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ANAC, Delibera n. 32 del 20 gennaio 2016, "Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali"
La delibera contiene un importante rinvio al d.lg. 231/2001, nel paragrafo 12.3, che si riporta con evidenziazioni in grassetto dello scrivente:
Sempre nell’ottica di garantire l’affidabilità del soggetto erogatore e di assicurare che la prestazione affidata venga svolta nel rispetto della legalità, le stazioni appaltanti devono verificare l’osservanza, da parte degli organismi no-profit, delle disposizioni di cui al d.lgs. 231/2001, ..., applicabile agli stessi in ragione, sia del tenore letterale delle relative previsioni (rivolte agli enti forniti di personalità giuridica, alle associazioni anche prive di personalità giuridica e alle società private concessionarie di un pubblico servizio) sia della natura dei servizi erogati.
Gli enti no-profit devono dotarsi di un modello di organizzazione che preveda:
- l’individuazione delle aree a maggior rischio di compimento di reati;
- la previsione di idonee procedure per la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente nelle attività definite a maggior rischio di compimento di reati;
- l’adozione di modalità di gestione delle risorse economiche idonee ad impedire la commissione dei reati;
- la previsione di un appropriato sistema di trasmissione delle informazioni all’organismo di vigilanza;
- la previsione di misure di tutela dei dipendenti che denunciano illeciti;
- l’introduzione di sanzioni per l’inosservanza dei modelli adottati.
Inoltre, devono procedere alla nomina di un organismo deputato alla vigilanza sul funzionamento e sull’osservanza del modello e all’aggiornamento dello stesso (cui attribuire autonomi poteri di iniziativa e di controllo), oltre a prevedere ed attuare adeguate forme di controllo sull’operato dell’organismo medesimo.
L'ANAC prevede l'adozione obbligatoria del Modello 231 da parte degli enti no profit interessati (controllabile nella forma e nella sostanza, sembrerebbe, dalle stazioni appaltanti), seguendo un orientamento che non appare esente da obiezioni: vale a dire che qualsiasi tipo di fonte del diritto (non legislativa o regolamentare) possa integrare il (o addirittura derogare al) contenuto dell'art 6 del d.lg. 231.
L'elencazione dei contenuti del Modello è, peraltro, difforme da quella di cui all'art 6: la stessa terminologia utilizzata (individuazione delle aree "a maggior rischio" di reato; adozione di un "sistema di trasmissione" delle informazioni all'ODV) non è allineata a quella del d.lg. 231.
Si parla di tutela del whistleblower, che, tuttavia, nel settore privato non è ancora prevista ex lege (il d.d.l. AS 2208, approvato dalla Camera, è all'esame del Senato).
Soprattutto stona nettamente l'indicazione di prevedere ed attuare adeguate forme di controllo sull'operato dell'ODV: tale indicazione non appare in sintonia con la ratio del sistema di controllo che si incentra sull'indipendente ed autonomo svolgimento delle funzioni dell'ODV (come evidenziato qualche anno fa nel noto procedimento "Farmatruffa" svoltosi dinanzi al Tribunale di Bari).
Insomma: ci si trova di fronte, ancora una volta, ad un'interpretazione sicuramente estensiva e creativa dei contenuti della compliance 231 - operata da una fonte non legislativa - che dovrebbe, ad avviso di chi scrive, essere verificata con maggiore attenzione sistematica, nella forma e nella sostanza.