perciò, in sede di riordino delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria operata dal Testo Unico 58/98 il legislatore ha ritenuto opportuno introdurre una nuova disciplina. Detta disciplina, in seguito al recepimento nel nostro paese della Direttiva 2003/6/CE in materia di abusi di mercato, è stata profondamente rinnovata. Compito della presente trattazione sarà cercare di mettere a confronto il previgente regime con quello attualmente in vigore, in modo da porre in evidenza le molteplici innovazioni intervenute e trarre da un simile confronto alcune considerazioni sulla natura e sulla portata sottesa alla condotta illecita in esame.
La previgente disciplina dell’insider trading era dunque racchiusa negli artt. 180- 187, inseriti nella parteV, titolo I (“sanzioni penali”), capo IV (rubricato come “Abuso di informazioni privilegiate e aggiotaggio su strumenti finanziari”) del Testo Unico della Finanza (d’ora in avanti per comodità TUF), ove era contenuta la formulazione della fattispecie base, le sanzioni accessorie e le norme procedimentali, comprese anche le facoltà attribuite alla Consob nell’accertamento del summenzionato reato.
L’art. 180 TUF (rubricato come “abuso di informazioni privilegiate”) rivestiva un’importanza fondamentale nell’ambito della precedente disciplina in materia di insider trading, in esso è infatti contenuto il cuore di tale disciplina, ossia: la definizione della condotta dell’insider primario e delle fattispecie di tipping e tuyautage; le disposizioni inerenti al regime sanzionatorio previsto per i predetti reati; la nozione di “informazione privilegiata” integrante la condotta illecita; la disposizione finale che fa salvi dalla disciplina in questione le operazioni dello Stato italiano, della Banca d’Italia e dell’Ufficio Italiano Cambi.
Disponeva il comma 1° dell’art. 180 che “E’ punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 10.329 a euro 309.874 chiunque, essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della partecipazione al capitale di una società, ovvero all’esercizio di una funzione, anche pubblica, di una professione o di un ufficio:
a) acquista, vende o compie altre operazioni, anche per interposta persona, su strumenti finanziari avvalendosi delle informazioni medesime;
b) senza giustificato motivo dà comunicazione delle informazioni, ovvero consiglia ad altri, sulla base di esse, il compimento di taluna delle operazioni indicate nella lettera a).”
Soggetti attivi
Data la formulazione della fattispecie base è opportuno individuare preliminarmente l’ampiezza del novero dei soggetti attivi, ossia la portata effettiva della qualifica di “insider”, che individua in via precipua i soggetti integranti la predetta condotta illecita.
Come si può evincere dal testo del citato comma 1° sono destinatari dei divieti di cui alla lettere a) e b) tutti coloro che sono in possesso di informazioni privilegiate in ragione della partecipazione al capitale di una società, ovvero dell’esercizio di una funzione, privata o pubblica, di una professione o di un ufficio. Tali soggetti sono i cosiddetti “insiders primari”, ossia coloro che hanno diretto accesso al surplus informativo il cui sfruttamento integra il reato in questione, non essendoci altri soggetti che fungono da fonte rivelatrice, iniziando il soggetto al vantaggio informativo.
Condotte sanzionate
Alla lettera b) del medesimo art.180, 1°c. erano disciplinate le condotte illecite che più o meno in tutte le esperienze legislative accompagnano la previsione normativa dell’insider trading in senso stretto, ossia le condotte concernenti le ipotesi in cui l’insider comunichi a terzi le informazioni privilegiate (c.d. tipping) ovvero consigli a terzi di compiere operazioni sulla base di esse, senza però rivelare le informazioni medesime (c.d. tuyautage).
Il tipping perciò consiste nella rivelazione ad opera di un insider primario (detto tipper) di informazioni privilegiate da esso possedute ad un terzo, detto tippee, con la conseguente possibilità che questi, analogamente a quanto potrebbe fare l’insider, se ne serva in operazioni su strumenti finanziari.
Il tuyautage invece consiste sostanzialmente in nel mero consiglio ad opera dell’insider, di una o più operazioni sulla scorta di informazioni privilegiate da esso possedute- e che non vengono rivelate- diretto ad un terzo, detto tuyautee.
Innanzitutto è da osservarsi come le condotte di tipping e tuyautage sottendano un disvalore minore, o per lo meno differente, rispetto alla condotta di insider trading in senso stretto. Infatti mentre l’insider che compie di operazioni su strumenti finanziari sulla scorta del proprio vantaggio informativo lede “sua manu” la credibilità e la fiducia riposta dagli investitori nel mercato, lo stesso non potrebbe dirsi della condotta dell’insider che semplicemente inizia un terzo al proprio vantaggio o che gli suggerisce il compimento di un operazione che potrebbe rivelarsi fruttuosa. In queste due ultime fattispecie la lesione alla credibilità del mercato è, in ogni caso, rimessa alla volontà di chi è reso edotto delle informazioni (tippee) o di colui al quale è rivolto il consiglio (tuyautee). Nel caso del tipping poi, l’effettiva portata lesiva della condotta è anche condizionata alle capacità ermeneutiche del tippee, ben potendo questi estrapolare dall’informazione un significato economico differente da quello che l’operazione suggerirebbe.
In base a queste riflessioni la volontà del legislatore di accomunare queste fattispecie all’insider trading sotto il profilo della risposta punitiva, è spiegabile solo facendo discendere la ratio della punibilità del tipping e del tuyautage dalla lesione, sottesa al compimento di dette condotte, del vincolo fiduciario intercorrente tra l’insider e la società per la quale opera.
Ai fini della punibilità dell’insider/tipper, per comunicazione s’intende ogni forma di trasmissione dell’informazione operata dall’insider, escluso il caso di trasferimento fortuito di essa, perciò rileva la volontà dell’insider di iniziare il tippee al vantaggio informativo. L’inciso della lett. b) “senza giustificato motivo” sembrava poi riferirsi non solo alle scriminanti positivamente individuate (ad es. quelle di cui all’art. 51 c.p.), ma più in generale ad ogni situazione di carattere professionale capace di giustificare la comunicazione (17), per esempio i casi di comunicazioni infragruppo finalizzate alla redazione del bilancio consolidato e più genericamente le divulgazioni di notizie operate ai sensi dell’art. 114 TUF. In definitiva perciò sembra si possa dire che non ricadano nell’area della punibilità tutti quei passaggi di informazioni che appaiono inequivocabilmente ispirati ad una finalità differente da quella dello sfruttamento del vantaggio conseguito.
Giova inoltre ricordare che sia il reato di tipping che quello di tuyautage sono punibili in base al dolo generico, perciò a prescindere dal fatto che poi il destinatario ponga in essere le operazioni suggerite dall’informazione o dall’insider stesso. La consumazione si ha con il trasferimento dell’informazione del consiglio, e un’ipotesi di tentativo è astrattamente configurabile nel caso della comunicazione che viene effettuata ma che non perviene al destinatario. E’ poi necessario sottolineare che, mentre il tippee era soggetto al regime di cui si dirà infra, il tuyautee invece andava esente da pena, a meno che non avesse compiuto le operazioni per conto dell’insider, realizzandosi così un’ipotesi di concorso nel reato di insider trading.
Come appena visto, il tippee è il soggetto che riceve l’informazione privilegiata dall’insider. Anche nei confronti di tale categoria di soggetti la disciplina repressiva dell’insider trading ha sempre posto dei divieti. In particolare il comma 2° dello stesso art. 180 TUF stabiliva che “con la stessa pena è altresì punito chiunque, avendo ottenuto, direttamente o indirettamente, informazioni privilegiate dai soggetti indicati nel comma 1, compie taluno dei fatti descritti nella lettera a) del medesimo comma”. Perciò, secondo la legge previgente, era punibile la condotta del tippee che avesse compiuto, anche per interposta persona, operazioni su strumenti finanziari avvalendosi delle informazioni privilegiate comunicategli dall’insider primario. Mentre il disposto della legge 157/91 estendeva ai tippes tutti i divieti destinati agli insiders, equiparando così a livello sanzionatorio condotte meritevoli di differenti trattamenti, la previsione dell’art.180, 2° c. puniva solo l’ipotesi del tippee trading, in quanto considerato valido mezzo per dispiegare sulla credibilità del mercato i medesimi effetti destabilizzanti propri dell’insider trading in senso stretto. Non erano sanzionate dunque le ipotesi concernenti la comunicazione dell’informazione o il consiglio sulla base di essa in quanto, come già rilevato, la punibilità delle stesse appare imperniata principalmente sulla violazione dell’obbligo di fedeltà peculiare dell’abuso funzionale (18) (19). Anche il trading del tippee è punito in base al dolo generico, essendo di conseguenza necessario e sufficiente a configurare il reato l’esecuzione di operazioni su strumenti finanziari sfruttando le informazioni privilegiate ottenute dall’insider primario. Il medesimo comma 2° poi sottolineava che le informazioni possono essere ottenute dall’insider “direttamente o indirettamente”, tale locuzione stava a significare che da un lato era fatto divieto di compiere operazioni borsistiche anche al tippee che avesse conseguito il suo vantaggio accidentalmente o all’insaputa dell’insider (essendo ovviamente conscio del carattere privilegiato delle informazioni); dall’altro che i divieti contenuti nel comma in esame fossero estendibili anche a coloro che fossero iniziati dal tippee stesso, i c.d. sub-tippees.
Per quanto concerne il novero delle condotte punibili merita attenzione il disposto del 6° c. del medesimo art. 180 TUF che esimeva dall’azione repressiva “le operazioni compiute per conto dello Stato Italiano, della Banca d’Italia, e dell’Ufficio Italiano dei Cambi per ragioni attinenti alla politica economica”.
La nozione di informazione privilegiata
Il comma 3° dell’art. 180 precisava cosa esattamente si intendesse nei commi precedenti per informazione privilegiata, il che costituisce un elemento essenziale per la configurazione delle predette fattispecie illecite. Detto comma specificava le peculiarità atte ad individuare l’informazione in questione, che doveva consistere in: (1) di un’informazione specifica di contenuto determinato; (2) di cui il pubblico non disponesse; (3) concernente strumenti finanziari o emittenti strumenti finanziari; (4) che, se resa pubblica, sarebbe stata idonea ad influenzarne sensibilmente il prezzo.
In merito al requisito della specificità e determinatezza del contenuto, va puntualizzato che esso è funzionale ad escludere dalla nozione di informazione rilevante i c.d rumors, ossia le voci che spesso si diffondono nei mercati finanziari e che sono prive di un riscontro concreto (20). Per il resto non è necessario che l’informazione si qualifichi come hard information, ma l’importante è che abbia un minimo di rilevanza fattuale, che non sia il frutto di una mera elaborazione (21).
La locuzione “di cui il pubblico non dispone” sembra poi assumere come fattore qualificante l’informazione privilegiata non tanto le formali modalità di diffusione volte a divulgare i fatti oggetto di essa, ma la sua effettiva conoscibilità da parte del pubblico, ammettendosi così che una cosa è la divulgazione secondo i mezzi previsti dalla legge, altra cosa è l’oggettiva fruibilità delle notizie divulgate (22).
L’inerenza dell’informazione agli strumenti finanziari o ai loro emittenti comporta la rilevanza di tutte le informazioni che si mostrino ad essi attinenti, a prescindere dal fatto che si tratti di corporate o di market information, ben potendo l’informazione concernere anche un intero comparto finanziario o industriale, o addirittura un fenomeno di carattere macroeconomico.
Ultimo ed essenziale requisito è la c.d. price sensitivity dell’informazione, ossia la sua idoneità, una volta resa pubblica, di incidere sensibilmente sui prezzi degli strumenti finanziari. Ovviamente l’individuazione di una soglia di incisività non è agevole data la enorme varietà degli strumenti quotati, perciò si ritiene che si debba risolvere la questione basandosi sul singolo caso in esame. Altrettanto difficoltosa risulta poi essere la quantificazione dell’incisività su i prezzi, dal momento che essa deve essere rilevata in base ad una prognosi postuma da operarsi ex ante, cioè prendendo come momento di riferimento quello in cui fu commesso il fatto integrante il reato. Ai fini dell’accertamento viene poi presa in considerazione non tanto l’incidenza che il fatto oggetto dell’informazione ha concretamente dispiegato sui prezzi, quanto la sua astratta idoneità ad influenzarli, prendendo atto delle difficoltà di tale ponderazione, dal momento che sono molti i fattori che si riverberano sulle quotazioni dei mercati finanziari e che perciò è spesso arduo isolare l’ampiezza della variazione conseguente ad uno solo di essi.
Le sanzioni
L’art. 180, 1°c. prevedeva una pena detentiva fino a due anni e la multa da 10.329 a 309.874 euro. Le sanzioni apparivano perciò raddoppiate rispetto a quanto previsto dalla l. 157/91, nonostante permanessero notevolmente al di sotto di quanto previsto dalle legislazioni dei maggiori paesi a capitalismo avanzato. Inoltre, come già accennato, la sanzione penale non era affiancata da nessun rimedio alternativo e , come rilevato da eminente dottrina (23), il quantum di pena finale poteva comunque essere interamente monetizzato, rendendo vane tutte le possibilità di vedere in carcere anche l’insider che si fosse macchiato della condotta più grave. Il legislatore poi non si era premurato di prevedere alcuna differenziazione di pena in base alla condotta, salvo stabilire all’art. 180 comma 4 la possibilità di aumentare la multa fino al triplo ogniqualvolta essa fosse apparsa inadeguata, pure se applicata nel massimo, per la rilevante offensività del fatto, per le qualità personali del colpevole o per l’entità del profitto che era derivato. Furono perciò svariate le critiche mosse alla nostra precedente legislazione, tra tutti i punti maggiormente controversi aveva sicuramente destato perplessità il mancato recepimento della disposizione presente in numerose esperienze legislative estere, che àncora il minimo della pena irrogabile al profitto conseguito attraverso le operazioni incriminate. Così facendo si avrebbe avuto la comminazione di un quantum di pena effettivamente proporzionale alla lesività della condotta posta in essere (24).
Costituiva invece una nota positiva il disposto dell art. 180,5°c. ai sensi del quale, “nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’art. 444 c.p.p., sempre ordinata la confisca dei mezzi, anche finanziari, utilizzati per commettere il reato, e dei beni che ne costituiscono il profitto, salvo che essi non appartengano a persona estranea al reato” . Tale disposizione risultava essenziale a sottrarre al reo la disponibilità dei proventi del reato, cautela che la l. 157/91 non contemplava, nonostante rimanesse da chiarire la l’ampiezza del concetto di “profitto oggetto della confisca”, potendosi intendere più restrittivamente come “la conseguenza economica immediata del reato”, ovvero anche ricomprendere “le somme di denaro e i beni di cui il reo ha disponibilità anche per interposta persona” (25). In definitiva è dunque possibile affermare come, a prescindere da queste dispute, la confisca disposta dal comma 4 avrebbe potuto rappresentare “uno spauracchio finanche più efficace della pena” (26), anche se non è possibile non constatare la scarsa deterrenza dimostrata dalla disciplina scaturente dal precedente dettato del TUF, che a tutt’oggi può vantare pochissime applicazioni sfociate in una condanna.
Pene accessorie e misure interdittive
Ambito applicativo della disciplina
Accertamento del reato e ruolo della Consob
Profili problematici emergenti dalla disciplina previgente
(Federico Parmeggiani)
1) Tale definizione, mutuata dal dizionario dei termini finanziari Barron’s, è riportata in L. ARICI Il reato di insider trading nella legislazione italiana, in Rivista della Guardia di Finanza, 2002,p.1130. Cfr. pure DI AMATO, voce insider trading, in Enciclopedia del diritto, Aggiornamento, vol.1, Milano, 1997, p.677, ove si definisce l’ insider trading “ negoziazione di titoli , rispetto ai quali si è in possesso di informazioni privilegiate”. Cfr. anche la nota definizione di LANGEVOORT, Insider trading :Regulation, Enforcement and Prevention ,New York,1992, 4:”Insider trading is a term of art that refers to unlawful trading in securities by person who possess material nonpublic information about the company whose shares are traded or the market for its shares”.
2) Sul punto v. LINCIANO-MACCHIATI, Insider trading: una regolazione difficile, Bologna, 2002, che dedica tutto il secondo capitolo alla comparazione tra le discipline aventi ad oggetto l’insider trading nei maggiori paesi a capitalismo avanzato. In tale sede è mostrato chiaramente come la disciplina italiana esclusivamente penalistica appare come un’anomalia nel panorama internazionale.
3) Da sottolineare che detta azione civile spesso presenta nella pratica alcuni problemi di carattere probatorio, infatti l’insider ha la possibilità di eccepire che, data l’impersonalità delle contrattazioni di borsa, l’investitore/attore avrebbe comunque negoziato nel medesimo senso a prescindere dalla qualità di insider in capo alla controparte della negoziazione borsistica. Comunque, in base a quanto emerge dai casi Kardon vs. National Gypsium Co. (1946), Birnbaum vs. Newport Steel (1952), Blue Chips Stamps vs. Manor Drug Storse (1975). Sul punto v. G.E. COLOMBO, G.B. PORTALE, Trattato delle società per azioni, vol. X, pp. 258 ss.
4) Vedi la section 20A del Securities Exchange Act.
5) L’ordinamento britannico ad esempio conosce da sempre il ricorso alla sanzione penale e l’esperibilità dell’azione civile; e dal 2000 , tramite l’adozione del Financial Services and Markets Act è stato predisposto un sistema anch’esso imperniato sull’irrogazione della sanzione amministrativa adopera dell’ Autorità di vigilanza sui mercati finanziari, ossia la FSA (Financial Services Authority). Per un approfondimento della disciplina inglese è caldamente consigliata la consultazione di B. RIDER, K. ALEXANDER e L. LINKLATER, Market abuse and insider dealing, London, 2002.
6) V. tra tutti G.M FLICK, Insider trading: una tappa significativa- anche se controversa- della lunga marcia verso la trasparenza, in Rivista delle società, 1991; C. PEDRAZZI e altri, Manuale di diritto penale dell’impresa, Milano, 1998, p.467 ss., e la relazione CONSOB per l’anno 1996 riportata in LINCIANO- MACCHIATI, op. cit., p. 104.
7) V. NAPOLEONI, Insider trading e aggiotaggio su strumenti finanziari, in LACAITA, NAPOLEONI, Il Testo unico dei mercati finanziari, Milano 1998, p.179
8) v. BARTALENA, Insider trading in Trattato delle società per azioni a cura di G.E. COLOMBO e G.B. PORTALE, vol. x, I,p.299, secondo il quale la norma riguarda “tutti coloro che effettuano una prestazione a favore della società inquadrabile in un rapporto di lavoro autonomo o che sono legati ad essa da vincoli contrattuali , in forza dei quali esplicano sistematicamente la propria attività lavorativa”.
9) v. ad esempio BARTALENA, Insider trading , cit, p. 239; DI AMATO, op. cit., pp. 680ss.; MUCCIARELLI, Speculazione mobiliare e diritto penale, Milano, 1995, p.75
10) v. RIGOTTI, L’abuso di informazioni privilegiate in Intermediari finanziari, mercati e società quotate a cura di A. PATRONI GRIFFI, M. SANDULLI, V. SANTORO, Torino, 1999, pp. 1364ss.; M.L. ERMETES, Abuso di informazioni privilegiate e aggiotaggio su strumenti finanziari in a cura di RABITTI BEDOGNI, p.984
11) v. RIGOTTI, L’abuso di informazioni privilegiate, in Intermediari finanziari,mercati e società quotate a cura di A. PATRONI GRIFFI- M SANDULLI - V. SANTORO, Torino, 1999., p.1364, che ribadisce la difficoltà di stabilire una soglia di rilevanza della partecipazione ai fini dell’accesso ad informazioni inside, che possa quindi essere utilizzata come parametro per la punibilità dell’azionista
12) V. RIGOTTI, op.cit., p.1365; v. A. BARTALENA, op.cit., p.1995.
13) Da notarsi che invece la direttiva 89/592/CE all’art.2 faceva riferimento esplicito a coloro che dispongono di un informazione privilegiata “(…) a motivo della loro partecipazione al capitale dell’emittente”.
14) La “disclose or abstain rule” è stata introdotta per la prima volta dalla Rule 10b emanata dalla SEC nel 1942. e che è a tutt’oggi a fondamento di numerose discipline nazionali, v. M. L. ERMETES, Abuso di informazioni privilegiate e aggiotaggio su strumenti finanziari, in RABITTI BEDOGNI, Il Testo Unico della intermediazione finanziaria, Milano, 1998.
15) V. A. BARTALENA, Commento sub. artt. 180, in Commentario al testo unico della finanzia, a cura di P. MARCHETTI- L. A. BIANCHI, Milano, 1999. Per quanto concerne invece la problematica scaturente dalle operazioni di acquisto di azioni proprie, v. F. GRANDE STEVENS, Questioni in tema di insider trading e di compravendita di azioni proprie, in Rivista delle Società, 1991.
16) L’esempio più noto è quello del soggetto che, avendo in programma il lancio di un’OPA, inizia a rastrellare i titoli oggetto di essa prima di rendere nota la sua decisione, v. RIGOTTI, op. cit., p.1370,che afferma che sarebbe invece punibile l’acquisto di titoli diversi da quelli oggetto dell’OPA. GALGANO, Gruppi di società, insider trading, OPA obbligatoria in Contratto e impresa, 1992, p.637ss. con riferimento all’acquisto di azioni proprie, sostiene parimenti che non può considerarsi privilegiata l’informazione che provenga dallo stesso soggetto che la utilizza. La direttiva 89/592/CE sembra avvallare tale principio al suo undicesimo considerando ove si sancisce che “poiché l’acquisizione o la cessione di valori mobiliari implica necessariamente una decisione preliminare di acquisire o di cedere da parte della persona che procede ad una di queste operazioni, il fatto di effettuare questo acquisto o cessione non costituisce di per sé una utilizzazione di un’informazione privilegiata”.
17) V. BARTULLI-ROMANO, Sulla disciplina dell’insider trading (l.17 maggio 1991 n. 157), in Giurisprudenza Commerciale, 1992, p. 663 ove si parla di “qualsiasi movente, professionale o personale, che abbia una comprensibilità sociale”.
18) Cfr. RIGOTTI, op.cit., p. 1374, che mostra qualche perplessità in merito alla non riproposizione del divieto in capo ai tippees di dare consigli ai terzi, rilevando che una simile condotta sia assimilabile all’insider trading in fatto di lesività.
19) L’attuale disciplina colma poi anche l’aporia del dettato della l. 157/91 che non annoverava tra i tippees i soggetti resi edotti da chi disponesse delle informazioni privilegiate a motivo della propria qualità di azionista, soggetti che di fatto erano ingiustamente esclusi dall’area della punibilità.
20) V. SEMINARA, Commento sub. art. 180, in Il Testo Unico della Finanza a cura di G. F. CAMPOBASSO, Milano 2002, p. 1457 che ritiene il requisito finalizzato ad escludere “le voci, le congetture, le conoscenze non ancora cristallizzatesi, nonché quei dati ed elementi in suscettibili di assumere la valenza di un’informazione e la cui repressione aprirebbe varchi ad un’estrema incertezza”.
21) Se così fosse, infatti, un suo abuso non genererebbe una situazione di insider trading ma potrebbe integrare una differente tipologia di condotta, detta scalping, che è propria di chi , dopo aver diffuso una propria autorevole valutazione su uno strumento finanziario, si approfitta del credito ad essa accordato dal pubblico per porre in essere operazioni speculative per conto proprio.
22) Proprio su questa distinzione si basa il gun jumping, fenomeno peculiare di quei soggetti che, in quanto primi destinatari della divulgazione di una notizia, pongono in essere operazioni sulla base di essa quando sia già stata resa pubblica, ma non sia ancora pervenuta alla stragrande maggioranza degli investitori. Tale fenomeno non è disciplinato nel nostro ordinamento, per una sua collocazione nell’ordinamento inglese,v. RIDER – ALEXANDER – LINKLATER, op. cit., p. 15.
23) V. NAPOLEONI, Insider trading e aggiotaggio su strumenti finanziari, in Il Testo Unico dei mercati finanziari a cura di L. LACAITA – V. NAPOLEONI, Milano , 1998., p. 192, che sostiene che , data la monetizzabilità in termini tutt’altro che allarmanti per uno speculatore di borsa della pena detentiva, essa può essere facilmente rubricata come “voce di rischio” o “di costo” dell’operazione incriminata.
24) V. SEMINARA, op. cit.,p. 1461; v. NAPOLEONI, op. cit., pp.191-192.
25) Entrambe le espressioni tra virgolette sono di SEMINARA, op. cit., p. 1452, il quale propende per l’accezione più ampia, mutuata dalla disciplina in tema di usura ex. Art. 644, 6°cc.p.
26) NAPOLEONI, op.cit., p. 193.
27) V. per tutti CONDEMI, commento sub 182, in ALPA-CAPRIGLIONE, op. cit.,pp. 1677-1678.
28) v. BARTALENA,commento sub 182 in MARCHETTI-BIANCHI, op. cit., p. 2020; cfr. pure SEMINARA, commento sub 182 in CAMPOBASSO, op.cit., p.1474, che osserva come “i modesti limiti in cui in concreto può scendere la pena principale nei reati di cui agli artt. 180 e 181 risultano quindi bilanciati dall’estrema gravosità delle pene accessorie, al punto di determinare un innalzamento di esse al rango di pene principali”.
29) SEMINARA, ult. op. cit., p. 1475; CONDEMI, op.cit., p. 1680.
30) Per una comparazione tra le attività e i poteri accordati dai maggiori paesi a capitalismo avanzato alla propria autorità di vigilanza si consiglia di vedere diffusamente LINCIANO-MACCHIATI, op.cit., cap. II.
31) V. NAPOLEONI, op. cit., p.199, il quale a sua volta cita ZANNOTTI, La tutela penale del mercato finanziario, Torino, 1996, p. 106, secondo il quale “i poteri (accordati)…non attribuiscono alla Consob una incisiva e rapida capacità di intervento, necessaria per indagini su un fenomeno così particolare come l’insider trading, ove la tempestività nella ricerca dei fatti e documenti deve essere quantomeno pari alla rapidità con la quale tale tipo di operazioni vengono effettuate”. Cfr. anche SEMINARA, commento sub art.185, in CAMPOBASSO, op.cit., p. 1480, secondo il quale “l’esperienza srtraniera aveva da tempo all’evidenza dimostrato come la via maestra per un accrescimento dell’effettività del divieto di insider trading corre lungo un sostanzioso rafforzamento, in termini di incisività e di tempestività, dei poteri di indagine specificamente attribuiti alla Consob”.
32) Per un efficace sunto sui lavori parlamentari prodromici del TUF, v. LINCIANO-MACCHIATI, op. cit., pp. 99- 101.
33) L’art. 8, 1°c. della l. 157/91, delegava alla Consob “ gli atti necessari alla verifica di eventuali violazioni delle norme di cui agli articoli 2 e 5” a tal fine la commissione poteva valersi dei poteri di cui disponeva ai sensi dell’ art. 3, l. 216/74 come sostituito dall’art. 5 l. 281/85, nonchè della collaborazione delle pubbliche amministrazioni e richiedere ai soggetti di cui ai medesimi artt. 2 e 5 e agli intermediari coinvolti, qualsiasi informazione che apparisse necessaria. Il comma 2 poi prevedeva la pena dell’arresto fino a tre mesi o un’ammenda da due a quaranta milioni (a meno che il fatto non configurasse un più grave reato) per coloro tra i soggetti citati che non ottemperassero tempestivamente alle richieste della Consob o ne ritardassero od ostacolassero le funzioni. La disposizione che però appariva di maggiore rilievo era quella posta in chiusura del 1° comma, ove si sanciva che “la denuncia di cui agli artt.361 e 362 del codice penale deve essere proposta esclusivamente al presidente della Consob”. Analogamente il comma 5 prevedeva che qualora la notitia criminis fosse stata acquisita diversamente, l’autorità giudiziaria procedente avrebbe avuto il dovere di informare tempestivamente il presidente della Consob, il quale in ogni caso, ai sensi del comma 3, aveva il dovere, qualora fossero emersi elementi che avvallassero il compimento dei reati in questione, di trasmettere al pubblico ministero competente, tramite una relazione motivata, la documentazione raccolta nell’ambito della propria attività istruttoria. Perciò la ad ogni notizia ricevuta o fatto scoperto conseguiva un obbligo della commissione ad approntare le indagini necessarie al riscontro di qualsiasi elemento che facesse presagire l’integrazione del reato. Si poteva affermare perciò che la Consob fungesse da “filtro tecnico delle notitiae criminis”, volto ad evitare che potessero essere intrapresi procedimenti del tutto infondati o pretestuosi, che avessero una mera finalità di destabilizzazione dei corsi di mercato.
34) Cfr. G. RANDISI, commento sub 185, in RABITTI BEDOGNI,op. cit., p.1022; BARTALENA, commento sub 185-187, in MARCHETTI-BIANCHI,op.cit.,pp. 2030-2031.
35) Giova ricordare che i dipendenti Consob ai sensi dell’art.4 TUF “nell’esercizio dell funzioni di vigilanza sono pubblici ufficiali e hanno l’obbligo di riferire esclusivamente alla Commissione tutte le irregolarità constatate, anche quando integrino ipotesi di reato”.v .BARTALENA, op. ult. cit., p.2031, che precisa che tale obbligo di rapporto non vale nei confronti dei dipendenti di altre amministrazioni della cui opera la Consob si è avvalsa.
36) V. . RANDISI, op. cit. , p.1022.
37) Cfr. BARTALENA, op..ult. cit., p. 2027 che intravede la possibilità di una lettura espansiva, secondala quale tra i soggetti vigilati sono inclusi tutti coloro che siano sottoposti ad indagine.
38) BARTALENA, op. cit. ,p.2033.