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L'Autore svolge ulteriori considerazioni sulla legge regionale che ha imposto l'adozione dei modelli organizzativi ex d.lg. 231/2001.
LEGGE CALABRIA E MODELLI 231: ASPETTI TEORICI E PRATICI PC3 Normal maurizio 2 507 2009-01-28T13:22:00Z 2009-01-28T13:22:00Z 3 1048 5979 razzante 49 14 7013 12.00 Clean Clean false 14 false false false IT X-NONE X-NONE MicrosoftInternetExplorer4
A distanza di sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale della Calabria che ha imposto l’adozione, entro il 31 dicembre u.s., dei “modelli 231” per le imprese che operano in regime di convenzione con la regione, il quadro normativo risulta ancora di non facile interpretazione e la prassi fino ad ora seguita dalle imprese è quanto mai ondivaga.
L’art 54 (Adeguamento al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231) della legge 15/2008 così dispone:
1. Le imprese che operano in regime di convenzione con la Regione Calabria, sono tenute ad adeguare, entro il 31 dicembre 2008, i propri modelli organizzativi alle disposizioni di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante la "disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società, e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell'articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300", dandone opportuna comunicazione ai competenti uffici regionali.
2. L'attuazione dei dispositivi contrattuali che regolano l'esercizio di nuove attività convenzionate, ovvero il rinnovo di convenzioni in scadenza, è subordinata al rispetto delle previsioni di cui al comma 1 del presente articolo.
A primo acchito si può costatare l’atecnicità della disposizione.
Anzitutto si rileva una discrasia tra i soggetti destinatari del d.lg. 231/01 e quelli presi in considerazione dalla summenzionata legge.
Infatti, mentre il decreto parla in generale di enti, e, nell’indicare all’art. 1 comma 2 i soggetti destinatari, fa riferimento alle persone giuridiche e alle società ed associazioni anche prive di personalità giuridica, l’incipit della legge regionale fa esclusivo riferimento alle “imprese” e, all’interno della categoria, viene preso in considerazione il solo sottoinsieme formato dalle imprese che operano in convenzione con la regione Calabria.
L’espressione usata dal legislatore non aiuta certo l’interprete nell’opera esegetica, mancando ogni riferimento alle caratteristiche dimensionali, organizzative e categoriali dei soggetti destinatari della normativa.
Prima facie sembrerebbero ricomprese solo le imprese private controparti contrattuali della Pubblica amministrazione regionale, anche se, come giustamente affermato, non può escludersi a priori l’inclusione tra i destinatari anche degli enti pubblici economici che hanno stipulato convenzioni con la regione (BARTOLOMUCCI).
Un secondo profilo di atecnicità concerne i destinatari della comunicazione di avvenuto adeguamento dei modelli organizzativi; dispone infatti la norma che le imprese debbano dare comunicazione dell’opera di compliance da esse effettuata ai “competenti uffici regionali”, senza peraltro specificare quali possano essere gli uffici, in che modo debba arrivare la comunicazione e sopratutto quale debba essere il reale contenuto della comunicazione stessa.
Quest’ultimo punto merita forse una riflessione aggiuntiva: per essere in regola con le disposizioni della legge regionale basterà fornire comunicazione dello svolgimento dei lavori (id. est. lettera di conferimento incarico al consulente per la redazione del modello organizzativo), comunicazione dell’avvenuta adozione del modello o addirittura si dovrà trasmettere copia del modello già adottato?
L’indeterminatezza della norma consente di addivenire indifferentemente ad una qualsiasi delle conclusioni ora esposte.
Il punto che desta maggiori perplessità tra gli interpreti riguarda però il termine posto dalla norma regionale (31 dicembre 2008) per uniformarsi al sistema dei modelli di organizzazione.
In particolare ci si è chiesti se questo termine abbia carattere di perentorietà o meno.
Nel primo caso le imprese convenzionate con la regione avrebbero dovuto già adempiere all’obbligo loro imposto, implementando il sistema di organizzazione e controllo di cui al d.lg. 231/2001.
Ma la disposizione consente anche una lettura diversa e più elastica, che fa leva sulla sanzione prevista dall’art. 54 per il mancato rispetto dell’obbligo in questione.
Poiché la legge dispone che non possano essere stipulate nuove convenzioni o non possano essere rinnovate convenzioni già in corso con le imprese che non si siano adeguate al sistema 231, ciò potrebbe significare che le imprese debbano aver adottato il modello 231 prima della data di stipula o rinnovo della convenzione stessa.
In altri termini la legge avrebbe solamente imposto che tutte le nuove (o rinnovate) convenzioni, a far data dalprimo di gennaio 2009, vengano stipulate con imprese compliant col sistema 231.
In pratica, seguendo questa impostazione, ogni impresa dovrebbe dotarsi del modello prima della stipula della convenzione regionale, mentre, se la convenzione è in itinere, non vi è alcun obbligo di adozione del modello.
A questa conclusione si può pervenire, come già anticipato, facendo riferimento al secondo comma dell’art. 54; se, infatti, l’unica sanzione prevista è la mancata stipula o il mancato rinnovo della convenzione, risulta chiaro che l’unico momento di controllo regionale, controllo peraltro solo formale visto che non vi è alcun accenno ad un monitoraggio sul merito del modello, potrà avvenire al “tavolo di trattative”, quando la regione potrà rifiutare di contrarre con imprese che non si siano dotate di modelli 231. Prima di allora non è possibile utilizzare alcuno strumento per imporre alle imprese il rispetto della legge regionale.
Stando così le cose, si potrebbe quindi parlare di un termine “elastico”, modificabile in base allaconvenzione che l’azienda ha intenzione di stipulare, ed il termine del 31 dicembre avrebbe senso solo per le imprese che vedono le proprie convenzioni scadere nel 2008.
Se questa impostazione potrebbe sembrare meno aderente allo ratio normativa, poiché permette di posticipare gli obblighi ivi previsti, ha però degli indubbi vantaggi pratici proprio in un’ottica di rispetto dello “spirito” della norma.
Se, come sembra, la legge si pone in un’ottica di “eticizzazione” dei rapporti tra P.A. ed imprese in un contesto ad “alta densità mafiosa”, è ovvioche il vero interesse regionale è quello di avere imprese dotate di un modello efficace e quindi idoneo alla prevenzione dei rischi di reato.
L’imposizione di un termine perentorio, invece, unito alla mancanza di qualsiasi controllo di merito, potrebbe spingere le imprese ad adottare un modello puramente “cosmetico”, assolutamente inefficace e finalizzato solo al formale rispetto della norma, proprio nel tentativo di rispettare il suddetto termine.
Proprio l’obbligatorietà di adozione del modello potrebbe quindi portare ad un fallimento del sistema 231, con la conseguenza che le imprese, invece di creare un vero e proprio sistema interno di prevenzione dei rischi,potrebbero vedere nella disposizione semplicemente uno dei “tanti obblighi di legge”, venendo quindi spinte a formulare un modello che resti sulla carta,una semplice formalità finalizzata al rispetto di un obbligo altrettanto formale.
Stefano Pazienza
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