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Lo stato di insolvenza del contribuente nei reati di omesso versamento delle ritenute certificate e dell'IVA

Nota a Cassazione Penale, 5 giugno 2014 (ud. 14 maggio 2014), Sez. III – Pres. TERESI, Rel. PEZZELLA

Con la recente sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in merito al dibattuto tema della configurabilità come esimente dello stato d’insolvenza del contribuente nei reati di omesso versamento delle ritenute certificate e dell’IVA.
La Corte era chiamata a decidere sul ricorso proposto da B.M. avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Roma, che ne aveva rigettato il riesame, confermando il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente.
A B.M. venivano contestate la violazione degli artt. 10 bis e 10 ter del D.Lgs. 74/2000, per non aver versato, nei termini previsti, le ritenute certificate cui era obbligato e per non aver versato, entro i termini previsti, l’IVA dichiarata nella dichiarazione annuale.
Tra i molteplici motivi di ricorso, B.M. censurava l’impugnata ordinanza del Tribunale di Roma in relazione all’insussistenza dell’elemento psicologico. In particolare, il ricorrente lamentava che lo stato di illiquidità e, quindi, d’insolvenza potessero integrare una condizione di forza maggiore, indipendente dalla sua volontà, che aveva reso materialmente impossibile versare le ritenute certificate e l’IVA di cui al capo d’imputazione.
Con riferimento all’elemento psicologico, i reati previsti dall’art. 10 bis e 10 ter del D.Lgs. 74/2000 sono puniti a titolo di dolo generico. La Suprema Corte, infatti, precisa e ribadisce che per la commissione di tali reati sono sufficienti la coscienza e la volontà di non versare all’Erario le imposte dovute, con la precisazione che tale coinvolgimento psicologico deve investire anche la soglia di 50.000 euro, che è elemento costitutivo del fatto.
Nella struttura dei due reati, introdotti nel 2005 e nel 2006, quindi, non è prevista la finalità evasiva delle imposte, presente, invece, in tutti gli altri reati tributari contemplati dal D.Lgs. 74/2000.
A parere di chi scrive, la mancata previsione del dolo specifico stride con i principi ispiratori della norma e, proprio in considerazione di ciò, si pone il la questione, ormai sempre più sollevata nelle aule giudiziarie, della rilevanza o meno dello stato d’insolvenza del contribuente quale esimente nelle fattispecie di reato previste dagli artt. 10 bis e 10 ter del D.Lgs. 74/2000.
La Corte di Cassazione, nell’affrontare in sentenza tale tematica, recepisce e conferma i principi già espressi in altre precedenti sentenze della stessa Corte, anche a Sezioni Unite.
Con riferimento al reato previsto e punito dall’art. 10 ter, i Giudici affermano che il contribuente che non abbia versato l’IVA dovuta in base alla dichiarazione, nel termine fissato dalla norma penale, risponde del delitto de quo anche qualora venga a trovarsi in una condizione di illiquidità tale da impedire l’adempimento dell’obbligo tributario.
La Corte motiva tale conclusione sostenendo che il debito nei confronti dell’Erario relativo al versamento dell’IVA è connesso al compimento delle operazioni imponibili; ogni volta che il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già l’IVA dovuta e deve, quindi, provvedere ad accantonarla per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligo tributario allo scadere del temine “lungo”, prevedendo l’eventualità di una possibile crisi economica e di liquidità.
Ribadendo quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza 37424/13, “non può essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta”, ovvero di accantonare nel tempo le somme dovute.
Tuttavia, la Corte non esclude che siano possibili ipotesi in cui possa essere invocata dal contribuente l’assoluta impossibilità di adempiere all’obbligazione tributaria; tuttavia è necessario provare che la crisi di liquidità non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile, ovvero che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche necessarie ad assolvere il debito con il fisco.
Per questo motivo, i Giudici della Corte, nella sentenza in commento, si soffermano ad analizzare le circostanze evidenziate dal ricorrente a sostegno della impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria, integrando lo stato di necessità ex art. 54 c.p.
In particolare, B.M. deduce: a) l’aver privilegiato il pagamento degli stipendi ai dipendenti, onde evitare dei licenziamenti; b) l’aver pagato dei debiti ai fornitori, per evitare il fallimento della società; c) la mancata riscossione di crediti vantati, anche nei confronti dello Stato.
Quanto alla circostanza di cui al punto a), la Corte di Cassazione nega che possa integrare lo stato di necessità, in quanto l’art. 54 c.p. esclude la punibilità per chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un “danno grave alla persona”.
La giurisprudenza consolidata della Cassazione (cfr. Cass. Pen., Sez. III, n. 15416/2014; Cass. Pen, Sez. I, n. 4323/1997) ha precisato che il legislatore, con tale espressione, ha inteso riferirsi ai soli beni morali e materiali che costituiscono l’essenza stessa dell’essere umano, quali la vita, l’integrità fisica, la libertà morale e sessuale, ma non anche quei beni, pur costituzionalmente garantiti, che contribuiscono allo sviluppo della persona umana.
Orbene, la perdita del lavoro, pur essendo il diritto al lavoro tutelato dalla Costituzione, non costituisce un danno grave alla persona ex. art. 54 c.p.
Medesime considerazione sono svolte dalla Corte in merito alle circostanze di aver pagato dei debiti ai fornitori, per evitare il fallimento della società, e la mancata riscossione di crediti vantati, anche nei confronti dello Stato.
Tale ultima circostanza, tuttavia, dovrebbe essere debitamente tenuta in conto dal Giudice, quando a causa del mancato pagamento da parte del terzo (ipotesi non rara), il contribuente si trovi nella situazione di dover versare l’IVA su operazioni effettuate, ma mai effettivamente pagate, rendendo così materialmente impossibile l’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Chiaramente, tale circostanza fattuale necessità un’adeguata prova e dimostrazione da parte del contribuente.
Tutte le considerazioni testé fatte si estendono, chiaramente, anche al reato di mancato versamento delle ritenute certificate ex art. 10 bis.
(Carlo Pacileo)

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