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- IL
GRUPPO DI IMPRESE
Quando l’impresa raggiunge consistenti dimensioni aziendali
essa può assumere la configurazione di una pluralità di società operanti sotto
la direzione unificante di una società capogruppo o holding.
A ciascuna delle società che compongono il gruppo può corrispondere un
distinto settore di attività, una distinta fase del
processo produttivo, una diversa zona territoriale di operatività: ma le azioni
di ciascuna di queste società appartengono, in tutto o in maggioranza, ad una
ulteriore società, detta appunto società holding, alla quale spetta la
direzione ed il coordinamento dell’intero gruppo ed all’interno della quale i
vari settori sono ricondotti ad economica unità.
La scomposizione dell’impresa in una pluralità di società può portare a
separare fra loro, facendone oggetto di separate società, le due fondamentali
funzioni imprenditoriali: l’attività di direzione da un lato e l’attività di
produzione o scambio dall’altro. Si da così luogo ad
una società capogruppo – che si definisce in questo caso holding <pura> -
che non svolge alcuna attività di produzione o di scambio ma che si limita ad
amministrare le proprie partecipazioni azionarie cioè a dirigere le società del
proprio gruppo (società operanti).
In altri casi invece la holding, in forza della
propria partecipazione di controllo in altre società, esercita sulle controllate
<operative> una attività di direzione e coordinamento, ponendosi così a
capo di un gruppo di società. In questo caso la funzione della
holding è essa stessa funzione imprenditoriale corrispondente alla
funzione di direzione strategica e finanziaria che è presente in ogni impresa.
Nelle imprese isolate questa funzione si assomma alle funzioni operative. Nei
gruppi invece essa si separa dalle funzioni operative dando luogo al fenomeno
per il quale l’impresa si scompone in una pluralità di fasi separate, esercitate
ciascuna da un soggetto diverso; sicchè la holding esercita, in modo mediato, la medesima attività
di impresa che le controllate esercitato in modo immediato e diretto (1).
L’oggetto della holding, in questo caso, non è
dunque la gestione di partecipazioni azionarie come tali, ma l’esercizio
indiretto di attività d’impresa. Il concetto di <interesse del gruppo> -
già riconosciuto in varie decisioni dalla Corte di Cassazione la quale ha sottolineato che la società controllante che agisca in
ausilio di altra società del gruppo non soddisfa un interesse altrui, bensì realizza
un proprio interesse (2) - è stato espressamente preso in considerazione nella
legge delega per la riforma del diritto delle società di capitali ed ha
determinato l’inserimento nel codice civile delle norme di cui agli artt. 2497 ter e 2947 c.c.
Sulla base di queste premesse questo Giudice
ritiene di dovere affermare che le società controllanti Ivri
Holding e Cogefi hanno esercitato, attraverso le
controllate, una propria attività d’impresa ed hanno soddisfatto, sempre
attraverso le controllate, un proprio interesse.
Ivri Holding e Cogefi
sono state direttamente coinvolte nella gestione dell’attività di impresa delle società controllate e non si sono limitate
alla mera gestione delle partecipazioni possedute in queste ultime. Dagli atti
emerge che le controllanti, attraverso i propri amministratori, hanno attivamente
partecipato alla fase delle scelte decisionali concernenti la gestione degli
appalti e la consumazione degli illeciti.
Z., dunque, soggetto in posizione apicale in quanto presidente del CDA di
IVRI HOLDING spa, nonché amministratore unico di
COGEFI s.p.a., nel commettere il reato di corruzione
richiamato nel capo f), ha agito nell’interesse delle stesse IVRI Holding e COGEFI
- perseguendo questo interesse facendo sì che le società partecipate
ottenessero, grazie alla corruzione di F., l’aggiudicazione dell’appalto - e
non nell’interesse esclusivo proprio o di terzi.
La difesa ha osservato che Z. non avrebbe agito in quanto
presidente del CDA di Ivri Holding e amministratore
unico di Cogefi, ma quale amministratore di fatto
delle controllate: sul punto basta osservare che Z. ha potuto realizzare i
comportamenti a lui ascritti – sebbene privo di qualifiche formali nelle controllate
– solo in funzione dei poteri rivestiti nelle controllanti.
All’udienza in data 20.9.2004 IVRI Holding, Cogefi,
VCM ed IVRI Torino hanno depositato i modelli di organizzazione
di cui all’art. 6 D.Lvo 231/2001.
E’ dunque indispensabile verificare se questi modelli siano <idonei a
prevenire reati della specie di quello verificatosi> ex art. 6 lett a D.Lvo 231/2001 e se gli
stessi siano <efficacemente attuati>.
I modelli di cui all’art. 6 devono rispondere alle seguenti esigenze: a)
individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati; b)
prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e
l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai
reati da prevenire; c) individuare modalità di gestione delle risorse
finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; d) prevedere obblighi
di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento
e l’osservanza dei modelli; e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare
il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Attraverso l’adozione e l’attuazione di un modello organizzativo idoneo a
prevenire reati della specie di quello verificatosi l’ente deve eliminare –
come stabilito dall’art. 17 – quelle “carenze
organizzative che hanno determinato il reato”.
Il modello deve dunque prevedere, in relazione alla
natura e alla dimensione dell’organizzazione nonchè
al tipo di attività svolta, misure idonee a garantire lo svolgimento dell’attività
nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni
di rischio.
Deve subito sottolinearsi che le scelte
organizzative dell’impresa sono proprie dell’imprenditore.
Il D. Lgs 231/2001 non può dunque essere
interpretato nel senso di una intromissione giudiziaria
nelle scelte organizzative dell’impresa ma nel senso di una necessaria verifica
di compatibilità di queste scelte con i criteri di cui al D. Lgs 231/2001. Ciò che il decreto richiede è che
l’imprenditore adotti modelli di organizzazione idonei
a ridurre il rischio che si verifichino, nella vita dell’impresa, <reati
della specie di quello verificatosi> (art. 6 d D. Lgs 231/2001).
I modelli – in quanto strumenti organizzativi
della vita dell’ente - devono qualificarsi per la loro concreta e specifica
efficacia e per la loro dinamicità; essi devono scaturire da una visione realistica
ed economica dei fenomeni aziendali e non esclusivamente giuridico-formale.
Come osservato nella Relazione allo schema del Decreto legislativo 231
“requisito indispensabile perché dall’adozione del modello derivi l’esenzione
da responsabilità dell’ente è che esso venga anche efficacemente attuato:
l’effettività rappresenta dunque un punto qualificante ed irrinunciabile del
nuovo sistema di responsabilità”.
La rilevanza di un idoneo modello organizzativo é estrema: il modello infatti é criterio di esclusione della responsabilità
dell’ente ex art. art. 6 I comma ed ex art. 7; é
criterio di riduzione della sanzione pecuniaria ex art. 12; consente, in
presenza di altre condizioni normativamente previste,
la non applicazione di sanzioni interdittive ex art.
17; consente la sospensione della misura cautelare interditta emessa nei
confronti dell’ente ex art. 49.
Il modello peraltro potrà determinare questi effetti favorevoli nei
confronti dell’ente solo ove lo stesso sia concretamente idoneo a prevenire la
commissione di reati nell’ambito dell’ente per il quale
é stato elaborato; il modello dovrà dunque essere concreto, efficace e
dinamico, cioè tale da seguire i cambiamenti dell’ente cui si riferisce. La
necessaria concretezza del modello, infatti, ne determinerà ovviamente
necessità di aggiornamento parallele all’evolversi ed
al modificarsi della struttura del rischio di commissione di illeciti.
Nel caso in esame particolare attenzione dovrà essere rivolta – per tutto
quanto esposto in sede di valutazione della sussistenza delle esigenze
cautelari - ai meccanismi di creazione di fondi extracontabili, alle modalità di redazione della contabilità, alle modalità di
redazione dei bilanci, ai meccanismi di fatturazione infragruppo,
agli spostamenti di liquidità da una società all’altra del gruppo (sul punto
eloquenti le conversazioni telefoniche di cui ai fl.
674 e ss, fald. 4), alle modalità di esecuzione degli appalti ed ai controlli
relativi.
L’individuazione delle attività nel cui ambito possono
essere commessi reati presuppone un’analisi approfondita della realtà aziendale
con l’obiettivo di individuare le aree che risultano interessate dalle
potenziali casistiche di reato.
E’ altresì necessaria un’ analisi delle
possibili modalità attuative dei reati stessi.
Questa analisi deve sfociare in una rappresentazione esaustiva di come i
reati possono essere attuati rispetto al contesto
operativo interno ed esterno in cui opera l’azienda.
In questa analisi dovrà necessariamente tenersi
conto della storia dell’ente - cioè delle sue vicende, anche giudiziarie,
passate - e delle caratteristiche degli altri soggetti operanti nel medesimo
settore.
L’analisi della storia dell’ente e della realtà aziendale è
imprescindibile per potere individuare i reati che, con maggiore facilità,
possono essere commessi nell’ambito dell’impresa e le loro modalità
di commissione.
Questa analisi consente di individuare – sulla base di
dati storici - in quali momenti della vita e della operatività dell’ente
possono più facilmente inserirsi fattori di rischio; quali siano dunque i momenti
dell’vita dell’ente che devono più specificamente essere parcellizzati e procedimentalizzati in modo da potere essere adeguatamente
ed efficacemente controllati: ad esempio il momento della presentazione delle
offerte per gli enti che partecipano ad appalti pubblici; i contatti con la
concorrenza; la costituzione di ATI; le modalità di esecuzione degli appalti;
l’analisi delle attribuzioni a soggetti esterni di consulenze (con particolare
riguardo al costo ed alla effettività delle stesse), la gestione delle risorse
economiche, le movimentazioni di denari all’interno del gruppo, ecc.
Solo una analisi specifica e dettagliata può
consentire un adeguato e dinamico sistema di controlli preventivi e può
consentire di progettare <specifici protocolli diretti a programmare la formazione
e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da
prevenire>.
La giurisprudenza ha già sottolineato la
assoluta necessità di porre particolare attenzione, nella formazione dei
modelli organizzativi, alla storia dell’ente affermando che <quando il
rischio (di commissione di illeciti) si è concretizzato e manifestato in
un’elevata probabilità di avvenuta commissione dell’illecito da parte della
società, i modelli organizzativi predisposti dall’ente dovranno necessariamente
risultare maggiormente incisivi in termini di efficacia dissuasiva e dovranno
valutare in concreto le carenze dell’apparato organizzativo e operativo
dell’ente che hanno favorito la perpetrazione dell’illecito> (GIP Trib. Roma, 4.4.2003).
E’ evidente che non esiste una diversità strutturale tra modelli
organizzativi a seconda che gli stessi vengano
elaborati ex ante ovvero ex post; lo stesso modello organizzativo può ritenersi
o meno adeguato indipendentemente dal momento in cui lo stesso venga adottato:
ciò che si deve sottolineare non è una eventuale maggiore necessità di
incisività del modello elaborato ex post, ma la assoluta necessità che il
modello elaborato ex post – e cioè dopo la contestazione dell’illecito - tenga
presente la storia dell’ente e prenda in serio esame i <segnali di
rischio> che detta storia ha evidenziato.
Le linee guida elaborate da alcune associazioni rappresentative di enti suggeriscono la separazione di compiti fra coloro
che svolgono fasi cruciali nell’ambito di un processo a rischio, l’attribuzione
di poteri di firma autorizzativi e di firma coerenti con le responsabilità
organizzative e gestionali, l’esistenza di un sistema di monitoraggio idoneo a
segnalare situazioni di criticità. Si è ancora suggerito, nel settore specifico
dei rapporti con la P.A., la
nomina di un responsabile, interno alla società, per ogni singola operazione
rientrante in aree di rischio, con obblighi di documentazione specifica delle
attività svolte; l’adozione di soglie ulteriori di controllo interno quando si
partecipa a consorzi o ad ATI, l’adozione di strumenti finalizzati alla
verifica dell’esistenza, non meramente contabile, delle prestazioni espletate
dai consulenti, l’adozione di strumenti e meccanismi che rendano trasparente la
gestione delle risorse finanziarie e che, in sintesi, impediscano che vengano
create - attraverso emissione di fatture per operazioni inesistenti, attraverso
spostamenti di denaro non giustificati fra società appartenenti allo stesso
gruppo, attraverso pagamenti di consulenze mai effettivamente prestate ovvero
di valore nettamente inferiore a quello dichiarato dalla società -
disponibilità occulte.
E’ infatti evidente che la consumazione di una
ampia serie di quei reati che i compliance programs devono tentare di impedire presuppone la
disponibilità da parte delle società di denaro non emergente dalla contabilità
ufficiale e, dunque, spendibile senza controllo.
Sulla base di queste premesse possono ora
analizzarsi i modelli organizzativi predisposti dalle società.
Questo Giudice ritiene di dovere affermare la inadeguatezza
del modello organizzativo elaborato nell’interesse di VCM.
In particolare possono individuarsi alcuni punti del modello certamente
non rispondenti alle caratteristiche di specificità ed efficacia sopra
delineate.
Per quanto concerne l’Organo di Vigilanza (di cui al paragrafo 3 del
documento generale prodotto da VCM) si osserva che, perché questo
organo possa adeguatamente ed efficacemente adempiere ai propri compiti,
è necessario che ne sia garantita la autonomia, l’indipendenza e la professionalità.
Sotto questo profilo il modello appare lacunoso e generico.
In punto di autonomia dell’organo di vigilanza
il modello si limita a rinviare ai “curricula dei singoli
componenti dell’organo”. Il modello non prevede che, necessariamente, i componenti dell’organo di vigilanza debbano possedere
capacità specifiche in tema di attività ispettiva e consulenziale.
Ci si riferisce al campionamento statistico; alle tecniche di
analisi e valutazione dei rischi; alle tecniche di intervista e di
elaborazione di questionari, alle metodologie per l’individuazione delle frodi.
La composizione dell’organo di vigilanza muta nel tempo ed é evidente che un
organo di vigilanza “debole” non può adempiere ai
propri compiti.
In tema di nomina dei componenti dello stesso
organo si prevedono alcune cause di ineleggibilità: la condanna con sentenza
passata in giudicato per avere commesso uno dei reati di cui al D. lgs 231/2001 ovvero la condanna ad
una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici
ovvero l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche
o delle imprese.
Se l’organo di vigilanza deve, pur se organo interno alla società, essere
indipendente ed in grado di controllare non solo i dipendenti, ma anche i
direttori e gli amministratori dell’ente, appare veramente eccessivo
pretendere, perché operi la causa di ineleggibilità,
che nei confronti del soggetto che si vorrebbe nominare sia stata emessa una
sentenza di condanna e che la sentenza sia diventata irrevocabile: potrebbe
cioè nominarsi quale membro dell’organo di vigilanza un soggetto condannato –
seppure con sentenza non irrevocabile - per corruzione, per truffa aggravata ai
danni di ente pubblico, per frode fiscale ovvero un soggetto nei confronti del
quale sia stata emessa sentenza di patteggiamento divenuta irrevocabile ad
esempio per gravi fatti corruttivi.
In ordine alla formazione - il cui compito è
quello di assicurare una adeguata conoscenza, comprensione ed applicazione del
modello da parte dei dipendenti e dei dirigenti - le <precisazioni finali>
contenute nel modello VCM sono assolutamente generiche: non si differenzia la
formazione a seconda che la stessa si rivolga ai dipendenti nella loro
generalità, ai dipendenti che operino in specifiche aree di rischio, all’organo
di vigilanza ed ai preposti al controllo interno; non si prevede il contenuto
dei corsi, la loro frequenza, l’obbligatorietà della partecipazione ai
programmi di formazione; non si prevedono controlli di frequenza e di qualità
sul contenuto dei programmi di formazione.
Per quanto concerne il sistema disciplinare non
è espressamente prevista la comminazione di sanzione disciplinare nei confronti
degli amministratori, direttori generali e compliance
officers che per negligenza ovvero imperizia – non
abbiano saputo individuare, e conseguentemente eliminare, violazioni del
modello e, nei casi più gravi, perpetrazione di reati.
Anche la sezione del modello organizzativo di VCM dedicato alla <mappatura dei reati, individuazione delle attività nel cui
ambito possono essere commessi reati, individuazione delle
relative procedure di prevenzione>, è estremamente generica e, dunque,
inadeguata.
Già si è detto che l’elaborazione di modelli organizzativi deve tenere
necessariamente conto della specificità dell’ente per il quale vengono elaborati, del settore nel quale l’ente opera e
della sua storia (anche giudiziaria).
Nel caso di VCM, dunque, società i cui amministratori sono indagati per
gravi fatti di corruzione e di truffa ai danni di Ente
Pubblico, la mappatura dei rischi e la individuazione
di protocolli di prevenzione avrebbe dovuto essere estremamente attenta ai
profili collegati alla gestione delle risorse economiche, alla creazione di
fondi neri, alla gestione di tutte le fasi relative alla partecipazione a gare
d’appalto, all’esecuzione dei contratti.
A proposito della questione estremamente
rilevante e relativa alle modalità di gestione delle risorse economiche nelle
società del gruppo devono qui richiamarsi le dichiarazioni rese da T. C. C., da C. L., da C. D., le risultanze delle
intercettazioni telefoniche e l’avvenuto sequestro, in data 31.3.2004, della
somma di euro 443.140,00 nel c.d. scheletro sito nella sede di IVRI Torino. E’ pacifico
che questa somma – sebbene materialmente detenuta nella sede di
IVRI Torino- fosse destinata al pagamento di
tangenti a favore di pubblici funzionari in grado di agevolare non solo IVRI Torino,
ma tutte le società del gruppo.
Il modello elaborato da VCM si mostra sotto i profili
sopra evidenziati estremamente carente, si esaurisce in una mera
iterazione del dettato normativo e difetta conseguentemente sia di specificità
che di dinamicità.
Deve ancora aggiungersi che, per quanto concerne i sistemi di controllo e
di monitoraggio del funzionamento e dell’aggiornamento del modello, non sono
previste sistematiche procedure di ricerca ed identificazione dei rischi quando
sussistano circostanze particolari (es. emersione di precedenti
violazioni, elevato turn-over del personale) così come non sono previsti
controlli di routine e controlli a sorpresa – comunque periodici – nei
confronti delle attività aziendali sensibili.
Il modello organizzativo di VCM non può dunque ritenersi <idoneo a
prevenire reati della specie di quello verificatosi> così come richiesto dal
D. Lgs 231/2001.
Anche la lettura dei modelli di organizzazione
di IVRI Torino ne evidenzia la estrema genericità e dunque la inadeguatezza al
perseguimento degli obiettivi di cui al D. lgs 231/2001.
In tema di nomina dei componenti dell’organo di
Vigilanza nella sezione IX del modello si prevedono alcune cause di
ineleggibilità e decadenza, fra le quali la condanna ad una pena che importa
l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici ovvero l’interdizione
temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese.
Richiamato tutto quanto già detto sul punto a proposito dei modelli
organizzativi di VCM, si ribadisce che appare
veramente eccessivo pretendere, perché operi la causa di ineleggibilità, che
nei confronti del soggetto che si vorrebbe nominare quale componente
dell’organo di vigilanza sia stata emessa sentenza di condanna divenuta irrevocabile.
E’ dunque esclusa la rilevanza di una eventuale
sentenza di condanna non irrevocabile ovvero di una sentenza di patteggiamento
(anche per grave fatto corruttivo) emessa nei confronti di chi dovrebbe fare
parte dell’organo di vigilanza.
Non è previsto e disciplinato un obbligo per i dipendenti, i direttori,
gli amministratori della società di riferire all’organismo di
vigilanza notizie rilevanti e relative alla vita dell’ente, a violazioni del
modello o alla consumazione di reati.
L’unica previsione al riguardo é quella – estremamente
generica - di cui a pagina 25 del modello ove si prevede che “IVRI Torino …. predispone canali di informazione tramite i quali tutti coloro
che vengano a conoscenza di eventuali comportamenti illeciti posti in essere
all’interno della società … possano riferire all’organismo di vigilanza” (v.
anche l’analoga previsione contenuta nel capito 9, pagina 7 del modello). Non viene fornita alcuna concreta indicazione sulle modalità attraverso
le quali coloro che vengano a conoscenza di comportamenti illeciti possano
riferire all’organo di vigilanza: i “canali di informazione” cui si riferisce
il modello organizzativo per la loro grande rilevanza dovrebbero, invece,
essere resi noti – anche tramite la diffusione del modello stesso - ai
dipendenti delle società.
La particolare rilevanza della previsione di obblighi
di informazione dei dipendenti e amministratori nei confronti dell’organismo di
vigilanza é sottolineata anche nelle linee guida elaborata da enti
rappresentativi di associazioni le quali hanno altresì cercato di catalogare i
dati che dovrebbero essere obbligatoriamente riferiti dai dipendenti all’organo
di vigilanza.
Anche nel modello di Ivri
Torino non è prevista la comminazione di sanzione disciplinare nei confronti
degli amministratori, direttori generali e compliance
officers che – per negligenza ovvero imperizia – non
abbiano saputo individuare, e conseguentemente eliminare, violazioni del
modello e, nei casi più gravi, perpetrazione di reati.
Inoltre: le previsioni del modello organizzativo in
tema di formazione sono assolutamente generiche e si può sul punto richiamare
quanto già osservato a proposito dei modelli organizzativi di VCM: non si
differenzia la formazione a seconda che la stessa si rivolga ai dipendenti
nella loro generalità, ai dipendenti che operino in specifiche aree di rischio,
all’organo di vigilanza ed ai preposti al controllo interno; non si prevede il
contenuto dei corsi, la loro frequenza, l’obbligatorietà della partecipazione
ai programmi di formazione; non si prevedono controlli di frequenza e di
qualità sul contenuto dei programmi di formazione.
Il modello organizzativo di IVRI Torino contiene
poi una parte dedicata alla “mappatura dei reati,
individuazione dei rischi, protocolli di prevenzione”.
Deve qui ribadirsi tutto quanto già sopra
osservato e deve essere sottolineata la assoluta genericità dei c.d. protocolli
di prevenzione i quali – proprio in relazione ai reati rientranti nella area di
rischio delle società in esame – si limitano ad enunciati privi di un qualsiasi
contenuto concreto ed operativo.
Già si è detto che la specificità e dinamicità del modello organizzativo è indispensabile perché lo stesso possa essere ritenuto
efficace ed idoneo <a prevenire reati della specie di quello verificatosi>
e che il modello deve tenere conto della storia, anche giudiziaria, della
società alla quale si riferisce.
Si ricorda che in data 31.3.2004 è stata effettuata
una perquisizione presso la sede dell’IVRI di Torino a carico
dell’amministratore delegato della società, C. L.
(indagato per concorso in corruzione continuata) (v. decreto di perquisizione
in data 30.3.2004).
Nel corso della perquisizione gli Ufficiali di P.G. rinvenivano
una somma di denaro contante per complessivi euro 443.140,00 (v. verbale di
sequestro in data 31.03.04). La somma era posta all’interno di un armadio
metallico di sicurezza collocato nella sala riunioni della società e nella disponibilità
dello stesso C. (lo <scheletro> di cui alle conversazioni telefoniche
intercettate).
Gli operanti chiedevano ai presenti (tra i quali G. S., Segretaria di
Direzione dell’I.V.R.I., R. L., Comandante dell’I.V.R.I., A. C., Direttore Commerciale, G. A., Responsabile
Amministrativo, e R. A., Consigliere d’Amministrazione) di esibire ogni
documento che potesse giustificare la presenza di una somma così ingente di
denaro contante, non compatibile con l’ordinario esercizio di una normale
attività societaria; nessuno dei presenti era però in grado di fornire alcuna
attestazione documentale o contabile in merito (v. annotazione di P.G. datata
02.04.04).
Da un controllo delle scritture contabili della società emergeva che, in
base al bilancio d’esercizio chiuso al 31.12.2003, l’IVRI aveva una consistenza
di cassa pari ad euro 14.875,00: consistenza certamente non compatibile con la
corposa liquidità di denaro rinvenuta nella società stessa (v. rapporto di
servizio datato 02.04.04). Sempre dal bilancio 2003, inoltre, risultava un indebitamento dell’IVRI nei confronti di
diversi istituti di credito per un totale complessivo pari ad euro
1.429.849,00: anche questo elemento è in netto contrasto con quanto trovato a
seguito della perquisizione dei locali della stessa IVRI e chiarisce che la
somma sequestrata non era destinata a fare fronte a debiti od a spese
documentabili della società.
Si deve poi ricordare la telefonata n. 1621 del 27.01.04 ore 18.29
(intercettata sull’utenza in uso a T. C.) nel corso
della quale C. dice espressamente a T., il quale lo accusa dell’ammanco di circa
12.000,00 euro dalle casse dell’IVRI, di avergli consegnato personalmente tale
importo “per l’ENAV e per l’ESERCITO”.
Omissis
Da tutto quanto esposto appare chiaro, dunque, che la società IVRI Torino
era solita accantonare ingenti quantitativi di denaro
contante da avere nell’immediata disponibilità e da consegnare a pubblici
funzionari in grado di assicurare l’aggiudicazione degli appalti, ivi compresi (come
dichiarato dallo stesso T.) appalti ai quali non
partecipava la società torinese, ma altre società del gruppo.
La somma contante rinvenuta a seguito della
perquisizione del 31.03.04 era tenuta dall’IVRI nella propria pronta e diretta
disponibilità solo ed esclusivamente per fini illeciti correlati alla necessità
di corrispondere denaro a pubblici funzionari per aggiudicarsi appalti: questo
emerge in modo chiaro ed inequivocabile dalla conversazione telefonica sopra
riportata: li ho dati a te i soldi … per l’ENAV e per l’Esercito.
Ciò premesso si rileva che – nonostante l’esistenza di indici
particolarmente concreti di segnalazione di un rischio specifico - nessuna
indicazione é contenuta nel modello IVRI Torino al fine di rendere estremamente
complessa la possibilità di accantonamento di fondi neri.
Questo Giudice ritiene che l’ente – nella predisposizione del modello e
per far sì che lo stesso potesse effettivamente essere
ritenuto specifico ed efficace - avrebbe dovuto dedicare particolare attenzione
all’individuazione delle modalità di accantonamento di “fondi neri” (utilizzati
per il pagamento di tangenti) e all’individuazione delle carenze organizzative
e di controllo interno che hanno reso possibile una gestione delle risorse
finanziarie caratterizzata da una assoluta mancanza di trasparenza.
Deve dunque concludersi nel senso che anche il
modello elaborato da IVRI Torino risulta, sotto tutti i profili sopra
evidenziati, estremamente carente; si esaurisce in una mera iterazione del dettato
normativo e difetta conseguentemente sia di specificità che di dinamicità.
Il modello organizzativo di IVRI Torino non può
dunque ritenersi <idoneo a prevenire reati della specie di quello
verificatosi> così come richiesto dal D. Lgs
231/2001.
Anche i modelli elaborati nell’interesse delle società IVRI Holding e Cogefi – ed in particolare la sezione dei modelli dedicata
alla <mappatura dei reati, individuazione dei
rischi e protocolli di prevenzione> - sono estremamente
generici.
Al capo f di imputazione preliminare si ascrive
alle società Ivri Holding e Cogefi
di avere reso possibile che, in concorso fra loro, Z. G. P. in
qualità di socio e presidente del CDA della IVRI HOLDING spa, nonché socio e amministratore unico della COGEFI srl direttamente interessato agli esiti delle gare di
appalto cui partecipano le società del gruppo IVRI, T.
C. in qualità di amministratore di società del gruppo, diretto conoscente di F. M. per pregressi rapporti illeciti, C. D., in qualità di
commercialista del gruppo che curava parallelamente la trattativa negli aspetti
tecnici ed economici, promettevano a F. M., direttore
centrale di Poste Italiane spa, e amministratore di
POSTE TUTELA spa, importi di circa € 600.000 nel
dicembre 2003 gennaio 2004, perché in violazione del dovere di imparzialità e
delle procedure di evidenza pubblica favorisse l’ATI cui partecipavano società
del gruppo IVRI nel rinnovare per un triennio l’appalto per i servizi di scorta
valori presso gli uffici postali di numerose province.
Già si è detto che il modello organizzativo deve qualificarsi per la sua
concreta e specifica efficacia e per la sua dinamicità; esso deve scaturire da
una visione realistica ed economica dei fenomeni aziendali e non esclusivamente
giuridico-formale; il modello deve dunque necessariamente
tenere conto della storia della società alla quale si riferisce in quanto l’analisi della stessa è indispensabile per la
individuazione dei c.d. fattori di rischio.
I modelli organizzativi di IVRI Holding e Cogefi avrebbero, quindi, dovuto dedicare particolare
attenzione all’individuazione delle modalità attraverso le quali è stato
possibile per le società realizzare un costante e consistente accantonamento di
fondi neri, spendibili quindi senza alcuna necessità di giustificazione.
Avrebbero, poi, dovuto essere previsti meccanismi tali da rendere estremamente difficoltoso per i vertici di IVRI Holding e Cogefi <coordinare> le attività corruttive funzionali
a fare in modo che le società operative (le controllate) potessero ottenere
l’aggiudicazione di appalti pubblici: si ricorda il ruolo gestorio
svolto da T. - in ragione del suo particolare
rapporto fiduciario con G. P. Z. - a favore di società del gruppo delle quali
tuttavia egli non era formalmente amministratore (v. l’intervento di T. nel “rinnovo” del contratto con Poste, nonché la telefonata intercorsa tra T.
C. e C. D. al progressivo 1118 del 5.1.2004).
I modelli organizzativi elaborati da IVRI Holding e da Cogefi sono, invece, sotto tutti i profili sopra
evidenziati, estremamente carenti; essi si esauriscono
in una mera iterazione del dettato normativo e difettano conseguentemente sia
di specificità che di dinamicità.
Ci si riferisce ad esempio a quanto stabilito nella sezione dei modelli
dedicata ai protocolli di prevenzione ed in particolare a quanto previsto nelle
cartelle n. 21 e seguenti: si prevede la <predisposizione di meccanismi di archiviazione delle scritture contabili atti ad una
ricostruzione rapida e precisa della vita contabile societaria>. Deve essere
sottolineata la estrema genericità ed astrattezza
della previsione che non indica quali siano concretamente le modalità, i
meccanismi ed i tempi di archiviazione delle scritture e, dunque, gli effettivi
poteri di controllo esercitabili dall’Organo di
Vigilanza.
I modelli elaborati da Ivri Holding e Cogefi devono essere ritenuti inadeguati
anche sotto altri profili.
Deve ribadirsi quanto già osservato a proposito
dei modelli VCM ed Ivri Torino in ordine alle cause
di ineleggibilità previste per i membri dell’organo di vigilanza ed in
particolare per la causa di ineleggibilità consistente nell’avere riportato
condanna ad una pena che comporta l’interdizione anche temporanea dai pubblici
uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi.
Se l’organo di vigilanza deve, pur se organo interno alla società, essere
indipendente ed in grado di controllare non solo i dipendenti, ma anche i
direttori e gli amministratori dell’ente, appare veramente eccessivo
pretendere, perché operi la causa di ineleggibilità,
che nei confronti del soggetto che si vorrebbe nominare sia stata emessa una
sentenza di condanna irrevocabile: potrebbe cioè nominarsi quale membro
dell’organo di vigilanza un soggetto condannato – seppure con sentenza non
irrevocabile - per corruzione, per truffa aggravata ai danni di ente pubblico,
per frode fiscale ovvero un soggetto nei confronti del quale sia stata emessa
sentenza di patteggiamento ad esempio per gravi fatti corruttivi.
Nulla è previsto dai modelli organizzativi in esame in tema di formazione
(il capitolo VI contiene solo la parte dedicata alla diffusione del codice
etico).
Per quanto concerne il sistema disciplinare non
è espressamente prevista dai modelli la comminazione di sanzione disciplinare
nei confronti degli amministratori, direttori generali e compliance
officers che – per negligenza ovvero imperizia – non
abbiano saputo individuare, e conseguentemente eliminare, violazioni del
modello e, nei casi più gravi, perpetrazione di reati.
Non è poi previsto un obbligo per i dipendenti, i direttori, gli amministratori
della società di riferire all’organismo di vigilanza
notizie rilevanti e relative alla vita dell’ente, a violazioni del modello o
alla consumazione di reati. Nelle linee guida elaborate da associazioni
rappresentative di enti è sottolineata la necessità di
inserire nei modelli organizzativi una previsione di questo tipo; alcune
associazioni rappresentative hanno anche cercato di catalogare i dati che
dovrebbero essere obbligatoriamente riferiti dai dipendenti all’organo di
vigilanza.
L’unica disposizione al riguardo inserita nei modelli di
IVRI Holding e Cogefi é quella – estremamente
generica (di cui a pagina 23 del modello Cogefi e di
cui a pagina 25 del modello Ivri Holding) - ove si
prevede che la società “predispone canali di informazione tramite i quali tutti
coloro che vengano a conoscenza di eventuali comportamenti illeciti posti in
essere all’interno della società … possano riferire all’organismo di
vigilanza”.
Per tutti i motivi indicati anche i modelli organizzativi di IVRI Holding e di Cogefi non
possono dunque ritenersi <idonei a prevenire reati della specie di quello
verificatosi> così come richiesto dal D. Lgs
231/2001.
(1) Le norme che regolano la redazione dei bilanci
distinguono tra partecipazioni di controllo che sono immobilizzazioni finanziarie
e partecipazioni di controllo che sono attivo circolante. Ai sensi dell’art.
2424 bis comma II c.c. le partecipazioni in società controllate o collegate si
presumono immobilizzazioni, ossia partecipazioni miranti ad esercitare una influenza dominante sulla controllata, o una influenza
notevole sulla collegata, e non meri valori di scambio ossia partecipazioni
acquistate in vista della loro successiva rivendita.
(2) Cass. 20.3.68 n. 2215; Cass. 2.4.69 n. 1963, Cass. 20.10.69, n. 907
(secondo le quali la remissione del debito da parte della holding
a favore di una sua controllata non è tassabile come atto di liberalità essendo
la prima mossa da un proprio interesse patrimoniale a ridurre il passive della
controllata ed a salvarla dal rischio di fallimento); Cass. 14.9.76 n. 3150 (secondo
la quale le fideiussioni rilasciate da una società del gruppo a favore di altra
società del medesimo gruppo non sono atti estranei all’oggetto sociale della
prima perché preordinati ad un interesse sia pure mediato ed indiretto della società,
ma giuridicamente rilevante, e non possono pertanto a causa della semplice
mancanza di controprestazioni contrattualmente esigibili essere considerati
contrari o estranei al conseguimento dell’oggetto sociale della società che li ha
compiuti); Cass. 11.3.96 n. 2001 (secondo la quale non è atto di liberalità,
come tale revocabile ai sensi dell’art. 64 l. fall. la cessione gratuita di crediti verso terzi da una società
all’altra del medesimo gruppo)