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I modelli di organizzazione, gestione e controllo

L'istituto dei "modelli di organizzazione e gestione", già da tempo conosciuto da ordinamenti giuridici di tipo anglosassone, integra nella pratica - secondo la definizione che ne dà una buona parte della dottrina penalistica contemporanea - la realizzazione della ‘delega' di funzioni penali dall'ordinamento statuale  all'ambito  privatistico

L'istituto dei "modelli di organizzazione e gestione", già da tempo conosciuto da ordinamenti giuridici di tipo anglosassone, integra nella pratica - secondo la definizione che ne dà una buona parte della dottrina penalistica contemporanea - la realizzazione della ‘delega' di funzioni penali dall'ordinamento statuale  all'ambito  privatistico, realizzando un  modello in cui su una logica di controllo successivo/punitivo, dovrebbe prevalere la logica dell'organizzazione preventiva/gestionale.
Cosa sia, nella mente del Legislatore, il modello di organizzazione e di gestione, può ricavarsi dal comma 1 , lettera a) e dal comma 2 dell'art. 6 del d.lg. 231.

Secondo l'art 6 (Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell'ente), se il reato è stato commesso dai c.d. soggetti apicali, l'ente non risponde se prova che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Si specifica poi che questi  modelli devono prevedere, in relazione alla natura e all'estensione dei poteri delegati e al rischio di commissione dei reati:
a) l'individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
b) specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l'attuazione delle decisioni dell'ente in relazione ai reati da prevenire;
c) le modalità di individuazione e di gestione delle risorse finanziarie destinate all'attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
d) obblighi di informazione nei confronti dell'organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli;
e) un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.
Sembra di potersi affermare, quindi, che mentre i ‘modelli di organizzazione' descritti nei due originari ‘Schemi di decreto' proposti al Governo, pativano una definizione ricompresa entro angusti confini tautologici e difficilmente penetrabili ex ante, postulando, al contrario, il vaglio dell'interpretazione che ne venisse fornita da parte degli organi giurisdizionali in sede applicativa - con tutti i limiti che tale impostazione potrebbe comportare (1) (2) - la formulazione definitivamente adottata scongiuri almeno in parte tale rischio.
E ciò, sia per la previsione già attuale contenutisticamente assai più avanzata di quella inizialmente proposta (che lasciava effettivamente un enorme ed eccessivo spazio di interpretazione valutativa), sia in funzione della disposizione di cui al comma 3 dell'art 6, volta a prevedere che le associazioni rappresentative delle imprese possano definire le caratteristiche dei modelli organizzativi.
In buona sostanza i ‘modelli' dovranno:
a)      presentare caratteristiche di adeguatezza alla prevenzione dei reati;
b)      tenere in adeguato conto la natura e l'estensione dei poteri delegati;
c) essere   adottati  ed  attuati  prima  della commissione del fatto-reato cui si vorrà  applicare l'esimente prevista, appunto, in base all'adozione del ‘modello';
d) indicare specifici protocolli di formazione delle decisioni dell'ente in funzione dei tipi di attività nel cui ambito possono essere commessi reati;
e) indicare  specifici  protocolli  di  attuazione delle decisioni dell'ente, in  funzione dei tipi di attività nel cui ambito possono essere commessi reati
f) prevedere, in relazione  alla  natura ed alla dimensione dell'organizzazione  nonché al tipo di attività svolta, misure idonee a  garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge ed a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio;
g) essere attuati efficacemente.
Tale ultima indicazione dovrà comportare, a sua volta:
g1) una verifica periodica;
g2) l'eventuale modifica del ‘modello' quando sono scoperte significative violazioni delle  prescrizioni ovvero quando intervengono mutamenti  nell'organizzazione  o nell'attività;
g3) l'adozione  di  un  sistema  disciplinare  idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure anti-crimine' indicate nel modello.
Quanto pesantemente si punti, in realtà, sullo strumento del ‘modello di organizzazione e di gestione', può essere facilmente intuibile anche dalla lettura di altre disposizioni dello stesso testo di legge.

Infatti, ai sensi dell'art 17 (Riparazione delle conseguenze del reato), le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:
a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;

b) l'ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

c) l'ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.Né sembrerebbe possibile sottovalutare in alcun modo la pregnanza di cui il legislatore intende caricare la figura in esame ove solo si esamini, in correlazione con la norma ultima citata, quella posta dall'art. 49 dello stesso decreto legislativo (Sospensione delle misure cautelari).

Le misure cautelari possono infatti essere sospese se l'ente chiede di poter realizzare gli adempimenti cui la legge condiziona l'esclusione di sanzioni interdittive a norma dell'articolo 17. In tal caso, il giudice, sentito il pubblico ministero, se ritiene di accogliere la richiesta, determina una somma di denaro a titolo di cauzione, dispone la sospensione della misura e indica il termine per la realizzazione delle condotte riparatorie.

Le conseguenze sono rilevanti.
Nel caso di mancata, incompleta o inefficace esecuzione delle attività nel termine fissato, la misura cautelare viene ripristinata e la somma depositata o per la quale è stata data garanzia è devoluta alla Cassa delle ammende.
Se invece si realizzano le condizioni di cui all'articolo 17, il giudice revoca la misura cautelare e ordina la restituzione della somma depositata.
Verrebbe da chiedersi cosa mai si ritenga di poter raggiungere - in via pratica ed al limitato  fine di  sanzionare  una condotta (vuoi definitivamente vuoi cautelativamente) - mediante la predisposizione di un ‘ modello organizzativo' successivo alla commissione della condotta per cui si procede: ciononostante prendiamo atto della neobulìa del legislatore, dell'irrefrenabile ‘voglia di nuovo' che lo ha portato a scommettere su siffatta disciplina sino ad ora sconosciuta al nostro ‘sistema' sanzionatorio e, sinanco, al nostro bagaglio culturale.
 L'unico precedente legislativo lato sensu assimilabile a quello che si sta qui esaminando, ci sembra quella ‘valutazione del rischio' imposta alle imprese dalla recente legislazione in tema di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro; con la differenza che la ‘valutazione del rischio' ( ex d.lgs. 626/1994 ) attiene a valutazioni  scientifiche, tecniche ed organizzative sul piano fattuale; quella che si vuole ora introdurre, non potrà invece se non parametrarsi a realtà relative alla sociologia della produzione ed alla disciplina dell'organizzazione aziendale, con scarsa - se non inesistente - attinenza a fenomeni omogeneamente giuridici .
Di certo, allo stato, possiamo affermare che il ‘modello di organizzazione e gestione' che le società dovranno predisporre ai fini di dimostrare - nei casi  e  nelle sedi opportune - la propria estraneità alla ‘responsabilità amministrativa', [ vuoi che si tratti di azione illecita commessa da soggetto apicale o da soggetto sottoposto all'altrui direzione e controllo ] dovrà:
-     avere la natura di un ‘documento';
-         essere predisposto dalla società;
-         dare conto dell'organizzazione societaria ed aziendale, descrivendo storicamente e funzionalmente la realtà produttiva rappresentata, prendendo le mosse dalle ‘deleghe aziendali' conferite;
-         contenere in sé, in nuce, i meccanismi atti ad escludere la commissione di fatti illeciti in favore o  nell'interesse della società stessa;
-         indicare con estrema chiarezza l'obbligatorietà dei ‘codici comportamentali' prescelti dalla società;
-         indicare le misure di salvaguardia in caso di violazione delle policies ed il regime sanzionatorio interno alla società od ente da applicarsi in caso di loro violazione.
      Dovrà, in definitiva, rappresentare quanto di più simile possibile ad una mirabile sintesi tra statuto societario, sistema di delega di poteri, organigramma aziendale, mansionario e codice di autoregolamentazione etico-deontologico e di policy aziendale.

Il testo proposto dalla ‘Commissione Grosso' nell'ambito della modifica del codice penale tuttora allo studio, disegna, nella ‘parte generale' del Codice stesso, il ‘modello di organizzazione e di gestione', normativamente predeterminandone  contenuti, forme e limiti, in misura molto più chiara di quello che avevano proposto i due ‘Schemi di decreto'.

Secondo tale elaborato, le persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, gli enti pubblici o privati, le imprese anche individuali devono adottare e attuare modelli organizzativi idonei ad evitare che vengano commessi reati con inosservanza di disposizioni pertinenti all'attività dell'organizzazione, o comunque nell'interesse dell'organizzazione, da persone agenti per essa.
Questi modelli devono essere elaborati sulla base della  verifica  e  valutazione delle situazioni  che comportano rischi di violazioni  della  legge  penale, e debbono avere, per quanto richiesto dalla  natura e dalla dimensione dell'organizzazione e dal tipo di attività svolta, i seguenti requisiti:                                        
a) una adeguata articolazione di funzioni che assicuri  in  particolare  le competenze tecniche e i poteri  necessari  per  la verifica e valutazione, la gestione e il controllo delle situazioni di rischio;
b) una adeguata formazione e informazione del personale sugli aspetti rilevanti ai fini dell'osservanza della legge nello svolgimento dell'attività dell'organizzazione;
c) misure materiali e organizzative e  protocolli di comportamento atti a garantire  lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge, ed  a scoprire  ed  eliminare  tempestivamente eventuali situazioni irregolari;
d) un  idoneo  sistema  di  controllo  sulla attuazione del modello organizzativo  e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate;
e) il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo, quando  siano scoperte violazioni significative della legge penale, o in relazione a mutamenti nell'organizzazione  o nell'attività, o in relazione al progresso scientifico e tecnologico;
f) un adeguato sistema disciplinare.

Si tratta, a ben vedere, di una formulazione praticamente analoga - per contenuti se non ancora per forma - a quella proposta dagli artt. 6 e 7 del decreto legislativo definitivamente approvato dal Governo.

Al sistema sopra descritto potrà essere mossa la critica di voler importare concetti francamente abbastanza distanti dalla realtà giuridica che ci è familiare, con forse troppo forte - o,  comunque, troppo  immediata - apertura a modelli di tradizione anglosassone in generale - ed americana in particolare - dei quali non sarà agevole ricostruire l'humus culturale.
Si potrà anche muovere la critica - pure questa certamente non priva di fondamento - di rappresentare il punto di inizio di una possibile conflittualità permanente tra la società o l'ente ed i soggetti che vi sono immedesimati e le cui condotte potrebbero fungere da cavallo di Troia per l'introduzione della responsabilità amministrativa.
Non v'è infatti chi non veda come, in caso di addebito ad una delle dette persone fisiche di talune condotte costituenti illecito penale possa essere ipotizzata una pesante responsabilità amministrativa del soggetto collettivo nell'interesse del quale si ipotizzi essere stato commesso l'illecito. In tale ipotesi la conflittualità tra il soggetto persona fisica ed il soggetto ente collettivo - foriera di possibili gravissime conseguenze anche sul piano organizzativo ed aziendale -  risiederà nel tentativo della persona fisica di dimostrare di aver agito nell'interesse della società, e nella parallela attività processuale della società volta a dimostrare che il soggetto persona fisica ha, invece, agito nel proprio esclusivo vantaggio od interesse.
(Gianfranco Lancellotti)

NOTE

(1)   Si  legga, sul  punto, il lucido intervento di Giovanni Negri,  Il Sole 24 Ore del 25 aprile, dal titolo "Responsabilità amministrativa - La Commissione Giustizia del  Senato ha votato il parere sul D.lgs.  Sanzioni alle imprese da rifare. Il Governo  viene sollecitato ad un  esercizio  completo della delega e al ripristino del diritto di recesso".
L' A. scrive: "Non è certo un parere di routine quello votato ieri dalla Commissione Giustizia del Senato sullo Schema di  decreto  legislativo che introduce la responsabilità amministrativa per le persone giuridiche. Il testo predisposto dal Relatore Rosario Pettinato (Verdi ) ripercorre  punto  per  punto  il  provvedimento  varato dal Governo per criticarne numerosi aspetti. A essere giudicata  poco  convincente  è  prima  di tutto la scelta fatta dall'esecutivo di un esercizio ‘minimalista' della delega rispetto a quanto previsto dal Parlamento stesso.
Torna così d'attualità l'esclusione dei reati contro l'ambiente e in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e incolumità pubblica che, in un primo tempo previsti, non hanno poi fatto parte della versione definitiva del decreto approvata lo scorso 11 aprile. Una linea del tutto ingiustificata per il parere. Tanto  più alla luce della normativa in vigore in molti  Paesi  stranieri (a partire dalla Francia) e delle indicazioni contenute  in atti già adottati in sede internazionale.
E le stesse ragioni del Governo che hanno sottolineato l'esigenza  di  una  entrata in vigore soft delle disposizioni che introducono,  per  la  prima  volta, la responsabilità della persona giuridica non fanno presa più di tanto. Anche perché - evidenzia il parere - è poco comprensibile < prevedere l'irrogazione di  determinate sanzioni   a carico  di  un  ente, qualora  nel suo interesse o vantaggio, sia stata posta in essere un'ipotesi  di  corruzione o truffa  ai  danni  dello  Stato, ed  escludere, invece, l'applicabilità di tali sanzioni quando, nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo, siano stati  compiuti  reati  come  l'adulterazione o la contraffazione di sostanze alimentari >. Irragionevole è poi credere, come fa il Governo, che un esercizio limitato della delega  possa  contribuire  al progressivo radicamento della cultura della legalità  aziendale: < Riesce difficile  comprendere  come  dalla rinuncia a legiferare, e nel caso di specie, dall'esclusione della sanzione possa derivare un radicamento di tale cultura che, al contrario, troverebbe alimento  in una disciplina normativa chiara e ferma >. Il parere sollecita poi il Governo ad un'attuazione completa della delega anche per quanto riguarda alcune disposizioni specifiche, tutte trascurate al momento dell'esecuzione. A partire dal diritto di recesso da assicurare al socio dissenziente, all'azione di responsabilità e di risarcimento del  danno  nei confronti  degli  amministratori  votata  dall'assemblea  degli  azionisti. Semaforo rosso  poi anche per l'esonero da responsabilità nel caso siano stati predisposti modelli di organizzazione e di gestione idonei  a scongiurare  la commissione di reati di corruzione, concussione e frode. Più persuasiva appare, nel giudizio della Commissione Giustizia di Palazzo  Madama, la  previsione  della ‘ riforma Grosso' della parte generale del codice penale, quando prevede comunque la responsabilità dell'ente se l'autore del reato abbia avuto poteri di direzione ( l'elevato livello di potere e responsabilità consente di identificare nella colpa di chi commette la violazione, la colpevolezza della stessa organizzazione aziendale).  Ma  non è finita qui. Ad essere bocciata è anche l'esclusione del ventaglio delle sanzioni interdittive della chiusura dello  stabilimento  e l'assetto  dato  alla  revoca  delle autorizzazioni per la quale è difficile poter pensare a un carattere temporaneo. Per quanto riguarda poi il divieto di pubblicizzare beni o servizi, nel parere si specifica che non è del tutto chiaro  perché  possa  diventare  possibile solo nel caso in cui sia irrogata in via definitiva la sanzione del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione. Dal momento che il Senato ha sbrigato in tempi così record la partita del decreto, la  parola  ora  passa  alla  Camera  che, domani, ( 26 aprile: n.d.r. ) dovrebbe votare a sua volta il parere sul provvedimento:  si  riparte  dalla  commissione  Giustizia, Anna Finocchiaro, più comprensiva nei confronti dei risultati dell'azione dell'esecutivo."
(2)   Riportiamo  per esteso, condividendone  in  pieno  le preoccupazioni, l'articolo di  Ivo Caraccioli, Il Sole 24 Ore del 27 aprile 2001, dal titolo "Sui modelli organizzativi rischio-invasività dei P.m.".
" E' più valida la tesi ‘minimalista' adottata dal Governo e ora anche dalla Camera, oppure quella ‘massimalista' patrocinata dal Senato ? E il Governo, chiamato ad approvare definitivamente il decreto legislativo predisposto dalla ‘Commissione Lattanzi', in questo contrasto tra le due assemblee, a quale si atterrà ? Come è ovvio, sono domande che potranno ricevere risposta solo in sede politica, dato che i pareri delle Assemblee legislativo  hanno  un valore meramente consultivo. Esperienze anche recenti (ad esempio, con la  riforma  del  diritto  penale  tributario), dimostrano  che il  Governo  può  benissimo disattendere i pareri stessi salva un'eventuale ‘responsabilità politica', che peraltro raramente viene ravvisata, sussistendo identità di maggioranza in sede parlamentare ed esecutiva. Caso mai,  sempre  sul  piano  politico, la divergenza in questione dimostra la permanente vitalità  del  sistema bicamerale. Nel merito, le preoccupazioni della commissione Giustizia della Camera dei deputati mi appaiono  convincenti,  non potendosi negare che l'inserimento della responsabilità amministrativa delle persone guridiche per quasi tutti i ‘reati di impresa' non ha niente a che vedere con la ratifica delle convenzioni internazionali in materia di corruzione dei funzionari e di tutela degli interessi finanziari dell'Unione Europea. Neppure può sottacersi come l'"interdizione dall'esercizio di attività di impresa" ( perpetua o temporanea che sia: comunque gravissima, anche in questo secondo caso, per le piccole e  medie imprese, destinate ad andare ‘fuori mercato' risultano - come ha ben sottolineato la Camera - lesive del principio di ‘proporzionalità'. Da ultimo la vaghezza dei contenuti del  cosiddetti ‘modelli organizzativi dell'ente' - quale possibile rimedio per evitare la sanzione (che il Senato vorrebbe comunque mantenere per i ‘vertici' delle società, burocraticamente definiti ‘apicali' ) -  contrasta con fondamentali esigenze di certezza e di  tassatività.  Si può forse negare che, onde verificare siffatto elemento, i Pubblici Ministeri  potranno  svolgere un controllo ‘a tappeto' su organigrammi interni, deleghe di funzioni, prassi operative, anche a prescindere da  un  collegamento specifico con il reato in questione (parlandosi genericamente di ‘misure idonee a garantire lo svolgimento dell'attività nel rispetto della legge e a scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio' ) ? Come considerazione assorbente ritengo da ultimo di sottolineare ancora una volta - anche se vedo che molti non sono del mio parere - che siamo in presenza di un equivoco di fondo.  Invero,  gli  altri  Paesi dell'Unione europea, citati a titolo di esempio, prevedono la ‘responsabilità penale  delle persone  giuridiche' (che è cosa diversa e che riguarda i fatti di reato commessi dall'ente in quanto tale). Qui, invece, si sta parlando di ‘responsabilità amministrativa delle persone giuridiche', curiosamente valutata dal giudice penale nel corso del processo a carico della persona fisica che ha commesso il fatto. Ben lungi, dal <colmare  una  lacuna  che  appare sempre più vistosa in relazione al processo di integrazione degli ordinamenti giuridici dei Paesi  della  Ue > - come  si  è espresso il relatore Pettinato al Senato - si inserirebbe, con un provvedimento del genere, un  istituto  che  non è  altrove  previsto e che confligge in maniera strutturale con la vera e propria responsabilità penale degli enti."

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