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I Reati Societari - Antiriciclaggio

L'associazione mafiosa quale reato-presupposto del riciclaggio



L'associazione di tipo mafioso costituisce ex se reato-presupposto del delitto di riciclaggio.



Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione annulla con rinvio una decisione del Tribunale della Libertà, che aveva ritenuto insussistenti i motivi cautelari posti alla base dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere irrogata nei confronti di u

 

Con la pronuncia resa in data 13 gennaio 2009, la Corte di Cassazione (sez I, n. 1025), annulla con rinvio una decisione del Tribunale della Libertà, che aveva ritenuto insussistenti i motivi cautelari posti alla base dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere irrogata nei confronti di un soggetto imputato di concorso in tentativo di riciclaggio aggravato dal metodo mafioso.

 

In base alle investigazioni svolte, l’imputato, direttore di filiale di banca, aveva contribuito, attraverso plurime operazioni finanziarie, a rendere disponibile una provvista di denaro asseritamente derivante da delitto di associazione mafiosa e a porre in essere operazioni di reinvestimento del denaro “lavato” nell’acquisto di pacchetti azionari della società sportiva Lazio S.p.a.

Il tribunale del Riesame, in dissenso rispetto al Gip, aveva evidenziato come  il riciclaggio non potesse avere ad oggetto denaro genericamente proveniente da esponenti del sodalizio mafioso, ma la  provenienza del denaro dovesse essere in qualche modo “tracciata”.

In altri termini, il delitto di cui al 416bis c.p., essendo reato di pericolo, non era idoneo a produrre ex se proventi illeciti e, pertanto, per poter contestare il delitto di riciclaggio, era necessario individuare i singoli reati-fine dell’associazione dai quali derivavano le provviste di denaro da reinvestire.

 

Di diverso avviso è la Suprema Corte, che, accogliendo il ricorso del Procuratore della Repubblica, cassa e rinvia il provvedimento impugnato.

 

Anzitutto la Corte rileva come anche il delitto di associazione mafiosa possa figurare tra i reati-presupposto del delitto di riciclaggio, anche se, come nel caso di specie, i proventi siano, almeno in parte, frutto di attività di per sé lecite poste in essere dal sodalizio criminale. L’argomentazione della Corte, infatti, fa leva sulla diversità tra il delitto di associazione di tipo mafioso e l’associazione per delinquere tout court.

Mentre quest’ultima è necessariamente preordinata alla commissione di un numero indeterminato di delitti, l’associazione di tipo mafioso può anche non essere finalizzata alla commissione di delitti (anche se, nella prassi, il delinquere rientra nel modus operandi degli appartenenti al sodalizio) ma può avere nel proprio “oggetto sociale” anche il compimento di attività di per sé lecite, che assumono il carattere di illegittimità proprio perché poste in essere avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo.

Da questo assunto la Corte desume come l’attività mafiosa sia attività di per sé idonea a generare profitti illeciti, che necessitano di essere riciclati per il successivo reinvestimento.

Per ulteriormente avvalorare la tesi, la Corte richiama la recente legge 125/08 (c.d. pacchetto sicurezza) che, modificando il D.P.R. 115/02, ha escluso gli appartenenti alle associazioni mafiose dalla possibilità di chiedere il gratuito patrocinio, in base alla considerazione che la semplice partecipazione all’associazione era idonea a consentire lucrose entrate all’associato.

 

Fatta questa premessa, poi, la Corte sviluppa l’argomentazione arrivando ad escludere la necessaria “tracciabilità” (ovvero l’indicazione quantomeno approssimativa, delle singole condotte delittuose generatrici di denaro, il suo ammontare e le movimentazioni che il denaro ha subito) delle provviste provenienti da clan mafiosi , poiché, dopo aver accertato la provenienza soggettiva del denaro,  la difficoltà di risalire alle singole condotte generatrici di profitto, lungi dall’essere un ostacolo all’accertamento di responsabilità, era invece indizio di provenienza illecita del denaro stesso, posto che, come conferma anche la ratio sottesa alla disciplina antiriciclaggio di cui al D.lgs. 231/07, la difficile tracciabilità del denaro è sintomo di una sua provenienza da attività illecite.

 

Stefano Pazienza

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