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Secondo l'Avvocato Generale il segreto professionale è valore prevalente rispetto agli obblighi antiriciclaggio.
Le conclusioni dell’Avvocato Generale nel rinvio pregiudiziale nei confronti della II Direttiva Antiriciclaggio: il segreto professionale dell’avvocato prevale sugli obblighi antiriciclaggio
Il 14 dicembre u.s. l’Avvocato Generale Poiares Maduro ha presentato le sue conclusioni nella causa C-305/05, instaurata dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in seguito a rinvio pregiudiziale della Corte Costituzionale belga nei confronti della II Direttiva antiriciclaggio.
Viene riconosciuta la prevalenza della tutela del segreto professionale dell’avvocato rispetto all’adempimento degli obblighi antiriciclaggio.
Qui di seguito alcune osservazioni di prima lettura, con riserva di ulteriori approfondimenti su questo importante riconoscimento dei principi fondamentali della professione forense, di fatto messi in forse dai pressanti obblighi della normativa in questione.
- La domanda di pronuncia pregiudiziale
La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata proposta dalla Cour d'arbitrage (Corte di arbitrato) (Belgio) con ordinanza del 13 luglio 2005 nel procedimento Ordre des barreaux francophones et germanophones, Ordre français des avocats du barreau de Bruxelles (Ordine francese degli avvocati del foro di Bruxelles) contro Conseil des Ministres, e Ordre des barreaux flamands (Ordine degli avvocati fiamminghi) e Ordre néerlandais des avocats du barreau de Bruxelles (Ordine olandese degli avvocati del foro di Bruxelles) contro Conseil des Ministres (Causa C-305/05) ed è così formulata:
“Se l'art. 1, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 dicembre 2001, 2001/97/CE, recante modifica della direttiva del Consiglio 91/308/CEE relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, violi il diritto a un equo processo quale garantito dall'art. 6 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e di conseguenza l'art. 6, n. 2 del Trattato sull'Unione europea, in quanto il nuovo art. 2 bis, sub. 5) che esso ha inserito nella direttiva 91/308/CEE, impone l'inclusione dei membri delle professioni legali indipendenti, senza escludere la professione di avvocato, nell'ambito di applicazione di questa stessa direttiva, la quale, in sostanza, ha per oggetto di imporre alle persone e agli enti da essa contemplati l'obbligo di informare le autorità responsabili della lotta contro il riciclaggio di qualsiasi fatto che potrebbe essere indizio di un siffatto riciclaggio (art. 6 della direttiva 91/308/CEE, sostituito dall'art. 1, sub 5) della direttiva 2001/97/CE.”
- L’istanza di intervento del Consiglio Nazionale Forense
Con istanza depositata il 1° dicembre 2005 presso la cancelleria della Corte, il Consiglio Nazionale Forense (CNF), ha chiesto di essere ammesso ad intervenire nel procedimento per presentare osservazioni sulle questioni sollevate dal giudice a quo, pur non essendo né parte principale né interveniente nel procedimento di cui alla causa principale.
In particolare il CNF sosteneva che, nella qualità di organismo pubblico che rappresenta gli interessi della collettività degli avvocati italiani, avrebbe dovuto avere la possibilità di presentare osservazioni “conformemente al principio generale secondo il quale ogni soggetto di diritto individuale o collettivo, pubblico o privato, dovrebbe essere posto in grado di partecipare ai procedimenti decisionali destinati a produrre effetti che incidono sugli interessi di cui è titolare”.
Il Presidente della Corte ha tuttavia disatteso l’istanza.
“L’art. 40 dello Statuto della Corte riconosce alle persone fisiche o giuridiche il diritto di intervenire dinanzi alla Corte quando dimostrino di avere un interesse alla soluzione della controversia propostale. Dispone altresì che le conclusioni dell’istanza di intervento possono avere come oggetto soltanto l’adesione alle conclusioni di una delle parti. Quindi esso si applica ai procedimenti contenziosi dinanzi alla Corte intesi a dirimere una controversia (v. ordinanza del presidente della Corte Biogen, cit., punto 4; 30 marzo 2004, causa C‑453/03, ABNA, non pubblicata nella Raccolta, punto 14, e 25 maggio 2004, causa C‑458/03, Parking Brixen, non pubblicata nella Raccolta, punto 5).
Orbene, secondo la costante giurisprudenza, il procedimento previsto dall’art. 234 CE non può essere considerato contenzioso. Con esso viene posta in essere tra i giudici nazionali e la Corte una cooperazione diretta mediante un procedimento non contenzioso, che riveste il carattere di un incidente sollevato nel corso di una controversia pendente dinanzi al giudice nazionale (v., in tal senso, sentenza 1° marzo 1973, causa C‑62/72, Bollmann, Racc. pag. 269, punto 4; ordinanze del presidente della Corte Biogen, cit., punto 5; 24 ottobre 2001, causa C‑186/01 R, Dory, Racc. pag. I‑7823, punto 9, e ABNA, cit., punto 15).
Da ciò consegue che la domanda di intervento in un procedimento pregiudiziale è irricevibile (v. ordinanza del presidente della Corte 3 giugno 1964, causa 6/64, Costa, Racc. pag. 1195; sentenza 19 dicembre 1968, causa 19/68, De Cicco, Racc. pag. 689, in particolare pag. 699; e citate ordinanze Biogen, punto 3, nonché ABNA, punto 13).
La procedura per la partecipazione, nei casi di cui all’art. 234 CE, è stabilita dall’art. 23, nn. 1 e 2, dello Statuto della Corte. Tale articolo non prevede per quanto riguarda il diritto di presentare osservazioni alcuna distinzione tra i procedimenti pregiudiziali volti a interpretare norme di diritto comunitario e quelli volti a esaminare la validità di atti delle istituzioni, e limita il diritto di presentare alla Corte memorie o osservazioni alle parti in causa, agli Stati membri, alla Commissione nonché, se del caso, al Consiglio, al Parlamento e alla Banca centrale europea. Con l’espressione «parti in causa» tale disposizione indica solo quelle parti che hanno tale qualità nella lite pendente dinanzi al giudice nazionale (v. citata sentenza Bollmann, punto 4, e citata ordinanza Parking Brixen, punto 7).
Non essendo né parte principale, né interveniente nel procedimento di cui alla causa a qua, al CNF non è stata riconosciuta la qualità di parte ai sensi dell’art. 23, n. 2, dello Statuto della Corte.
Inoltre, gli organismi di diritto pubblico che rappresentano gli interessi di una collettività non appaiono tra gli enti menzionati nel detto art. 23 come aventi il diritto di deporre memorie o osservazioni scritte nell’ambito del procedimento previsto nell’art. 234 CE.”
- Le conclusioni dell’Avvocato Generale: la Direttiva 2001/97 non può prevalere sul diritto fondamentale alla protezione del segreto professionale degli avvocati.
Gli avvocati sono esonerati dall’obbligo di fornire informazioni ottenute nel prima, durante e dopo un procedimento giudiziario, ma anche quando forniscono una consulenza giuridica:
«Les articles 2 bis, point 5, et 6 de la directive 91/308/CEE du Conseil, du 10 juin 1991, relative à la prévention de l’utilisation du système financier aux fins du blanchiment de capitaux, telle que modifiée par la directive 2001/97/CE du Parlement européen et du Conseil, du 4 décembre 2001, sont valides pour autant qu’ils sont interprétés, conformément au dix‑septième considérant de ladite directive et dans le respect des droits fondamentaux à la protection du secret professionnel de l’avocat, en ce sens qu’il y a lieu d’exonérer de toute obligation de déclaration les informations obtenues avant, pendant ou après une procédure judiciaire ou lors de la fourniture de conseils juridiques.»
Insomma, sono da considerarsi prevalenti i principi di indipendenza e di tutela del segreto professionale, garantiti non solo dalle Costituzioni nazionali, ma anche dall’art 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul c.d. “Giusto Processo”, poi incorporato nello stesso Trattato U.E.
I diritti fondamentali sanciti nella Convenzione hanno nell’ordine giuridico comunitario un valore speciale e fanno parte integrante di principi generali di cui la Corte deve assicurare il rispetto; pertanto nell’ordinamento comunitario non possono essere introdotte misure con essi incompatibili.
Viene pure richiamato il considerando n. 17 della Direttiva che recita:
“Gli Stati membri non sono tenuti ad applicare gli obblighi di cui al paragrafo 1 ai notai, ai professionisti legali indipendenti, ai revisori, ai contabili esterni e ai consulenti tributari con riferimento alle informazioni che essi ricevono da, o ottengono su, un loro cliente, nel corso dell'esame della posizione giuridica del loro cliente o dell'espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza di questo cliente in un procedimento giudiziario o in relazione a tale provvedimento compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso.”
La prossima decisione della Corte non è, come noto, vincolata dalle conclusioni dell’Avvocato Generale; tuttavia, come è stato rilevato, si tratta di un “primo passo verso la cancellazione degli obblighi di segnalazione per gli avvocati in materia di lotta al riciclaggio e un rafforzamento del diritto fondamentale alla protezione del segreto professionale dei legali” (Castellaneta, Il Sole 24 Ore, 15 dicembre 2006, 27).
Una conforme decisione della Corte interesserebbe non soltanto la II, ma anche la III Direttiva (la 2005/60), da attuare entro il 15 dicembre 2007.
(Maurizio Arena)
[Per un commento sul giudizio promosso dinanzi alla Corte di Giustizia, Colavitti, Segreto professionale e diritto di difesa, tra obblighi antiriciclaggio e tradizioni costituzionali comuni, Rassegna Forense, 1/2006, 127 ss.]