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L'annullamento della Decisione quadro sui reati ambientali



Il 13 settembre 2005 la Corte di Giustizia ha annullato la Decisione quadro sulla protezione dell'ambiente attraverso il diritto penale.

In data 13 settembre 2005 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (causa C 176/03), pronunciando sul ricorso proposto il

In data 13 settembre 2005 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (causa C‑176/03), pronunciando sul ricorso proposto il 15 aprile 2003 dalla Commissione delle Comunità europee, ha disposto l’annullamento della decisione quadro del Consiglio 27 gennaio 2003 (2003/80/GAI), relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale.

- La Decisione quadro 2003/80

Il 27 gennaio 2003, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, su iniziativa del Regno di Danimarca, la decisione quadro, fondata sul titolo VI del Trattato sull’Unione europea, la quale costituisce, come risulta dai suoi primi tre ‘considerando’, lo strumento mediante il quale l’Unione europea intende reagire al preoccupante aumento dei reati contro l’ambiente.

La decisione quadro definisce una serie di reati contro l’ambiente, per i quali gli Stati membri sono invitati ad adottare sanzioni di natura penale.

In particolare, ai sensi dell’art. 2 («Reati intenzionali»):

«Ciascuno Stato membro adotta i provvedimenti necessari per rendere perseguibili penalmente, in virtù del proprio diritto interno:

a)      lo scarico, l’emissione o l’immissione nell’aria, nel suolo o nelle acque, di un quantitativo di sostanze o di radiazioni ionizzanti che provochino il decesso o lesioni gravi alle persone;

b)      lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o di radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque che ne provochino o possano provocarne il deterioramento durevole o sostanziale o che causino il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti a monumenti protetti, ad altri beni protetti, al patrimonio, alla flora o alla fauna;

c)      l’eliminazione, il trattamento, il deposito, il trasporto, l’esportazione o l’importazione illeciti di rifiuti, compresi i rifiuti pericolosi che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, del suolo o delle acque, alla fauna o alla flora;

d)      il funzionamento illecito di un impianto in cui sono svolte attività pericolose che provochi o possa provocare, all’esterno dell’impianto, il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, del suolo o delle acque, alla fauna o alla flora;

e)      la fabbricazione, il trattamento, il deposito, l’impiego, il trasporto, l’esportazione o l’importazione illeciti di materiali nucleari o di altre sostanze radioattive pericolose che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, del suolo o delle acque, alla fauna o alla flora;

f)      il possesso, la cattura, il danneggiamento, l’uccisione o il commercio illeciti di esemplari di specie protette animali o vegetali o di parti di esse, quantomeno ove siano definite dalla legislazione nazionale come minacciate di estinzione;

g)      il commercio illecito di sostanze che riducono lo strato di ozono, quando sono commessi intenzionalmente».

Dal canto suo, l’art. 3 («Reati di negligenza»), così dispone:

«Ciascuno Stato membro adotta i provvedimenti necessari per rendere perseguibili penalmente in virtù del proprio diritto interno, quando sono commessi per negligenza o quanto meno per negligenza grave, i reati di cui all’articolo 2».

L’art. 4 della decisione quadro dispone che ciascuno Stato membro adotta i provvedimenti necessari affinché sia punibile la partecipazione o l’istigazione ai reati di cui all’art. 2.

L’art. 5, n. 1, prevede che le sanzioni penali così istituite devono essere «effettive, proporzionate e dissuasive» e che devono ricomprendere «per lo meno nei casi più gravi, pene privative della libertà che possono comportare l’estradizione». Il n. 2 del medesimo articolo aggiunge che le dette sanzioni «possono essere corredate di altre sanzioni o misure».

L’art. 6 disciplina la responsabilità delle persone giuridiche, mentre l’art. 7 determina le conseguenti sanzioni, «comprendenti sanzioni pecuniarie di natura penale o amministrativa ed eventualmente altre sanzioni».

Infine, l’art. 8 della decisione quadro riguarda la “competenza giurisdizionale” e l’art. 9 disciplina i procedimenti promossi da uno Stato membro che non estrada i propri cittadini.

- La posizione della Commissione

La Commissione si è pronunciata dinanzi ai vari organi del Consiglio contro il fondamento normativo prescelto da quest’ultimo per imporre agli Stati membri l’obbligo di prescrivere sanzioni penali a carico degli autori di reati contro l’ambiente.

Essa ha ritenuto infatti che il corretto fondamento normativo in proposito fosse l’art. 175, n. 1, CE e aveva d’altronde presentato, il 15 marzo 2001, una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale fondata sul detto articolo, la quale elencava, in allegato, gli atti di diritto comunitario violati dalle attività costitutive dei reati elencate all’art. 3 di tale proposta.

Lo stesso Parlamento europeo ha condiviso l’approccio auspicato dalla Commissione in merito alla portata delle competenze comunitarie, invitando il Consiglio a fare della decisione quadro uno strumento complementare della direttiva da adottare in materia di protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale per i soli aspetti della cooperazione giudiziaria e ad astenersi dall’emanare la decisione quadro prima dell’adozione della proposta di direttiva

- Il contrasto tra Commissione e Consiglio

Il Consiglio ha ritenuto di non adottare la proposta di direttiva, ma il quinto e settimo ‘considerando’ della decisione quadro recitano quanto segue:

«(5)      Il Consiglio ha ritenuto opportuno incorporare nella presente decisione quadro varie norme sostanziali contenute nella proposta di direttiva, in particolare quelle che definiscono gli atti che gli Stati membri devono qualificare come reati in virtù del proprio diritto interno.

(7)      Il Consiglio ha esaminato la proposta, ma è giunto alla conclusione che la maggioranza necessaria per l’adozione in sede di Consiglio non può essere raggiunta. La suddetta maggioranza ha ritenuto che la proposta vada oltre le competenze attribuite alla Comunità dal Trattato che istituisce la Comunità europea e che gli obiettivi da essa perseguiti possano essere raggiunti mediante l’adozione di una decisione quadro in base all’articolo VI del Trattato sull’Unione europea. Il Consiglio ha ritenuto inoltre che la presente decisione quadro, basata sull’articolo 34 del Trattato sull’Unione europea, costituisca uno strumento adeguato per imporre agli Stati membri l’obbligo di prevedere sanzioni penali. Tale proposta modificata presentata dalla Commissione non era di natura tale da consentire al Consiglio di modificare la sua posizione al riguardo».

La Commissione ha fatto accludere al verbale della riunione del Consiglio nel corso della quale è stata adottata la decisione quadro la seguente dichiarazione:

«La Commissione è dell’opinione che la decisione quadro non sia lo strumento giuridico idoneo con cui obbligare gli Stati membri ad introdurre sanzioni di carattere penale a livello nazionale in caso di reati a danno dell’ambiente. La Commissione, come ha sottolineato in numerose occasioni in seno agli organi del Consiglio, ritiene che, nell’ambito delle competenze attribuitele ai fini del raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 2 del Trattato che istituisce la Comunità europea, la Comunità abbia facoltà di obbligare uno Stato membro ad imporre sanzioni a livello nazionale, – se del caso anche penali – qualora ciò risulti necessario ai fini del raggiungimento di un obiettivo comunitario.

Rientrano in questa casistica le questioni ambientali che formano oggetto del titolo XIX del Trattato che istituisce la Comunità europea.

Inoltre, la Commissione sottolinea che la sua proposta di direttiva relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale non è stata adeguatamente esaminata nell’ambito della procedura di codecisione.

Qualora il Consiglio adotti la decisione quadro a dispetto delle suddette competenze comunitarie, la Commissione si riserva di esercitare tutti i diritti che le sono attribuiti dal Trattato».

 - Il ricorso

Come si è detto, la Commissione ha contestato la scelta, da parte del Consiglio, dell’art. 34 UE, in combinato disposto con gli artt. 29 UE e 31, lett. e), UE, come fondamento normativo per gli artt. 1‑7 della decisione quadro.

Essa ha ritenuto che la finalità e il contenuto di tale decisione rientrassero nelle competenze comunitarie in materia ambientale, quali enunciate agli artt. 3, n. 1, lett. l), CE e 174 ‑176 CE.

Pur senza attribuire al legislatore comunitario una competenza generale in materia penale, l’orientamento della Commissione è che quest’ultimo sia competente, in forza dell’art. 175 CE, ad imporre agli Stati membri l’obbligo di prevedere sanzioni penali in caso d’infrazione alla normativa comunitaria in materia di protezione ambientale, allorché reputa che ciò configuri un mezzo necessario per garantire l’efficacia di tale normativa (1).

Il Consiglio e gli Stati membri intervenuti nella causa hanno affermato invece che, allo stato attuale del diritto, la Comunità non dispone di alcuna competenza per obbligare gli Stati membri a sanzionare penalmente i comportamenti considerati dalla decisione quadro.

Non soltanto non esisterebbe, in proposito, alcuna attribuzione espressa di competenza ma, tenuto conto della notevole rilevanza del diritto penale per la sovranità degli Stati membri, non potrebbe ammettersi che tale competenza possa essere stata trasferita implicitamente alla Comunità in occasione dell’attribuzione di competenze sostanziali specifiche, quali quelle ex art. 175 CE (2).

Inoltre, sempre secondo il Consiglio, la Corte non avrebbe mai obbligato gli Stati membri ad adottare sanzioni penali.

Secondo la sua giurisprudenza, spetterebbe a questi ultimi il compito di vegliare affinché le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza e che, in ogni caso, conferiscano alla sanzione stessa un carattere di effettività, di proporzionalità e di capacità dissuasiva; inoltre, le autorità nazionali dovrebbero procedere, nei confronti delle violazioni del diritto comunitario, con la stessa diligenza usata nell’esecuzione delle rispettive legislazioni nazionali (v., in particolare, sentenza 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia).

Tuttavia, la Corte non avrebbe dichiarato, né esplicitamente né implicitamente, che la Comunità è competente ad armonizzare le norme penali vigenti negli Stati membri. Al contrario, essa avrebbe ritenuto che la scelta delle sanzioni spetti a questi ultimi.

Infine, la prassi legislativa sarebbe conforme a tale impostazione.

Molteplici atti di diritto derivato riprenderebbero la formula tradizionale secondo la quale occorre prevedere «sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive» (v., ad esempio, art. 3 della direttiva 2002/90), senza peraltro rimettere in discussione la libertà degli Stati membri di scegliere tra la via amministrativa e la via penale.

- Il decisum

Come è noto, la Corte di Giustizia è tenuta a vigilare affinché gli atti che il Consiglio considera rientrare nell’ambito del Titolo VI non sconfinino nelle competenze che le disposizioni del Trattato CE attribuiscono alla Comunità (v. sentenza 12 maggio 1998, causa C‑170/96, Commissione/Consiglio).

In proposito, è pacifico che la tutela dell’ambiente costituisce uno degli obiettivi essenziali della Comunità (v. sentenze 7 febbraio 1985, causa 240/83, ADBHU; 20 settembre 1988, causa 302/86, Commissione/Danimarca, e 2 aprile 1998, causa C‑213/96, Outokumpu).

L’art. 2 CE dispone che la Comunità ha il compito di promuovere «un elevato livello di protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo» e, a tal fine, l’art. 3, n. 1, lett. l), CE prevede l’attuazione di una «politica nel settore dell’ambiente».

Inoltre, ai sensi dell’art. 6 CE, «le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni comunitarie», disposizione questa che sottolinea il carattere trasversale e fondamentale di tale obiettivo.

Gli artt. 174 -176 CE costituiscono, in via di principio, la cornice normativa entro la quale deve attuarsi la politica comunitaria in materia ambientale.

In particolare, l’art. 174, n. 1, CE elenca gli obiettivi dell’azione ambientale della Comunità e l’art. 175 CE definisce le procedure da seguire al fine di raggiungere tali obiettivi. La competenza della Comunità è, in generale, esercitata secondo la procedura prevista dall’art. 251 CE, previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni. Tuttavia, per quanto riguarda taluni settori di cui all’art. 175, n. 2, CE, il Consiglio delibera da solo, statuendo all’unanimità, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento nonché dei due organi menzionati (3).

Per quanto riguarda la finalità della decisione quadro, risulta tanto dal suo titolo quanto dai suoi primi tre ‘considerando’, che essa persegue un obiettivo di protezione dell’ambiente.

Gli artt. 2‑7 recano una parziale armonizzazione delle legislazioni penali degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda gli elementi costitutivi di vari reati contro l’ambiente. Orbene, in via di principio, la legislazione penale, così come le norme di procedura penale, non rientrano nella competenza della Comunità (v., in tal senso, sentenza 11 novembre 1981, causa 203/80, Casati, e 16 giugno 1998, causa C‑226/97, Lemmens).

Tuttavia, secondo la Corte, quest’ultima constatazione non può “impedire al legislatore comunitario, allorché l’applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisce una misura indispensabile di lotta contro violazioni ambientali gravi, di adottare provvedimenti in relazione al diritto penale degli Stati membri e che esso ritiene necessari a garantire la piena efficacia delle norme che emana in materia di tutela dell’ambiente”.

Pertanto, in ragione tanto della loro finalità quanto del loro contenuto, gli artt. 1‑7 della decisione quadro hanno ad oggetto principale la protezione dell’ambiente e avrebbero potuto validamente essere adottati sul fondamento dell’art. 175 CE.

La circostanza che gli artt. 135 CE e 280, n. 4, CE riservino, rispettivamente nei settori della cooperazione doganale e della lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari della Comunità, l’applicazione del diritto penale nazionale e l’amministrazione della giustizia agli Stati membri non è idonea a inficiare tale conclusione (4).

Alla luce di quanto sopra, la decisione quadro, sconfinando nelle competenze che l’art. 175 CE attribuisce alla Comunità, è stata ritenuta lesiva dell’art. 47 UE.

Sulla base di questo ragionamento – e accogliendo le conclusioni dell’Avvocato Generale - la Corte ha dichiarato l’annullamento della decisione quadro 2003/80/GAI, relativa alla protezione dell’ambiente attraverso il diritto penale.

- Gli sviluppi

Come è stato correttamente rilevato, “la decisione dei giudici, rafforzando le competenze comunitarie, amplia i poteri di Commissione e Parlamento e assicura un controllo maggiore alla Corte. Che potrà pronunciarsi sui ricorsi per inadempimento presentati dalla Commissione per mancato recepimento delle direttive da parte degli Stati. Potere che, invece né la Corte né la Commissione hanno per le decisioni quadro in materia penale” (5).

A questo punto non resta che auspicarsi una rapida approvazione della Direttiva, per evitare che tale “scontro istituzionale” vada a nuocere proprio all’effettiva ed efficace salvaguardia dell’ambiente.

(Maurizio Arena)

Questo articolo è stato pubblicato anche su www.lexambiente.com

NOTE

(1)   La stessa Commissione riconosce che non vi sono precedenti in materia. Tuttavia può farsi ricorso alla giurisprudenza della Corte relativa al dovere di lealtà nonché ai principi di effettività e di equivalenza (v., in particolare, sentenze 2 febbraio 1977, causa 50/76, Amsterdam Bulb, e 8 luglio 1999, causa C‑186/98, Nunes e de Matos, nonché ordinanza 13 luglio 1990, causa C‑2/88 IMM, Zwartveld e a.,). Inoltre, svariati regolamenti adottati nel settore della politica della pesca o dei trasporti obbligherebbero gli Stati membri ad agire in sede penale o stabilirebbero limiti ai tipi di sanzione che questi ultimi possono comminare. Ad esempio, due atti comunitari che prevederebbero l’obbligo per gli Stati membri di comminare sanzioni di natura necessariamente penale, ancorché tale qualificazione non sia stata espressamente utilizzata [v. art. 14 della direttiva del Consiglio 10 giugno 1991, 91/308/CEE, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite, e artt. 1‑3 della direttiva del Consiglio 28 novembre 2002, 2002/90/CE, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali]

(2) Gli artt. 135 CE e 280 CE, che riservano esplicitamente l’applicazione del diritto penale nazionale e l’amministrazione della giustizia agli Stati membri, confermerebbero tale interpretazione. Essa sarebbe ulteriormente corroborata dal fatto che il Trattato sull’Unione europea dedica un titolo specifico alla cooperazione giudiziaria in materia penale [v. artt. 29 UE, 30 UE e 31, lett. e), UE], che conferirebbe espressamente all’Unione europea una competenza in materia penale, segnatamente per quanto riguarda la determinazione degli elementi costitutivi dei reati e delle sanzioni applicabili. Sotto questo profilo, secondo il Consiglio, la posizione della Commissione sarebbe paradossale, in quanto equivarrebbe, da un lato, a ritenere che gli autori dei trattati sull’Unione europea e CE abbiano inteso conferire implicitamente alla Comunità una competenza penale e, d’altro lato, ad ignorare che gli stessi autori hanno espressamente attribuito all’Unione europea una tale competenza.

3)      Come la Corte ha già avuto modo di dichiarare, le misure cui fanno riferimento i tre trattini dell’art. 175, n. 2, primo comma, CE presuppongono tutte un intervento delle istituzioni comunitarie in materie come la politica fiscale, la politica dell’energia o la politica dell’assetto del territorio, per le quali, ad eccezione della politica ambientale comunitaria, o la Comunità non dispone di competenze legislative, o è richiesta l’unanimità in seno al Consiglio (sentenza 30 gennaio 2001, causa C‑36/98, Spagna/Consiglio)

4)      Infatti, non può dedursi da tali disposizioni che, in sede di attuazione della politica ambientale, qualunque armonizzazione penale, ancorché limitata come quella derivante dalla decisione quadro, debba essere esclusa, quand’anche si rivelasse necessaria a garantire l’effettività del diritto comunitario.

5)      M. Castellaneta, Il “travaso” delle competenze ora può interessare altri settori, Il Sole 24 Ore, 14 settembre 2005, 25

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