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OdV e Modello di fatto: Tribunale Milano, 12 maggio 2020

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Il Tribunale di Milano (II, 12 maggio 2020, n. 13490/2019) ha sancito la responsabilità ex d.lg. 231 di Nomura e Deutsche Bank (Filiali di Londra), in relazione ai reati di aggiotaggio e false comunicazioni sociali commessi da soggetti apicali, in concorso con esponenti di Banca Monte Paschi di Siena.

Alcuni esponenti aziendali di quest’ultima avrebbero concordato con Deutsche Bank un’operazione strutturata il cui obiettivo era quello di dotare la società Santorini – veicolo posseduto al 100% da BMPS – di un provento immediato tale da neutralizzare, contabilmente, la minusvalenza che stava maturando sul collared equity swap (CES), stipulato con Deutsche Bank.

All’esito dell’operazione strutturata, Santorini realizzava una plusvalenza pari a 364 milioni di euro, grazie alla quale esponeva un utile di 61 milioni di euro anziché una perdita di circa 300 milioni di euro: in questo modo, si evitava di evidenziare nel conto economico di BMPS un elemento che avrebbe avuto un impatto fortemente negativo sul risultato di esercizio e sul patrimonio di vigilanza (Cfr. Fusco - Fragasso, Sul presunto obbligo di impedimento in capo all’organismo di vigilanza: alcune note a margine della sentenza BMPS, Sistema penale, 19 ottobre 2020).

Gli enti imputati, avendo sede all’estero, non erano dotati di un vero e proprio Modello 231.

Tuttavia, il Tribunale si è posto in una prospettiva sostanziale, esaminandone il sistema di controllo interno, al fine di verificarne l’equivalenza rispetto ai contenuti del Modello previsto dal d.lg. 231.

Il consulente della difesa di Nomura ha argomentato, in particolare, che la Funzione Compliance fosse equivalente all’OdV previsto dalla normativa italiana.

È stata pure evidenziata l’esistenza di un apposito comitato, European Executive Management Committee (EEMC), il quale effettivamente era stato investito della questione sub iudice: peraltro alle sue riunioni partecipavano, con diritto di voto, anche le Funzioni Compliance, Legal e Risk management.

Secondo il Tribunale, i presidi di garanzia hanno presentato falle talmente ampie da consentire di essere “apertamente strumentalizzati”: in particolare, la Funzione Compliance non è stata “incisiva ed efficace”.

La prevista escalation decisoria è stata ritenuta solo di facciata e il sistema si è rivelato inadeguato ed inefficace per la “promiscuità di profili decisori e di controllo”: in buona sostanza, secondo i giudici, si trattava di un “circuito autoreferenziale”, nel quale l’attività di controllo era meramente formale e svuotata di contenuto.

Nessuna prova – secondo il Tribunale - è stata fornita sull’elusione fraudolenta, teoricamente ipotizzabile: del resto, come ritenuto, non era nemmeno necessario ricorrere a particolari artifici.

Anche per quanto riguarda il “Modello” di Deutsche Bank, la tesi difensiva postulava l’equivalenza del Dipartimento Compliance all’OdV.

Il Tribunale aggiunge che, nonostante alcuni rilievi critici da parte dell’Internal Audit e di Bafin (l’Autorità federale tedesca per la supervisione del settore finanziario), i presidi non sono valsi a rilevare la vera natura del deal e a bloccarne l’approvazione.

L’approvazione da parte del Global Market Asset Committee è stata superficiale e senza approfondimento o obiezioni di sorta.

Il “Modello” non è stato di fatto capace di prevenire i reati oggetto di contestazione: le funzioni di controllo si sono mostrate inadeguate se non addirittura concilianti rispetto al buon esito dell’affare, a dispetto del suo scopo illecito.

Rilevano i giudici che l’I.A. ha mosso rilievi pure alla funzione di compliance che avrebbe dovuto sollevare obiezioni.

In definitiva, anche in questo caso, non c’è stata alcuna elusione fraudolenta: il sistema di controllo interno è stato “facilmente piegato secondo necessità”.

È mancata, in particolare, separazione tra proponenti, decisori e controllori: alle riunioni del GMRAC partecipavano anche i proponenti.

L’attività di supervisione è stata vuota e formale e “incapace di porre ostacoli” ad una procedura di approvazione inadeguata ed autoreferenziale.

In buona sostanza, i presidi preventivi adottati dalla sede londinese di Deutsche Bank sono stati ritenuti inidonei non tanto in base ad una valutazione ex ante, volta a verificarne la conformità ai requisiti indicati dall’art. 6 d.lg. 231/2001, ma piuttosto perché “non sono valsi a rilevare la vera natura del deal e a bloccarne l’approvazione”, e, anzi, ne avevano accettato la commissione come parte di una policy aziendale “tesa a privilegiare il conseguimento di un risultato profittevole anche a discapito dell’osservanza delle regole”.

Al contrario, come è stato rilevato in dottrina, l’accertamento di idoneità del modello organizzativo prescinde dalla verifica circa un presunto contributo causale dell’ente nella commissione del reato-presupposto, ma è un giudizio strettamente normativo, volto a verificare se l’autonormazione adottata dall’ente sia conforme alle esigenze di prevenzione enunciate dall’art. 6, comma 2 del d.lg. 231 (D’Arcangelo, L’introduzione di uno standard legale per la valutazione di idoneità dei modelli organizzativi, in Resp. amm. soc. enti, fasc. 4, 2018, p. 73 ss.).

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