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L’ODV negli enti di piccole dimensioni
L’art.6, comma 4, del d.lg. n. 231
prevede che, negli “enti di piccole dimensioni”, i compiti attribuiti
all’organismo di vigilanza “possano” essere svolti, “direttamente”, dall’organo
dirigente.
Il legislatore delegato, tuttavia,
non fornisce la definizione di ente di piccole dimensioni, lasciando pertanto
all’interprete il compito di individuarne le caratteristiche.
Non va peraltro
trascurata l’obiezione secondo cui il silenzio del legislatore sul punto
lascerebbe indeterminati i presupposti stessi del giudizio di colpa.
Trattandosi,
infatti, di un adempimento (la vigilanza sul modello da parte di un organismo ad
hoc) che deve essere provato dall’ente, il silenzio sulla soglia dimensionale
di un ente (che consente di non istituire quell’organismo) si tradurrebbe
nell’indeterminatezza degli stessi presupposti del giudizio di colpa (Pellissero e Fidelbo)
Le, ormai note, Linee-Guida di
Confindustria hanno affrontato il tema esame, affermando, tra l’altro, che
“quella della soglia dimensionale è una
problematica di tipo orizzontale, che riguarda ogni impresa a prescindere dal
settore merceologico in cui opera, ed influisce sul livello di complessità del
modello da adottare”; (…) “la definizione di piccola impresa va ricercata, più
che in parametri quantitativi, nella essenzialità della struttura interna
gerarchica e funzionale”; (…) “in una piccola impresa la maggior parte delle
funzioni è concentrata in capo a poche persone”
(Linee guida
Confindustria)
Per “struttura organizzativa” si intendono le
modalità attraverso le quali si ripartiscono compiti, poteri e responsabilità
all’interno dell’organizzazione.
Essa è costituita da componenti essenziali,
indispensabili per la sopravvivenza dell’ente, e da elementi “aggiuntivi”, che
aumentano le capacità di coordinamento e controllo della struttura
organizzativa.
I componenti essenziali consistono nella
definizione di ruoli e poteri delle posizioni individuali e delle unità
organizzative, e delle relazioni tra detti organi.
La struttura organizzativa delle piccole imprese
si contraddistingue per la sua “essenzialità”, in quanto dotata dei soli
elementi indispensabili per il suo funzionamento.
Ciò
posto, al fine di comprendere se la struttura di un’impresa sia essenziale,
dovrebbe operarsi un’analisi degli elementi che la compongono, al fine di
verificare se essi possano considerarsi necessari perché l’ente possa esistere
ed operare.
Altro elemento che contraddistingue
gli enti di piccole dimensioni è il grado di concentrazione delle funzioni in
capo a poche persone.
In altri termini: la maggior parte delle
operazioni che si riferiscono alla gestione aziendale fanno capo a pochi
determinati soggetti.
Quindi, sotto un profilo operativo,
potrebbe essere un valido parametro il raffronto del numero delle funzioni
esistenti nella specifica realtà aziendale, con i soggetti a cui le stesse sono
affidate.
Secondo
l’Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), la dimensione dell’impresa è valutata tenendo conto
della “struttura organizzativa, dell’articolazione territoriale dell’attività,
e del numero dei dipendenti impiegati su base annua”.
Devono intendersi, in ogni caso, piccole imprese
quelle che presentano un numero di dipendenti occupati, a tempo pieno, durante
l’ultimo esercizio annuale, inferiore a dieci unità.
Nel caso di impiego di lavoratori a tempo parziale
e stagionali, questi ultimi verranno computati come frazione di unità
lavorativa annuale.
Altro utile parametro di riferimento fornisce la
Raccomandazione della Commissione europea, 6.5.2003, n 1442 relativa alla
definizione di Piccola e Media Impresa.
Tale definizione rileva ai fini
dell’individuazione delle categorie di imprese beneficiarie degli incentivi
previsti dai programmi comunitari (PIC), nazionali (PON) e regionali (POR),
cofinanziati dall’Unione Europea e dalle leggi nazionali e regionali di
agevolazione.
Ebbene secondo la
Raccomandazione è piccola impresa quella nella quale il numero di occupati annui è inferiore a 50; il
fatturato è inferiore a 10 milioni di Euro oppure il totale dello Stato
Patrimoniale è inferiore a 10 milioni di Euro (i dati sul fatturato e sul
totale dello Stato Patrimoniale sono quelli del bilancio, anche se non ancora
depositato, dell’ultimo esercizio contabile chiuso (art. 4).
Di recente, la Commissione per i
Principi di Revisione dei Consigli Nazionali dei Dottori Commercialisti e dei
Ragionieri ha approvato il Documento N. 1005 “Considerazioni sulla revisione
delle imprese ed enti minori”, che vuole descrivere le caratteristiche che di
regola si riscontrano nelle piccole e medie imprese e indicare come tali
caratteristiche possano influenzare l’applicazione degli principi di revisione.
Tra i diversi aspetti caratterizzanti le PMI, il documento incentra la propria
attenzione su concentrazione della proprietà e della direzione, limitatezza
delle fonti di ricavi e semplicità dei sistemi contabili e di controllo
interno.
Normalmente in un piccola e media impresa la Proprietà e la Direzione possono
essere concentrate in capo ad un numero ristretto di persone o, ancor più
spesso, in capo ad un’unica persona che funge da proprietario e amministratore.
A tale proposito il documento 1005 specifica che il revisore deve esaminare
l’influenza complessiva che il proprietario-amministratore, o altro personale
direttivo, esercita sull’ambiente dei controlli, nonché valutare il loro grado
di coinvolgimento nelle operazioni quotidiane. Una tale comprensione può essere
essenziale per valutare il rischio di controllo.
Il revisore può trarre beneficio, in termini di organizzazione del lavoro e
d’impiego di risorse, dal fatto che normalmente le piccole e medie imprese
hanno limitate fonti di ricavi, nel senso che offrono spesso una gamma limitata
di prodotti o servizi o operano in settori di nicchia di mercato.
Spesso in realtà aziendali di piccole e medie dimensioni i sistemi di controllo
interno, nonché i sistemi contabili, non sono particolarmente complessi e se da
un lato tale lacuna potrebbe essere parzialmente compensata da un controllo
diretto esercitato dal proprietario amministratore, dall’altro è altrettanto
possibile che il proprietario amministratore eserciti a proprio beneficio la
sua posizione dominante.
Non esiste, ovviamente, un modello valido per tutte le realtà aziendali, perché
esso deve essere calibrato sulla natura e sulle caratteristiche dell’ente,
sulle sue dimensioni e sulla peculiarità dell’attività svolta.
Il
modello da adottare in un ente di piccole dimensioni ha una complessità
sicuramente inferiore rispetto al modello adottato in un’impresa medio-grande.
Ciò in
ragione del fatto che le questioni concernenti l’organizzazione, le deleghe di
funzioni e le procedure decisionali ed operative sono destinate ad assumere un
minor rilievo in una piccola impresa, nella quale, come già detto in
precedenza, la maggior parte delle funzioni è concentrata in capo a poche
persone.
Le piccole imprese sono
caratterizzate da minori risorse da poter dedicare alla predisposizione di un
modello organizzativo ed ai relativi controlli. Proprio per la dimensione e la
semplicità della struttura organizzativa esse, infatti, non dispongono di una
funzione (o persona) con compiti di monitoraggio del sistema di controllo
interno, e l’onere derivante dall’istituzione di un organismo ad hoc potrebbe
non essere economicamente sostenibile.
Negli enti di piccole
dimensioni la compenetrazione tra l’ente e il soggetto agente, è tale da far sì
che la volontà del singolo sia espressione della politica aziendale, e diventa
quindi più difficile, ma tuttavia non impossibile, escludere la volontà
dell’ente quando si verifichino i reati considerati.
Ciò esclude, quasi del tutto, il verificarsi di
quel fenomeno di dissociazione tra la volontà del soggetto e la volontà
dell’ente, caratteristico delle imprese di dimensioni medio-grandi,
in cui la distribuzione del potere decisionale tra più soggetti rappresenta una
soluzione obbligata.
Conformemente, la relazione governativa sul tema
spiega come, nel caso di commissione del reato da parte di un apicale, vi sia la presunzione, salvo prova
contraria, di responsabilità della società, dal momento che i soggetti posti al
vertice della struttura societaria esprimono e rappresentano la politica
dell’ente.
Si ravvisa l’opportunità,
inoltre, di costituire prove documentali dell’attività di controllo svolta sia dal CdA, che dall’Organismo della Capogruppo o dai consulenti
esterni, a mezzo di verbali
controfirmati dal soggetto sottoposto alle verifiche, di raccolta di
documentazione a testimonianza delle ispezioni effettuate, di descrizione
puntuale delle operazioni realizzate.
Sarà necessario, poi, che
le tematiche in oggetto costituiscano periodicamente argomento all’ordine del
giorno delle riunioni del CdA, unitamente ad un
programma operativo aziendale che descriva le attività di vigilanza e la
metodologia di svolgimento delle stesse.
Il rischio che
essa sia coinvolta in procedimenti penali per i reati richiamati dal d.lg. n. 231 è, infatti, tutt’altro che remoto (basti
pensare al fenomeno delle erogazioni pubbliche e dei finanziamenti alle piccole
imprese).
Infine, la configurazione del sistema disciplinare
e dei meccanismi sanzionatori non presenta profili diversi da quelli
concernenti le imprese di rilevanti dimensioni.
(Maurizio
Arena)