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Mentre ne aspettiamo l’attuazione effettiva mediante ulteriore decreto in preparazione presso il Ministero dell’Economia, riteniamo opportuno rammentare a quanti ci leggono che il decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374 ...
La normativa antiriciclaggio per le imprese non finanziarie
Mentre ne aspettiamo l’attuazione effettiva mediante ulteriore decreto in preparazione presso il Ministero dell’Economia, riteniamo opportuno – in questo momento – rammentare a quanti ci leggono che il decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374 - pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.253 del 27 ottobre 1999 – ha esteso le disposizioni della cosiddetta “normativa antiriciclaggio” ad attività ritenute “particolarmente suscettibili di utilizzazione”, da parte della criminalità organizzata, a fini di lavaggio di denaro e proventi rivenienti da operazioni illecite.
In verità, sembra efficace a chi scrive riassumere l’innovazione legislativa in commento come una “normativa-bis“ contro il riciclaggio, appositamente dettata per soggetti non propriamente caratterizzati dallo svolgimento di attività tipicamente finanziarie.
Infatti, l’estensione delle prescrizioni contenute nella legge n.197 del 1991 – normativa, questa, sino ad oggi applicabile solo (semplificando) alle banche ed agli intermediari operanti nel settore finanziario – viene per la prima volta estesa dal legislatore nei confronti di imprese che non possiamo certo definire, al pari di quelle appena citate, come società “di diritto speciale”.
Il legislatore del decreto n. 374/1999, quindi, mostra la consapevolezza - acquisita, per il vero, con un po’ di ritardo (anche se è confortante la lacunosità dell’omologa normativa presente vigente nella maggior parte degli Stati europei! (1)) – non solo della recrudescenza del fenomeno, ma anche e soprattutto della sua estensione in termini per così dire “qualitativi”, tanto che possiamo affermare che non esistono oggigiorno attività economiche potenzialmente “immuni” da rischi di coinvolgimento in situazioni di riciclaggio.
Il decreto in esame nasce comunque da una delega contenuta nella legge comunitaria per il 1994 (2), e ad oggi tale quadro ci consente di affermare che la normativa de qua non sembra più essere appannaggio (ed onere) delle sole imprese finanziarie, cosa questa, peraltro, che difficilmente sarebbe apparsa conciliabile con le esigenze di prevenzione e repressione connesse alla lotta al riciclaggio.
Va infatti ricordato, solo per dovere di cronaca, che il fenomeno coinvolge risorse stimabili in più del 3% del PIL mondiale, e che quindi non può più essere ignorato.
Prima, ora, di passare alla disamina delle nuove prescrizioni contenute nel decreto che si intende commentare, è opportuno rammentare quali sono quelli che si possono definire come i “postulati” della normativa antiriciclaggio italiana.
L’impianto normativo antiriciclaggio in Italia
La legge n. 197 del 5 luglio 1991, che recepì le indicazioni comunitarie contenute nella direttiva n. 91/308, contiene oggi, in sostanza, tre tipologie di strumenti di contrasto del fenomeno del riciclaggio di proventi illeciti:
<![if !supportLists]>- <![endif]>la previsione di un divieto di circolazione (trasferimento) di denaro e titoli al portatore (assegni, vaglia postali, certificati di deposito, ecc.) per importi complessivamente superiori a euro 12500, se non tramite intermediari a ciò abilitati (art. 1);
<![if !supportLists]>- <![endif]>un obbligo, per i suddetti intermediari, di mantenere evidenza, in apposite registrazioni su archivi informatici, delle transazioni da chiunque effettuate per importi superiori, complessivamente, a 12500 euro (art. 2);
<![if !supportLists]>- <![endif]>l’obbligo di segnalazione da parte degli stessi intermediari, all’Autorità a ciò preposta di tutte quelle operazioni, poste in essere dalla clientela, ritenute “sospette” e potenzialmente, quindi, parte di movimenti finanziari a scopo di riciclaggio (art. 3).
I destinatari dei ripetuti obblighi erano stati inizialmente individuati in: banche, SIM, agenti di cambio, società fiduciarie, società di gestione di fondi comuni, uffici postali e imprese di assicurazione, e gli altri “intermediari abilitati” (cfr. art. 4 L. n. 197/1991).
Tutti questi soggetti hanno dovuto dotarsi, dal punto di vista organizzativo, degli strumenti adatti alla configurazione di un sistema di controlli atto a prevenire il coinvolgimento delle strutture (e delle persone che vi operano) in fatti di riciclaggio (3).
Quindi, sono diventati naturali “sbocchi” dell’attività di monitoraggio e prevenzione del rischio de quo la previsione di appositi iter interni di registrazione ed eventuale segnalazione delle operazioni, l’attribuzione di precisi compiti e responsabilità, la conseguente formazione del personale, l’istituzione del cosiddetto “archivio unico informatico” e la tenuta di evidenze accentrate sulla clientela, nonché un efficace sistema di controlli interni (4).
L’adempimento di questa legge, con il suo fardello di oneri - unito ad una non sempre chiara formulazione del dettato normativo – non poteva essere dei più efficaci.
Era lecito, infatti, aspettarsi qualche “disorientamento” degli operatori, sui quali ha pesato, inoltre, la responsabilità della segnalazione dei “sospetti”, compito “investigativo” cui gli intermediari proprio non pensavano, prima di allora, ed al quale non erano (forse giustificatamente) pronti.
Per aiutare le banche ad una più consapevole attuazione delle prescrizioni in materia di segnalazioni, la Banca d’Italia ha elaborato il cosiddetto “Decalogo”, contenente le “indicazioni operative per l’individuazione di operazioni sospette”, in tre versioni, con quella definitiva che è disponibile sin dal 12 gennaio 2001.
Una scelta quanto mai opportuna, dato che questo documento costituisce – a tutt’oggi – l’unico riferimento operativo per gli istituti di credito (5). Non a caso, l’Autorità di vigilanza – d’intesa con l’ISVAP - ha ripetuto l’esperienza con le imprese di assicurazione, mediante il provvedimento 19 dicembre 1998 (6), prima che confluisse in quello appena citato.
Un ulteriore intervento normativo sull’impianto della legge n. 197/1991 si è reso poi necessario nel 1997, a seguito sempre della medesima delega comunitaria da cui ha tratto spunto anche il decreto che qui si commenta (7).
Con il decreto legislativo n. 153 del 26 maggio 1997 (8) si sono quindi apportate alcune modifiche sostanziali alla legge citata, stabilendo, in particolare, quanto segue:
<![if !supportLists]>a) <![endif]>l’iter segnalatorio deve essere tenuto il più possibile “riservato”, cioè nel fascicolo dal magistrato inquirente non deve figurare il nome del soggetto segnalante, a meno che tale indicazione non venga successivamente richiesta dal giudice (con decreto motivato) per approfondire l’indagine;
<![if !supportLists]>b) <![endif]>l’operazione ritenuta sospetta può essere anche non eseguita dall’intermediario (9);
<![if !supportLists]>c) <![endif]>gli intermediari devono adottare tutte le prescrizioni idonee a tutelare la riservatezza “in ogni sede” dei soggetti partecipanti all’eventuale segnalazione;
<![if !supportLists]>d) <![endif]>l’Ufficio Italiano dei Cambi (UIC) si sostituisce ai Questori nella ricezione delle segnalazioni di operazioni sospette.
L’UIC diviene l’Autorità centrale antiriciclaggio, alla quale inviare le segnalazioni su apposito software, peraltro distribuito dall’Ufficio stesso.
Questo Organo, ricevute le segnalazioni, le approfondisce con propri elementi conoscitivi, ed eventualmente – dopo averne verificato la fondatezza – le trasmette al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza e, se si tratta di reati ancor più gravi, alla Procura Nazionale Antimafia.
E all’UIC anche il nuovo decreto lascia un ruolo centrale nella procedura segnalatoria di operazioni sospette, nonché nella elaborazione della normativa secondaria e nella vigilanza.
I cardini della nuova disciplina.
Il decreto n. 374/1999 reca, come novità sostanziale, la già enfatizzata estensione dei soggetti onerati dagli obblighi contenuti nella legge n. 197/191 (10).
Essi sono, nel dettaglio:
<![if !supportLists]>1) <![endif]>le società di “recupero crediti per conto terzi”;
<![if !supportLists]>2) <![endif]>le società svolgenti attività di “custodia e trasporto di denaro contante, titoli e valori” con o senza l’impiego di guardie giurate;
<![if !supportLists]>3) <![endif]>le “agenzie in affari in mediazione immobiliare”;
<![if !supportLists]>4) <![endif]>le imprese svolgenti il “commercio di cose antiche”;
<![if !supportLists]>5) <![endif]>le “case d’asta o gallerie d’arte”;
<![if !supportLists]>6) <![endif]>le attività di “commercio, importazione ed esportazione di oro”, sia per finalità industriali che di investimento;
<![if !supportLists]>7) <![endif]>le attività di “fabbricazione, mediazione e commercio”, comprese l’importazione e l’esportazione, di oggetti preziosi;
<![if !supportLists]>8) <![endif]>l’attività di “gestione di case da gioco”;
<![if !supportLists]>9) <![endif]>le imprese di “fabbricazione di oggetti preziosi”;
<![if !supportLists]>10) <![endif]>l’attività di “mediazione creditizia”, già regolamentata dalla legge sull’usura, la n. 108/1996;
<![if !supportLists]>11) <![endif]> le “agenzie in attività finanziaria”, regolamentate ( ma in verità non se ne comprende a fondo il riferimento di cui alla lettera n del comma 1 dell’art. 1) dall’art. 106 del T.U. bancario (11).
Come si può notare, si va da attività non finanziarie - come quella delle case da gioco e di mediazione immobiliare (frequentemente, peraltro, al centro di indagini da parte degli inquirenti) - ad attività a contenuto lato sensu finanziario, come quella della produzione e commercializzazione di oro e preziosi (12).
Ma quali sono le nuove “incombenze” per tali soggetti? (13)
Innanzitutto, saranno tenuti ad identificare e registrare i clienti che effettueranno movimentazioni di contante o titoli per importi superiori a lire 20 milioni, nonché a segnalare eventuali operazioni sospette da questi compiute: i soggetti che svolgono l’attività di recupero crediti, quelli che fanno custodia e trasporto valori, le agenzie di mediazione immobiliare, coloro che fanno commercio di oro, i gestori di case da gioco, i mediatori creditizi e le agenzie in attività finanziaria.
Le restanti attività (commercio di cose antiche, esercizio di case d’asta e di gallerie d’arte, fabbricazione e commercio di preziosi) saranno tenute unicamente al rispetto delle norme sull’identificazione e registrazione, ma non – giusta l’esclusione operata dal comma 2 dell’art. 4 del decreto – di quelle sulla segnalazione delle operazioni sospette. Detta esclusione viene motivata (cfr. Relazione illustrativa al decreto, p. 8) con la “considerazione della peculiare natura dell’attività svolta, per la quale appare ardua la distinzione tra operazioni di natura sospetta e operazioni di natura illecita” (14).
Le regole per l’identificazione sono quelle già richiamate dallo stesso decreto (cfr. art. 4, commi 3 e 4), poiché gli esercenti le attività ivi indicate erano già comunque tenuti all’operazione in questione ai sensi della normativa del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza. Per le case da gioco viene invece precisato che l’obbligo di identificazione e registrazione scatterà anche per le operazioni di “acquisto o cambio di fiches o altri mezzi di gioco di valore superiore a 3 milioni di lire” (15).
Per un più puntuale adempimento di tali obblighi si attendeva un decreto ministeriale – emanato su proposta dell’UIC - entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo in commento; è verosimile comunque immaginare che verranno replicati (in quello in arrivo, di cui parlavamo in apertura di questo scritto), in quanto compatibili, criteri e modalità già previsti nella normativa di attuazione contenuta in appositi decreti già emanati dal Ministero del tesoro all’indomani della legge n. 197/1991 (16).
Una maggiore chiarezza, allora, sarà da auspicare in tale sede, proprio per evitare – lo abbiamo detto a più riprese – ciò che si è verificato in precedenza nei confronti dei soggetti obbligati al rispetto della normativa (17).
Si è attuata, da parte degli intermediar finanziari, in quanto già attrezzati, solo la parte del decreto riferibile ai promotori finanziari e agli agenti di assicurazione.
Con tale previsione, si è inteso (giustamente) raggiungere anche i “terminali” del rapporto intermediario-cliente; coloro che, per l’attività che svolgono, conoscono meglio di chiunque altro i soggetti con i quali vengono in contatto e che affidano loro gli ordini di esecuzione delle operazioni bancarie, finanziarie ed assicurative.
Dovranno essere molto bravi i soggetti preponenti ad individuare, in prima battuta, collaboratori esterni in grado – per potenzialità culturali, professionali e di onorabilità – di garantire loro l’immunità da fenomeni devianti; inoltre, questi individui dovranno essere adeguatamente formati ed indottrinati circa le reali conseguenze, sia aziendali che sul sistema, dell’accettazione di operazioni poco chiare ab origine.
Comunque, la disciplina di riferimento dell’attività di promotori finanziari ed agenti assicurativi resta quella propria del settore; essi non dovranno inoltre iscriversi nell’elenco – di cui all’art. 3 del decreto – degli agenti in attività finanziaria (18).
Quanto le disposizioni commentate (e quelle in arrivo) incideranno sulla effettività dell’azione di contrasto al riciclaggio andrà dimostrato.
Restiamo comunque convinti che quanto più si riuscirà ad “oggettivizzare” il momento investigativo, sgravando il più possibile gli operatori da incombenze che a loro non sono proprie, tanto più si otterrà in termini sia qualitativi che quantitativi (19).
Altra considerazione che ci pare corretta è quella che vede collocare ormai l’argomento “antiriciclaggio” nel nostro diritto positivo, a pieno titolo.
E non solo nel diritto penale finanziario; bensì, ci pare, anche in quello societario.
La regolamentazione contro il riciclaggio di denaro sporco ha ormai assunto – è facile dimostrarlo - dignità e rango di norma “di sistema”, e sempre più ciò avverrà se vi sarà sia l’auspicata estensione (chiara ed univoca)dei soggetti obbligati al suo rispetto, sia l’emanazione del Testo unico di cui si parla da tempo.
Ranieri Razzante
<![if !supportLists]>1) <![endif]>Riferimenti sulla normativa antiriciclaggio in Europa, Usa e Russia sono rinvenibili in AA.VV., Il riciclaggio nei sistemi bancari e finanziari, Roma, 1998.
<![if !supportLists]>2) <![endif]>Si tratta della legge 6 febbraio 1996, n. 52, la quale – all’art. 15 – prevedeva espressamente (comma 1, lett. c) la possibilità che il legislatore intervenisse per “estendere (le disposizioni della legge n. 197/1991) a quelle attività particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio per il fatto di realizzare l’accumulazione o il trasferimento di ingenti disponibilità economiche o finanziarie o risultare comunque esposte ad infiltrazioni da parte della criminalità organizzata”.
<![if !supportLists]>3) <![endif]>A tale proposito, va rammentato che la Banca d’Italia, nelle Istruzioni di vigilanza sulla materia, vuole che il sistema dei controlli interni agli intermediari consenta, tra l’altro, di evitare il coinvolgimento anche “inconsapevole” nei fatti di cui trattasi.
<![if !supportLists]>4) <![endif]>Su quest’ultimo punto ci si consenta di rinviare al nostro commento alle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia (dell’ottobre 1998) sui cosiddetti “controlli interni”, in Dir. ban. mer. fin., n. 2/1999. Il contenuto di tali Istruzioni risulta ora trasfuso nel “Nuovo fascicolo delle Istruzioni di vigilanza per le banche” (pubblicato nel supplemento straordinario alla G.U. del 24 maggio 1999, n. 119, e da noi commentato in Le Società, n. 9/1999, p. 1123 e ss.).
<![if !supportLists]>5) <![endif]>Ed il richiamo operato dall’UIC nella Circolare 22 agosto 1997 (par. 3, pubblicata nella G.U. n. 201 del 29 agosto 1997) ne fa un documento, secondo chi scrive, “vincolante” (oltre che indispensabile) per gli intermediari; contra, Morera U., Sull’obbligo di segnalazione delle operazioni bancarie ex art. 3, legge “antiriciclaggio” n. 197/1991, in Dir. ban. mer. fin., n. 1/1999, p. 47, il quale, riteniamo ingenerosamente, finisce con lo sminuire la valenza “integrativa” del Decalogo rispetto all’apparato normativo antiriciclaggio italiano.
<![if !supportLists]>6) <![endif]>Pubblicata nella G.U. n. 7 dell’11 gennaio 1999.
<![if !supportLists]>7) <![endif]>V. nota 1.
<![if !supportLists]>8) <![endif]>Pubblicato nella G.U. n. 136 del 13 giugno 1997, e da noi commentato in Dir. ban. mer. fin., n. 1/1998, p. 26 e ss.
<![if !supportLists]>9) <![endif]>Qui concordiamo con Morera, op. cit., p. 49, sull’interpretazione da dare a tale precetto, laddove si ritenga che il rifiuto di eseguire l’operazione ritenuta sospetta consenta all’operatore di “tenersi indenne da eventuali effetti penali”.
<![if !supportLists]>10) <![endif]>Come opportunamente ricordato nella Relazione illustrativa al decreto in questione (p. 1), già l’art. 12 della direttiva n. 91/308/CEE (da cui scaturì la prima regolamentazione organica antiriciclaggio a livello europeo) prevedeva “la necessità per gli Stati membri di estendere, in tutto o in parte, le disposizioni della direttiva stessa ad attività professionali e categorie di imprese diverse dagli enti creditizi e finanziari di cui all’art. 1, le quali svolgono attività particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio”.
<![if !supportLists]>11) <![endif]>L’unico “appiglio” ermeneutico sembrerebbe essere costituito, a tale proposito, dal riferimento contenuto nella citata Relazione illustrativa al decreto. In essa (p. 7) si prefigura un’attività di “agente in servizi finanziari” come di colui che promuove la “conclusione di contratti aventi ad oggetto operazioni previste dall’art. 106, comma 1, del T.U. bancario e dalle relative disposizioni di attuazione”. Rammentiamo che dette attività sono: l’assunzione di partecipazioni, la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma e la prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi. Sarà un decreto del Ministro del Tesoro, giusto il rinvio di cui all’art. 3, comma 2, del decreto 374, a “specifica(re) il contenuto dell’attività” in questione, onde non resta che attenderlo per poter svolgere considerazioni più approfondite e consapevoli in argomento.
<![if !supportLists]>12) <![endif]>Va ricordato, a tale proposito, il costante aggiornamento delle cosiddette “categorie a rischio” già operato dal Comitato antiriciclaggio istituito presso il Ministero del tesoro. Detto organismo, con i suoi “Pareri”, ha svolto una meritoria opera di consulenza e stimolo all’attuazione della normativa contro il riciclaggio. Per una rassegna commentata di tali orientamenti si rinvia, tra gli altri, a: C. Lauria e A. Mengali, Codice delle norme antiriciclaggio ed antiusura, Roma, 1996; R. Razzante, La normativa antiriciclaggio in Italia, cit.
<![if !supportLists]>13) <![endif]>Deve essere subito evidenziato comunque che le attività oggetto del decreto in commento restano subordinate, per il loro esercizio, al possesso delle licenze e delle autorizzazioni già previste dalle norme che le regolano (cfr. art. 1, comma 1). Le autorità e gli organi preposti al rilascio di tali licenze saranno però tenute sia alla comunicazione all’UIC dei relativi dati, sia delle eventuali variazioni (art. 1, comma 2); la collaborazione si renderà necessaria anche in sede di approfondimento delle eventuali segnalazioni di operazioni sospette (cfr. art. 4, comma 6).
<![if !supportLists]>14) <![endif]>In effetti non si riesce a comprendere a fondo tale criterio discretivo, laddove si tenti di abbozzare una distinzione tra operazione “sospetta” ed operazione “illecita”; è vero che l’operazione che desta sospetto non è detto che sia illecita, ma è pur vero che non si giungerebbe, probabilmente, alla scoperta di illeciti senza la segnalazione di sospetti! In argomento si veda comunque lo scritto di Morera, altrove citato.
<![if !supportLists]>15) <![endif]>L’utilizzo dell’avverbio “anche” fa pensare che solo per questa fattispecie (del cambio o acquisto di mezzi di gioco) è previsto il limite quantitativo dei 3 milioni, affinchè maturi l’obbligo di identificazione e registrazione, mentre per le altre operazioni poste in essere dai soggetti in questione l’onere de quo scatterà a prescindere da qualsivoglia importo.
<![if !supportLists]>16) <![endif]>Per una rassegna di tali provvedimenti si rinvia al Codice delle norme antiriciclaggio ed antiusura, a cura di C. Lauria ed A. Mengali, Roma, 1996.
<![if !supportLists]>17) <![endif]>Rinviamo qui alle considerazioni già svolte nella parte conclusiva del nostro recente testo, già citato in questo scritto, nonché in R. Razzante, La nuova regolamentazione antiriciclaggio per le attività finanziarie cosiddette “ a rischio”, in Impresa c.i., n. 10/1999, p. 1551 e ss.
<![if !supportLists]>18) <![endif]>Tale deroga viene peraltro confermata dagli estensori della Relazione illustrativa al decreto (p. 9).
<![if !supportLists]>19) <![endif]>E’ in tal senso illuminante il recente saggio di Conforti G., Riciclaggio e Usura: prospettive nell’Europa unita”, in Rivista G.d.F., n. 4/1999, p. 1431, nel quale l’A. tra l’altro afferma ciò che, seppure con minore autorevolezza, anche chi scrive va dicendo da tempo: “occorrerebbe ora avere il coraggio di prendere atto del macro fenomeno del riciclaggio e porre sui Gianos aziendali [Gianos è il “Generatore di indici di anomalia di operazioni sospette” creato in ambito bancario] un Gianos statuale che ne analizzi in automatico le risultanze a livello di sistema, non solo bancario e finanziario, ma anche professionale (notai, avvocati, commercialisti, grossi studi e società d’ingegneria, ecc.)”. A tale ultimo proposito, va segnalata la Proposta di emendamento alla direttiva europea n. 91/308 - presentata dalla Commissione europea nel luglio di quest’anno – la quale, tra l’altro, mira alla estensione delle disposizioni contro il riciclaggio anche ai liberi professionisti, parlando, per la precisione, di “non-financial activities and professions”.