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Cass., VI, 18 marzo - 7 aprile 2009 n. 543



La Cassazione torna sui rapporti tra confisca e sequestro ai sensi del d.lg. 231/2001.



 

CASS., VI, 18 marzo – 7 aprile 2009, n. 543

(Omissis)

Nel procedimento penale relativo ai delitti ex artt. 640 bis c.p. (capo A) e 316 bis c.p. (capo C), ascritti a …, rispettivamente Presidente e componenti del Consiglio di Amministrazione della …, nonché al delitto ex art. 483 c.p. (capo B), ascritto a , e agli illeciti amministrativi ex art. 24 d.lg. n. 231 del 2001, correlati ai predetti reati ex artt. 640 bis e 316 bis cp.; commessi nell'interesse della … , il GIP di Pordenone in data 18.09.2008 disponeva, a sensi degli artt 321 c.p.p., 322 ter e 640 quater c.p., 19 e 53 d.lg. 231/2001, il sequestro preventivo di beni, valori e utilità nella disponibilità della Società e degli indagati predetti, fino alla concorrenza di € 3.177.601,23 (con il limite di € 3.074.399,73 su beni della Società). I suddetti reati venivano configurati in relazione:

- all'indebito conseguimento di contribuzioni pubbliche relative a 417 posti auto, che, contrariamente ai vincoli del progetto presentato alla Regione Friuli-­Venezia Giulia, ai quali era condizionata la contribuzione, erano in realtà destinati alla commercializzazione, poi in parte concretamente effettuata attraverso formule contrattuali elusive;

- all’annuale trasmissione di dichiarazioni sostitutive di atto notorio, attestanti, contrariamente alla realtà delle suddette effettuate alienazioni di fatto, il permanere delle condizioni stabilite nel provvedimento di concessione e il mantenimento della destinazione turistica dei beni per i quali il contributo era stato concesso;         

- alla destinazione di contributi pubblici a scopi diversi da quelli (turistici) stabiliti, realizzata mediante l'alienazione di fatto di 162 posti auto e l'assegnazione in uso esclusivo pluriennale di 45 posti barca.             

Con ordinanza emessa in sede di riesame in data 18 ottobre 2008 il Tribunale di Pordenone annullava il disposto sequestro, ritenendo che:

- la …,                                                         nel richiedere l'ammissione al beneficio, aveva presentato alla Regione la documentazione in suo possesso, nella quale si enunciavano, senza falsificazioni, i programmi progettati, che la Regione ben poteva considerare idonei per la concessione del contributo, onde nessuna induzione in errore è ravvisabile, potendosi al più nella specie configurarsi l'ipotesi di cui all'art. 316 ter cp.;

- le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, sicuramente false, dovevano ritenersi assorbite nella fattispecie di cui all'art. 316 ter c.p.;  

- i ravvisabili reati di cui agli artt. 316 ter e /o 316 bis c.p. non legittimavano, ai sensi dell'art. 322 ter c.p., la confisca e, quindi, il sequestro per equivalente del profitto del reato.

Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pordenone, deducendo:           

- che alla luce della ricostruzione del Tribunale, resta privo di giustificazione l'annullamento del sequestro funzionale alla confisca per equivalente a sensi degli artt. 19 e 53 del d.lg. 231 del 200l, non valendo al riguardo la limitazione di cui al comma l dell'art. 322 ter c.p;

- l'esclusione del delitto di cui all'art. 640 bis c.p. non trova giustificazione in relazione alle

 

condotte successive alla concessione del contributo ma anteriori e funzionati alla sua materiale erogazione, essendosi le stesse concretate nella deliberata presentazione di autocertificazioni false dopo che la Regione aveva espressamente e inequivocamente escluso, a seguito di un interpello della Società, la possibilità di alienazione dei posti auto.

Al ricorso del P.M. resistono con memoria i difensori delle controparti, assumendo che:

- la pretesa di ravvisare il delitto di cui all'art. 640 bis c.p. in relazione alle condotte successive alla concessione del contributo, ma anteriori e funzionali alla sua materiale erogazione, deriva da una inammissibile scissione in due parti del capo di imputazione sub A) e si basa su una improponibile rivalutazione delle circostanze di fatto ed è comunque infondata per la non falsità delle autocertificazioni, per la loro inidoneità a trarre in inganno la Regione e per il loro assorbimento nella fattispecie di cui all'art. 316 ter c.p.;

- il combinato disposto degli artt. 19 e 53 del d.lg. 231 del 2001 fanno riferimento alle norme codicistiche e quindi recepiscono "in toto" anche la disposizione di cui all'art. 322 ter cp., con le limitazioni ivi contenute;

- a sensi del citato art. 19 la confisca e, quindi, il prodromico sequestro, del profitto del reato, non può disporsi per quella parte che può essere restituita al danneggiato, quale nella specie deve considerarsi la complessiva somma di € 3.177.60 l ,23, da restituirsi alla Regione;  

- il profitto del reato, ai fini degli artt. 19 e 53 del d.lg. 231 del 2001, deve esser comunque determinato al netto della effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato.

 

Diritto  

Il ricorso è fondato.

Anzitutto, invero, non c'è dubbio che i limiti inerenti al disposto del comma 1 dell' art. 322 ter c.p., ravvisati dal Tribunale per la confisca, e il prodromico sequestro, per equivalente, relativamente ai reati di cui agli artt. 316 bis e 316 ter c.p., non valgono nei confronti della …, in relazione alle previsioni di cui agli artt. 19 e 53 del d.lg. 231 del 2001.

Il d.lg. 8 giugno 2001, n. 231 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma della L. 29 settembre 2000, n. 300, art. 11, frutto degli impegni pattizi dello Stato italiano a livello europeo, ha disciplinato per la prima volta la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche prevedendo, tra l'altro, una responsabilità autonoma e non sussidiaria dell'ente rispetto a quella dell'autore del reato.

In particolare, l'art. 19 del citato decreto legislativo prevede che "Nei confronti dell'ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato .... (comma 1). Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma l, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato" (comma

 

2).        

I "reati" di cui si parla sono quelli commessi nell'interesse dell'ente e tra essi rientrano sicuramente quelli di cui agli arti. 322 bis, 322 ter, 640 bis e 640 ter c.p. (v. art. 24, comma l, d.lg. 231/2001).

A sua volta l'art. 53 stabilisce che, in via cautelare, "il Giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell'art. 19. Si osservano le disposizioni di cui all'art. 321 c.p.p., commi 3, 3 bis e 3 ter, art. 322 c.p.p., art. 322 bis c.p.p. e art. 323 c.p.p. in quanto applicabili".

L'impiego dell'avverbio "sempre" nell'art. 19, evidenzia l'obbligatorietà della misura ablativa non solo in relazione al prezzo del reato, ma anche in relazione al profitto per il quale, invece, secondo la disciplina generale dell'art. 240 cod. pen., la misura rimane facoltativa. La possibilità di confisca "per equivalente", che fa venir meno ogni rapporto diretto tra il reato e i beni oggetto della misura, è estesa poi espressamente, in difformità dalla previsione di cui al comma l dell'art. 322 ter cp., anche al valore equivalente al “profitto" del reato.

Per quanto concerne l'art. 53, va rilevato che l'istituto presenta aspetti simili e spiccate analogie con l'omologo istituto previsto dall'art. 321 cod. proc. pen. (come peraltro emerge dagli stessi richiami al codice di rito - e non anche, si badi, all'art. 322 ter c.p. - operati dal legislatore) e, segnatamente con la fattispecie regolata dal comma 2, dello stesso articolo e cioè con il sequestro "delle cose di cui è consentita la confisca".

Eventuali limiti "quantitativi" alla confisca, e al correlato sequestro, in discussione non vengono direttamente in rilievo in questa sede e saranno oggetto dello scrutinio del giudice di merito.

Il ricorso del P.M. è fondato anche per quanto concerne l'esclusione del delitto di cui all’art 640 bis c.p.

L’ordinanza impugnata, invero, motiva tale esclusione con specifico riferimento alla condotta, considerata non fraudolenta, tenuta dagli indagati in sede di domanda di ammissione al beneficio. Tale valutazione non viene contestata dal P.M. ricorrente, il quale si duole della mancata considerazione, agli effetti della configurabilità del delitto ex art. 640 bis c.p., del comportamento tenuto successivamente dai responsabili della Società, in relazione in particolare alle autocertificazioni ritenute false, utilizzate per il concreto conseguimento delle tranches di contributi.

Sul punto in effetti il Tribunale si è limitato al rilievo che dette autocertificazioni, integrando il reato ex art. 483 c.p., restano assorbite nella fattispecie di cui all'art. 316 ter c.p. In tal modo, però, è stata operata la trasposizione automatica della valutazione della condotta, tenuta dagli indagati in sede di domanda di ammissione al beneficio, alla fase successiva, relativa al concreto conseguimento delle tranches di contributi, caratterizzata da comportamenti ulteriori, che richiedevano una autonoma e specifica valutazione, in relazione anche alla complessiva evoluzione del rapporto fra la Società e l'Ente regionale. Solo all'esito di tale valutazione, che è del tutto mancata e su cui non possono evidentemente introdursi diretti apprezzamenti in questa sede,

 

poteva stabilirsi se in tale fase era configurabile la sola ipotesi di cui al1'art. 316 ter c.p., idonea come tale ad assorbire la fattispecie di cui all'art. 483 c.p., o quella di cui all'art. 640 bis c.p., che concorre invece con detta fattispecie (Cass. S.U., 19 aprile 2007; sez. V, 13 giugno 2000; sez. II, 16 dicembre 1988; sez. V, 18 gennaio 1984).

Non è al riguardo condivisibile l'obiezione degli indagati, secondo cui si determinerebbe in tal modo una inammissibile scissione in due parti del capo di imputazione sub A). Premesso infatti che nel corso delle indagini preliminari l'imputazione è naturalmente fluida, deve osservarsi che nel capo di imputazione sub A) il collegamento tra le autocertificazioni oggetto del capo B) e la truffa ex art. 640 bis c.p. è espressamente contestato e nel corpo del provvedimento di sequestro i vari passaggi in fatto che hanno accompagnato l'inizio e lo sviluppo successivo della procedura relativa ai contributi sono dettagliatamente indicati.

L'ordinanza impugnata deve, pertanto, essere annullata, con rinvio al Tribunale di Pordenone, che procederà a nuovo esame, attenendosi ai principi e ai rilievi sopra esposti.



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