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GUP Tribunale Palermo 22 gennaio 2007: fallimento e d.lg. 231



Il fallimento della società comporta l'estinzione dell'illecito amministrativo ad essa contestato.



 

TRIBUNALE DI PALERMO

G.U.P. dott. Mazzeo, 22 gennaio 2007

Imp. G.M.C. s.p.a.

 

(Omissis)

MOTIVI DELLA DECISIONE.

(Omissis).

Quanto alla configurazione di una responsabilità amministrativa della società G.M.C. per la commissione della descritta truffa va detto che il d.lg. 231/2001, istitutivo della responsabilità da reato delle persone giuridiche dispone all'art. 5 che «l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lett. a).

Nel caso di specie, appare evidente la sussistenza di entrambi i presupposti per fondare la responsabilità dell'ente ed in particolare: il presupposto oggettivo dell’interesse o del vantaggio ricevuto dall’ente dalla commissione del reato si concretizza in via diretta per la C. S., attraverso l'esborso di una minor somma a titolo di contributi previdenziali ed in via indiretta per la G.M.C., attraverso l'effettiva fruizione della manodopera, fraudolentemente assunta.

Il presupposto soggettivo appare agevolmente riscontrabile, trattandosi, per entrambe le società di reato commesso dal legale rappresentante pro tempore, e quindi da persona indicata alla lett. a) del citato art 5

Ciò posto, deve darsi atto della sopravvenuta dichiarazione di fallimento della società in oggetto, pronunciata dal Tribunale di Palermo con sentenza del 28 luglio 2006 (al riguardo va soltanto precisato che la pronuncia dichiarativa di fallimento è intervenuta nei confronti della società G.M.C. s.a.s., essendosi nel frattempo la G.M.C. s.p.a. trasformatasi nella predetta società).

Occorre allora verificare quali effetti produca tale declaratoria sull'illecito contestato alla società medesima.

Si osserva, innanzitutto, che il d.lg. 231/2001, nell'adeguare il nostro ordinamento ai principi comunitari, ha introdotto per la prima volta una responsabilità delle persone giuridiche con riferimento ad una serie di reati, in origine limitati ma successivamente ampliati a seguito di diversi interventi normativi. A tal proposito va dato atto che non si è ancora sopito il dibattito concernente la natura di una siffatta responsabilità, derivante anche da un dettato normativo che si muove a cavallo tra settori diversi del diritto ed avuto, comunque, riguardo anche alle difficoltà nei superamento del noto principio societas delinquere non potest.

Significativamente il legislatore, utilizzando una formula di "compromesso", ha qualificato tale responsabilità come «responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato».

V'è stato peraltro chi, nel tentativo di superare la vexata quaestio concernente proprio la configurabilità di una responsabilità penale delle persone giuridiche, ha affermato che la responsabilità riconosciuta in capo alle persone giuridiche rappresenterebbe un tertium genus, creato allo scopo di conciliare i principi del sistema penale con quelli del sistema amministrativo, nonché di contemperare le ragioni dell'efficacia preventiva con quelle, ancora più ineludibili, della massima garanzia delle prerogative della difesa.

Ora, uno dei punti cardine del sistema penale è quello secondo cui la morte del reo, ove si verifichi prima della condanna, estingue il reato, ove intervenga successivamente alla condanna, estingue la pena.

L'ordinamento, invero, venuto meno il soggetto imputato, non ha più interesse ad accertare la penale responsabilità del medesimo, giacché la stessa è strumentale rispetto alla eventuale attribuzione di una sanzione che non v' è più ragione di irrogare, stante anche la finalità eminentemente rieducativa della pena, come sancito nel dettato costituzionale.

Peraltro, anche nel campo delle sanzioni amministrative la normativa generale di riferimento stabilisce che l'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi (art. 7 legge n. 689/81 ).

Sembra, pertanto, prevalere anche nel campo amministrativo, tra gli interessi in gioco, il principio della personalità della responsabilità.

Nel silenzio della normativa in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche di cui al d.lg. n. 231/200 l, non può quindi non richiamarsi il principio della personalità della responsabilità, espresso - come già visto - sia dalle norme penali (principio peraltro di portata costituzionale, art. 27 comma l, Cost.) sia contenuto nelle norme generali in materia di responsabilità da illecito amministrativo.

Del resto, il d.lg. n. 231, nello statuire che dell' obbligazione per il pagamento della sanzione pecuniaria risponde soltanto l'ente con il suo patrimonio, disciplina tutte le ipotesi di vicende modificative dell' ente (trasformazione, fusione, scissione, cessione di azienda), secondo un generale principio - sia pur temperato in relazione alle specifiche e distinte situazioni prospettabili - di comunicazione della responsabilità al soggetto subentrante, soltanto in dipendenza della prosecuzione del precedente soggetto giuridico nel nuovo ente o dei benefici a quest’ultimo derivati.

Quale diretta conseguenza, anche la disciplina di carattere procedimentale riguardante detti soggetti giuridici prevede che, nel caso di vicende modificative dell'ente originariamente responsabile, il procedimento prosegua nei confronti degli enti risultanti da tali vicende modificative o, eventualmente, beneficiari della scissione (art. 42).

Può quindi già ad una prima analisi ricavarsi, anche per argomentazione a contrario, non essendo stata inclusa l'ipotesi del fallimento - configurante una vicenda nella sostanza estintiva dell'ente - nei casi di prosecuzione del procedimento sopra enumerate, che il fallimento della società sia sottratto a siffatta disciplina.

Va ancora aggiunto che la normativa in oggetto in materia di procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative dipendenti da reato prevede, quale clausola generale, che siano osservate, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale (art. 34) ed, inoltre, che all'ente si applicano le disposizioni processuali relative all'imputato, in quanto compatibili (art. 35).

Anche le norme sostanziali contenute nel d.lg. medesimo, inoltre, fanno propri tutti i principi fondamentali del sistema penale (principio di legalità, successione delle leggi penali nel tempo, reiterazione di illeciti, prescrizione).

Fatte queste premesse deve adesso individuarsi quale sia l'effetto della sentenza dichiarativa di fallimento sull'illecito contestato alla società dichiarata fallita nonché in quali rapporti stiano la società fallita e la curatela fallimentare.

Ed allora, va considerato che la dichiarazione di fallimento priva il soggetto fallito di ogni potere in relazione al suo patrimonio. In conseguenza la società entra in una fase di pressoché definitiva inattività.

Il curatore, peraltro, è noto che intervenga so1tanto con la limitata funzione di liquidazione del patrimonio societario.

Deve anche considerarsi che la curatela fallimentare è pacificamente un soggetto terzo rispetto alla società medesima, tanto da non potersi neanche prospettare una ipotesi di successione processuale della curatela rispetto alla società fallita (ipotesi del resto non prevista dal legislatore, come già constatato).

Si profila, allora, in dipendenza della cessazione dell'attività della società a seguito della sua dichiarazione di fallimento, una ipotesi del tutto analoga a quelle già normativamente disciplinate quali cause di estinzione dell'illecito, non residuando altre opzioni interpretative concretamente praticabili.

Ed invero, atteso che a seguito del fallimento la società versa in una situazione di inattività necessitata, tanto che la legittimazione attiva e passiva riguardante i rapporti facenti capo alla società fallita spettano al curatore, non avrebbe ragion d'essere l'applicazione, nei confronti di quest'ultimo soggetto estraneo all'illecito dell'impresa, di una sanzione vuoi di natura pecuniaria, vuoi di natura interdittiva o ablatoria.

Si consideri, peraltro, che le sanzioni previste dalla normativa ex d.lg. n. 231/01 hanno funzioni retributive e special-preventive insieme, le quali rendono del tutto irragionevole una loro irrogazione ad un soggetto non coinvolto nella vicenda dell'illecito.

In conclusione, il fallimento della società configura un'ipotesi in tutto assimilabile negli effetti alla morte del reo e, pertanto, l'illecito amministrativo dipendente da reato va dichiarato estinto per intervenuto fallimento della società.

(Omissis).

 

[Già pubblicata in Riv. Pen. 7-8/2008, 797, con nota di F.P. Di Fresco “La morte per fallimento della società. Note a margine di una pronuncia in tema di responsabilità da reato delle persone giuridiche”]

 



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