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Parte II
Ammettono la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato:
- Tribunale di Torino, Giudice per le indagini
preliminari, dott.ssa Salvadori, udienza 12 gennaio 2006
- Tribunale Roma, Giudice per le indagini preliminari, dott. Colella, udienza 21 aprile 2005
- Le ragioni dell’ammissibilità
Secondo l'impostazione
tradizionale, la responsabilità civile di un ente poteva essere ancorata al
disposto dell'art. 2049 c.c..
Tale norma (responsabilità del padrone/committente per un fatto illecito del
dipendente o del commesso), consentiva già prima dell'entrata in vigore del d.lg. 231,
l'esercizio nel processo penale delle pretese civili nei confronti dell'ente
per danni cagionati dal reato realizzato dalla persona fisica, mediante la
citazione del responsabile civile (ex artt. 83 e ss. c.p.p.).
Pur prescindendo dalla natura (amministrativa, penale, tertium
genus) degli illeciti dell’ente, qualificati dalla
legge come "amministrativi dipendenti da reato", non può essere
superato il dato incontrovertibile dell'introduzione ad opera del d.lg. 231 di una nuova ipotesi di illecito.
Posto che l'art. 2043 c.c. prevede che "qualunque fatto illecito" che
cagiona ad altri un danno obbliga colui che ha
commesso il fatto a risarcire il danno, ne consegue che, dopo l’entrata in
vigore del d.lg. 231, il danneggiato deve ritenersi
legittimato ad adire il giudice civile anche per ottenere dall'ente il
risarcimento dei danni cagionati dalla realizzazione degli illeciti
amministrativi ad esso riconducibili.
Alla responsabilità indiretta dell'ente ex art 2049 c.c., si è aggiunta, pertanto, una responsabilità
diretta dell'ente stesso ex art. 2043 c.c..
Va ancora segnalato che la competenza a giudicare su questa nuova ipotesi di
illecito spetta al giudice penale.
Appare coerente con il sistema ritenere che, in assenza di una
esplicita esclusione, anche per tale pretesa civile – originata dal
combinato disposto della disciplina del d.lg. 231 e
dall'art. 2043 c.c. – debba valere il principio generale, sancito dagli artt. 185 c.p. e 74 c.p.p.,
secondo cui l'azione civile può essere iniziata o trasferita nel processo
penale.
Tali disposizioni, che stabiliscono rispettivamente che "ogni reato che
abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento
il colpevole e le persone che a norma delle leggi civili debbono
rispondere per il fatto da quello commesso" e che "l'azione civile
per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all'art. 185 c.p.
può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha
arrecato danno nei confronti dell'imputato e del responsabile civile", non
appaiono infatti ostative alla possibilità per il danneggiato di far valere la
propria pretesa risarcitoria nel procedimento relativo
all'accertamento della responsabilità dell'ente.
Al contrario, non può non rilevarsi come il d.lg. 231, pur qualificando espressamente come
amministrativa la responsabilità degli enti, nel dettare la specifica
disciplina applicabile alla materia riferisca ripetutamente tale responsabilità
al "reato"; la circostanza che, a prescindere dalla natura della
stessa, si tratti di una forma di responsabilità "da reato", fornisce
un aggancio letterale non irrilevante al contenuto dell'art. 185 c.p..
Inoltre, la corretta e sistematica interpretazione degli artt.
185 c.p. e 74 c.p.p. non può
prescindere dalla novità rappresentata dalla sopravvenuta attribuzione al
giudice penale anche della competenza a giudicare degli illeciti previsti dal d.lg. 231.
Per mera completezza, si rileva che, ove non si ritenesse di addivenire
a tale interpretazione estensiva, nel caso di specie dovrebbe farsi ricorso
all'analogia – pacificamente ammissibile posto che l'art. 185 c.p. rappresenta
una norma che, sebbene prevista nel codice penale, non è una norma penale, ma
una norma civile (costituente una specificazione dell'art. 2043 c.c.), mentre
l'art. 74 c.p.p. è una norma processuale –
al fine di evitare una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni
simili.
Su tali basi, le disposizioni del codice di procedura penale e le disposizioni
processuali relative all'imputato che consentono la costituzione di parte
civile – richiamate dagli artt. 34 e 35 del d.lg. 231 – appaiono pienamente
compatibili e dunque applicabili anche al procedimento relativo agli illeciti
amministrativi dipendenti da reato.
A fronte delle argomentazioni sopra accennate, non appaiono decisivi i rilievi
che sono stati posti a fondamento di decisioni di merito di segno opposto (Trib. Milano, 9 marzo 2004, GIP Forleo;
Trib. Milano, 25 gennaio 2005, GIP Tacconi; Trib. Torino, 13
novembre 2004, GIP Perelli).
Si ribadisce l'irrilevanza della natura della
responsabilità dell'ente, in quanto la responsabilità aquiliana
ex art. 2043 c.c. può fondarsi anche su un mero illecito amministrativo.
Si evidenzia, poi, che il legislatore del d.lg.
231 ha espressamente formulato un generale richiamo alle norme del codice di
procedura penale e alla disciplina applicabile all'imputato mediante l'art. 34
e l'art. 35 all'evidente fine di evitare una gravosa riproposizione
dell'intera disciplina codicistica. Tale scelta, che
appare ampiamente giustificata dalla esigenza di non
appesantire inutilmente la disciplina di legislazione speciale, consente di
agevolmente superare gli argomenti che fanno leva sulla mancata previsione
nella Sezione II del Capo III "soggetti, giurisdizione e competenza"
della parte civile (differentemente da quanto avviene nel libro I del c.p.p. in cui vi è compiutamente disciplinata la detta
parte), sull'assenza di previsione o mancato espresso richiamo dell'istituto
della costituzione di parte civile e delle disposizioni concernenti la condanna
ai danni e alle spese relative all'azione civile.
Per quanto concerne l'art. 54 relativo al sequestro conservativo, laddove non
solo non prevede alcun potere in capo alla parte civile ma,
nel richiamare espressamente la disciplina del sequestro conservativo del c.p.p., con riferimento all'art. 316 c.p.p.
limita il richiamo al relativo quarto comma, omettendo il comma secondo (ossia
quello che consente la richiesta anche alla parte civile sui beni dell'imputato
o del responsabile civile) ed il comma terzo (che stabilisce che il sequestro
richiesto dal P.M. giova anche alla parte civile), la specificità e puntualità
dei riferimenti potrebbe far ritenere effettivamente non colmabile tale lacuna
ai sensi dell'art. 34. Tuttavia, ciò dimostrerebbe esclusivamente la volontà
legislativa di introdurre una specifica deroga – che appare giustificata dalla
particolare attenzione mostrata dal legislatore (e resa palese dal disposto
dell'art. 15 in materia di commissario giudiziale) alle esigenze pubbliche e
alle ripercussioni sull'occupazione – alla disciplina generale in materia di
sequestro, ma non implica necessariamente che si sia voluta
introdurre una analoga deroga ai principi generali in materia di parte civile.
Peraltro tale argomento – che dalla esclusione della
possibilità per la parte civile di richiedere il sequestro conservativo deduce
la impossibilità della costituzione stessa nel procedimento relativo
all'accertamento degli illeciti di cui al d.lg. 231 –
sembra provare troppo in quanto coerentemente se ne dovrebbe dedurre non
soltanto l'impossibilità di costituirsi pare civile nei confronti dell'ente, ma
addirittura la impossibilità di citarlo quale responsabile civile.
Altrettanto non risolutive le ragioni che si fondano
sulla completa assenza di riferimenti alla persona offesa o alla parte civile
nell'art. 58 (che non prevede, come invece l'art. 408 comma 2 c.p.p., alcun avviso alla persona offesa della
determinazione del P.M. di procedere alla archiviazione del procedimento),
posto che si tratta di una procedura decisamente più snella, drasticamente
difforme da quella codicistica, tanto da non
prevedere neppure l'intervento del giudice.
Del tutto irrilevante il ragionamento che si fonda sul disposto dell'art. 61
comma 2 e sulla mancata previsione della indicazione
della persona offesa dal reato nel decreto che dispone il giudizio nei
confronti dell'ente, tenuto conto che tale norma – in perfetta aderenza con la
tecnica legislativa sopra menzionata – non prevede neppure, contrariamente
all'art. 429 c.p.p., che venga indicata la
denominazione dell'ente, il giudice competente, l'indicazione del giorno, del
luogo e dell'ora della comparizione.
Ammette la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato anche Trib. Roma, GUP Colella, ord. 21 aprile 2005, avuto riguardo all’ampia nozione di responsabilità (dell’ente) dalla quale non può essere escluso l’obbligo di restituzione ed il risarcimento del danno previsto dall’art 185 c.p.”
Va rilevato che il Progetto di riforma della Parte Generale del codice penale, redatto dalla Commissione presieduta dal prof. Grosso, prevedeva espressamente la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente, pur non qualificando espressamente tale responsabilità come “penale” (art 18 disp. att. coord.).
(Maurizio Arena)