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Profili di diritto comparato del corporate crime (II)

 

PARTE SECONDA

4. L'Unione europea: quale responsabilità per la persona giuridica?

Qual è quindi la natura giuridica della responsabilità sollecitata a carico degli enti collettivi negli atti comunitari?

E' importante puntualizzarlo, per avere un'idea sulla prospettiva nella quale collocare l'armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia.

Anche volendo restringere l'analisi soltanto al nostro Paese, le risposte offerte dalla dottrina risultano tutt'altro che pacifiche.

Emergono  punti di vista opposti, ognuno dei quali si giustifica e appare  altresì giustificabile.

Una prima soluzione è quella di ritenere che le richieste da parte dell'Unione non abbiano come oggetto l'introduzione della perseguibilità penale delle persone giuridiche.

Si opterebbe, infatti, per la "predisposizione non già di sanzioni penali ma di strumenti punitivi dotati di effettività, proporzionalità ed efficacia dissuasiva" .

Questa affermazione è in effetti corroborata da documentazione proveniente dagli stessi organi dell'Unione.

Si fa riferimento, ad esempio, alla storica decisione della Corte di Giustizia relativa al "mais greco" ; in essa i giudici comunitari hanno stabilito che, alla luce del generico principio di collaborazione di cui all' art. 5 del Trattato, quando la norma europea non preveda sanzioni per la violazione dei suoi precetti sostanziali, gli Stati sono obbligati a garantirne l'osservanza con "mezzi analoghi a quelli previsti per le violazioni di diritto interno".

In definitiva, ci troveremmo di fronte a obbligazioni di risultato, che gli Stati dovrebbero onorare con gli strumenti a cui l'ordinamento di ognuno di essi riconosce legittimità.

Di conseguenza, per questa dottrina, "l'armonizzazione sanzionatoria necessaria alle esigenze dell'U.E. potrebbe anche non interferire con il principio societas delinquere non potest" .

Quale potrebbe essere allora il modello di responsabilità da porre a garanzia dell'efficacia delle sanzioni  uniformemente predisposte?

Prima di tutto bisogna scartare, per la qualità degli interessi da tutelare (non solo finanziari) e la gravità delle violazioni registrate, la sufficienza di uno schema civilistico di responsabilità; medesima osservazione per la responsabilità strettamente amministrativa.

Necessitano sanzioni di contenuto afflittivo e punitivo.

Queste sarebbero efficacemente predisposte -sempre secondo la dottrina in esame- da un sistema penale-amministrativo, ossia "parapenale".

Anche quest'ultima conclusione appare supportata dai fatti, melius dagli scritti: si tratta stavolta di uno studio della Commissione, il cd. "Rapporto di sintesi" del 1993 , relativo all'analisi comparatistica delle sanzioni amministrative e penali degli Stati e alla loro compatibilità con i principi dell'U.E.

Tale studio avrebbe appunto evidenziato che un sistema penale-amministrativo sarebbe il più adatto a raggiungere quell' "uniformità sanzionatoria minimale" che si chiede nell'ambito dell'Unione.

Cosa sia in sostanza il diritto parapenale, e se è ipotizzabile una sua autonomia dai sistemi tradizionali, sarà detto più avanti, in occasione dell'analisi del d.lg. 231, perchè è in seguito alla recente normativa che si è fatto più urgente il dibattito sulla  possibile cittadinanza di questo ibrido normativo  in Italia.

Qui si vuole invece sottolineare che le remore a un'estensione  delle situazioni propriamente penali alla persona giuridica, da parte della dottrina finora analizzata, nascono prima e indipendentemente dal problema dell'uniformazione europea del diritto.

Esse, in realtà,  sono frutto di una concezione generale, suggestiva sì, ma non necessariamente insuperabile.

Tale concezione guarda al diritto, e in particolare al diritto penale, come a un corpus normativo che non può prescindere dall'uomo, perchè è posto a tutela di beni le cui violazioni vanno ad offendere sfere di valori che sono patrimonio peculiare dell'essere umano in quanto soggetto individuale.

Per parte della dottrina, che assume una posizione "intermedia" , la soluzione penale-amministrativa non sarebbe una vera necessità dovuta all'impossibilità di eludere i principi fondamentali di quelle nazioni che ancora resistono al societas delinquere potest, ma piuttosto uno strumento opportuno per aggirare questo tipo di ostacoli.

Si rifiuta pure la già dubbia "autonomia" delle norme parapenali: esse, in effetti, si distinguerebbero da quelle penali stricto sensu solo sotto due particolari profili.

Il primo riguarda il contenuto delle sanzioni, che non si possono concepire come restrittive della libertà personale per la persona giuridica; il secondo profilo attiene all'assenza, nelle stesse pene, di un significativo coefficiente di stigmatizzazione etico-sociale.

A ben vedere, però, nessuna di queste osservazioni può fondare l'autonomia di un sistema di norme sanzionatorie; anzi in qualche modo esse, e più direttamente la seconda, contribuiscono ad asseverare un'idea di fondo che qui si ritiene di accogliere.

Ci pare infatti che esistano violazioni di beni riconosciuti, degni di tutela penale, che però non necessariamente coinvolgono la sfera intima dell'uomo, lasciando la sua moralità indifferente rispetto alla lesione del bene stesso.

A siffatta interpretazione, ancora in qualche modo prudente, si contrappone la  presa di posizione di quella dottrina che ritiene le opzioni dell'U.E., in materia di responsabilità delle persone giuridiche,  relative al sistema strettamente penale; e, se gli atti comunitari non lo affermano esplicitamente, è solo per "ossequio formale"  all'impostazione di quei Paesi che mostrano ancora delle remore a un'inversione di rotta.

Anche questa visione dottrinale ha a sua giustificazione un substrato documentale parecchio significativo e interessante.

Viene in primo luogo indicato, come illuminante, un passaggio della Convenzione OCSE contro la corruzione dei pubblici ufficiali ; in essa, all'art. 35  si legge: "...nel caso in cui, secondo il sistema giuridico di una Parte, la responsabilità penale non sia applicabile alle persone giuridiche, la Parte in questione assicura che le persone giuridiche siano passibili di sanzioni non penali efficaci, proporzionate e dissuasive...".

Appare evidente come le sanzioni non penali si pongano come mera alternativa al modello criminale preferito dal redattore comunitario.

Il panorama si schiarisce ulteriormente se si passa al secondo  elemento "probatorio" a sostegno della tesi in esame.

Si tratta di uno studio riguardante le modalità di protezione degli interessi finanziari dell'Unione; al termine di esso, nel 1996, è stato presentato un progetto di "Corpus iuris" europeo, formato da 35 articoli distribuiti in due sezioni .

Di queste, la prima, dedicata al diritto sostanziale, prevede vere e proprie fattispecie penali, anche se circoscritte a determinati illeciti (frode, corruzione, riciclaggio, associazione a delinquere etc.); in virtù delle disposizioni della seconda sezione, siffatti reati dovrebbero essere perseguibili in tutto il territorio dell'Unione, dando vita così a uno "spazio giudiziario comune" .

Per quanto interessante, si tratta di un progetto altamente problematico, soprattutto laddove va ad invadere principi come la territorialità del diritto penale, o  la titolarità e l'esercizio della stessa azione penale; appaiono scontate, pertanto, le forti diffidenze degli Stati alla concretizzazione di questa idea ambiziosa.

Ai fini del nostro lavoro è inopportuno addentrarci in questo dibattito, che ci allontanerebbe inevitabilmente dal "thema" fondamentale.

Tuttavia, non si vuole lasciare ancora il "Corpus juris", ma, al contrario, esplorarne il contenuto e trarne spunti utili a lanciare un quesito provocatorio.

Il fatto è che, nello spazio di soli 35 articoli, ci si imbatte nella previsione della responsabilità penale degli organismi collettivi ma pure nell'esplicito, fermo riconoscimento del "principe de culpabilité personelle".

Questo, in particolare, appare effettivamente eretto "en principe directeur du modèle d'espace pénal européen proposé" .

Tant'è vero che il criterio della colpevolezza informa di sè anche il momento di determinazione della pena: tra le disposizioni si legge: "les peines...n'excéderont pas la mesure exigée par la faute de l'auteur...".

Il sasso è lanciato.

 

5. La soluzione del nuovo codice penale francese.

Alcune delle più decise prese di posizione sulla responsabilità della persona giuridica vengono dalle legislazioni nazionali.

A titolo di esempio può citarsi la Francia che,  tra i Paesi europei più legati alla tradizione di civil law, è stata la prima ad abbandonare il dogma "societas delinquere non potest".

Il 1° marzo 1994 è  entrato in vigore, in sostituzione del risalente (1810) codice napoleonico, il nuovo Code Pénal: al suo interno, l'art. 121-2, che riconosce in modo definitivo la responsabilità penale delle "personnes morales".

L'aggettivo definitivo  non è stato casualmente utilizzato; il dibattito sulla persona giuridica non è  argomento nuovo per la scienza penalistica francese, e lo stesso legislatore storico si è trovato più volte nella necessità di "sperimentare" la soluzione oggi confermata.

Senza andare troppo indietro nel tempo, si possono ricordare le tre "Ordonnances" eccezionali del Governo provvisorio del 1948  (in materia di stampa, di regolamentazione dei cambi e di attività economica) che, pur avendo un efficacia temporanea e circoscritta, prevedevano la responsabilità diretta del "groupement".

Utilizzando la breccia aperta da siffatti precedenti, e grazie a un quasi incondizionato appoggio della dottrina, la "responsabilitè" è approdata finalmente nei progetti di riforma del codice penale.

E' presente soprattutto nel fondamentale Avant-Project del 1978, all'art.38: in esso-e questo vale come interessante notazione storica-, si rendevano perseguibili enti riconosciuti e non, mentre venivano esclusi assolutamente quelli aventi rilevanza pubblica (e ciò sicuramente per il timore di attentati a fondamentali diritti civili, quale ad esempio quello d'associazione).

Arriviamo così al codice nuovo.

Il   già citato articolo 121-2 così dispone: "les personnes morales, à l'exclusion de l'État, sont responsables selon les distinctions de articles 121-4 à 121-7  et dans les cas prévus par la loi ou le règlement, des infractions commises pour leur compte par leurs organes ou représentants".

Dal punto di vista dei soggetti, sono evidenti le differenze della norma attuale rispetto al Progetto del ‘78.

Difatti, se è vero che la previsione si restringe alle sole "personnes" dotate di riconoscimento, essa si fa ardita laddove va a coinvolgere anche tutte le organizzazioni di diritto pubblico , escluso lo Stato.

A questo punto v'è da fare un'osservazione.

Non vi sono dubbi che la responsabilità possa oggi riguardare anche le "collectivités territoriales", sebbene, testualmente, limitatamente a "infractions commises dans l'exercice d'activités susceptibles de faire l'object de conventions de délégation de service public ".

In pratica, non sono perseguibili solo i comportamenti illeciti eventualmente tenuti dall'ente (municipio, mandamento, regione) in quella sfera di sue attribuzioni non delegabili a terzi, il cui nucleo essenziale è dato dalle funzioni che in Italia si definiscono "di stato civile".

La delicatezza di questo assetto di cose è stata evidenziata da quella dottrina  che, rilevando la forte ostilità degli enti territoriali avverso la disposizione in esame, prevede un gran numero di ricorsi al "Tribunal des Conflicts".

In effetti non si può nascondere la potenziale drammaticità sociale di una soluzione di questo tipo, soprattutto nella fase applicativa della sanzione: si pensi, ad esempio, a pene di natura interdittiva, come la sospensione anche temporanea di un servizio pubblico essenziale, che creerebbe un disagio grave ai cittadini.

Inoltre non è detto che, nel bilanciamento tra interessi opposti entrambi meritevoli di tutela -vale a dire l'esigenza di punizione della condotta illecita versus l'esercizio di un diritto civile-, il primo debba  a priori avere la precedenza.

Si può quindi affermare che il legislatore francese ha  "volato alto" nella previsione dei possibili soggetti attivi del reato; non così nello stabilire i casi di responsabilità della persona giuridica sotto il profilo oggettivo, ossia delle condotte obbiettivamente perseguibili.

Si è infatti optato, in linea con la tendenza dell'Unione Europea (trend seguito altresì dal nostro d.lg. 231), per un sistema casistico di criminalizzazione .

In pratica, perché la "personne morale" possa essere incriminata e punita, è sempre necessaria una normativa (loi ou règlement) speciale che espressamente preveda questo risvolto in relazione al reato da essa disciplinato.

C'è da dire, comunque, che i "reati-matrice" aumentano costantemente di numero.

Costituisce perciò mera esemplificazione enumerarne alcuni:

-bancarotta;

-turbativa dei mercati e altri illeciti inerenti la concorrenza;

-reati di inquinamento;

-atti di violenza e omicidio involontari;

-traffico di stupefacenti;

-estorsione, truffa, furto, ricettazione e appropriazione indebita;

atti di terrorismo;

attentati ai sistemi informatici;

-ed altri ancora.

La soluzione, appena ricordata, della specialità della responsabilità dei "groupements" è stata ricollegata a più ordini di ragioni: primo fra tutti, quello politico-criminale, che si giustifica in virtù dell'"emersione" della criminalità collettiva, più accentuata in taluni ambiti.

Pertanto, secondo una dottrina , si sarebbe legiferato considerando che "l'estensione della responsabilità penale alle persone giuridiche si giustificasse limitatamente ai delitti per i quali esse sono frequentemente in causa, essendone l'abituale mezzo di attuazione o le prime beneficiarie".

Si può probabilmente aggiungere che non sono estranee a questa scelta di criminalizzazione neanche delle esigenze tecnico-pratiche, quale quella di verificare la funzionalità della nuova normativa, sottoponendola a un periodo di rodaggio sperimentale, ed evitando così di invadere ex abrupto l'intero circuito normativo.

Profili di interessante originalità ha questo nuovo codice francese nella ricostruzione dell'elemento psicologico del reato attribuito all'ente.

Il legislatore de quo non ha affatto seguito la strada, più semplice ma altrettanto pericolosa, della responsabilità oggettiva, ma ha voluto delineare una colpevolezza della "personne morale": si è sottolineato come la normativa faccia riferimento a "toutes les condictions de la responsabilité pénale, y compris les dispotitions mentales".

 Quanto sopra è emblematico, soprattutto alla luce del fatto che il principio "nulla poena sine culpa" non ha una rilevanza costituzionale in Francia, e quindi non costituirebbe un vincolo per la legislazione primaria.

E' stata poi la dottrina, seguita altresì nelle interpretazioni giudiziali della norma, a ricostruire il concetto, parlando di una volontà collettiva, che sarebbe la somma delle volontà individuali dei soggetti che compongono la persona giuridica: "la personne morale est parfaitement capable de volonté; elle postule même la volonté, puisqu' elle naît et vit de la rencontre des volontés individuelles de ses membres" .

Si può concludere che, grazie al necessario riferimento alle persone fisiche che agiscono per l'ente ed all'accoglimento di una versione psicologizzante della colpevolezza, nel Paese d'oltralpe il dibattito su questo tema risulta più pacato e meno conflittuale.

Inoltre, va posto nel debito risalto il dato secondo cui la responsabilità diretta della persona giuridica è in regime di cumulo con quella dell'individuo-organo.

L'art. 121-2 al comma 3 dispone infatti: "la responsabilité des personnes morales n'exclut pas celle des personnes physiques auteurs ou complices des mêmes faits" .

Ciò dimostra la costante attenzione per la ricerca di un'effettiva responsabilità di entrambi i soggetti (individuale e collettivo) coinvolti nel rimprovero penale; si evita così anche il  problematico ricorso a mere "responsabilità di posizione", e il suo corollario di possibilità di "atteintes trop graves à la presomption d'innocence" .

Passiamo ad analizzare il quadro delle sanzioni, a cui è dedicato l'intero Titolo III del libro I del Code Pénal; disciplina corposa, rispetto alle previsioni del codice napoleonico, anche grazie all'introduzione di pene specificamente ritagliate sulla persona giuridica (art. 131-37 ss.).

E' anzi in questa materia che la normativa penale francese ha assunto un ruolo veramente "pionieristico", elaborando una estrema varietà ed originalità di sanzioni per l'ente.

Il ricorso alla pena pecuniaria ("amende"), per quanto ancora abbastanza diffuso, è stato drasticamente ridotto, in seguito a valutazioni simili a quelle statunitensi, che hanno registrato il fallimento delle "fines".

Al contrario, si allarga il ventaglio delle misure interdittive: nel codice ve n'è un ampio catalogo (dall'esclusione al ricorso al pubblico risparmio, all'interruzione temporanea dell'esercizio dell'attività, all'espulsione dai pubblici mercati ecc...).

Si può inoltre registrare un ricorso pressoché generalizzato alla confisca della cosa servita per commettere il reato o di quella che ne costituisce il prodotto; si conosce la pena accessoria dell'affissione della decisione giudiziale di condanna e della sua diffusione tramite mezzi audiovisivi.

Due sono però gli istituti che destano un interesse maggiore, per la loro originalità ma pure per le numerose critiche che hanno suscitato.

Il primo è lo scioglimento, definito la "pena capitale" per la persona giuridica: questa sanzione estrema, in quanto non realizza alcuna funzione latu sensu costruttiva per l'organizzazione, deve essere applicata solo in casi di eccezionale gravità della condotta illecita.

E in effetti, il Code Pénal del ‘94 lo prevede soltanto in quei casi definiti di "impresa intrinsecamente illecita".

Una misura sanzionatoria peculiare della nuova disciplina penale francese è poi la sorveglianza giudiziaria dell'ente per un periodo di tempo necessariamente determinato.

L'istituto appare palesemente orientato alla prevenzione speciale positiva, in quanto si sostanzia in una riorganizzazione guidata della persona giuridica.

In definitiva, partendo dall'osservazione appena fatta, ed estendendo l'analisi all'intera disciplina delle pene, si può confutare quella dottrina  che polemicamente ha osservato: "on a le catalogue des peines, mais on ne sait pas à quoi doit servir la peine" .

Infatti, l'opzione in chiave teleologica nella materia delle pene sembra essere decisamente orientata verso la funzione di prevenzione generale, senza però disdegnare un'apertura a esperimenti di prevenzione speciale.

Ma ben più gravi dubbi sono stati avanzati sul  Titolo III del Code Pénal, soprattutto per ciò che concerne la sua compatibilità con i principi generali del diritto penale.

Nello specifico, si punta il dito sul possibile tradimento del  principio di personalità delle pene.

Questo avverrebbe su due fronti: da una parte, l'introduzione di una diretta responsabilità del "groupement" assicurerebbe l'impunità all'autore materiale del reato; dall'altra, la sanzione andrebbe fatalmente a scaricarsi su terzi innocenti.

Si tratta di argomenti critici che non ci sorprendono; sono infatti un "cavallo di battaglia" anche di quella dottrina italiana che guarda negativamente alla perseguibilità delle persone giuridiche.

Qui si vuole solo aggiungere che queste obiezioni rischiano di degradare a  sterile polemica , laddove non si scenda sul "campo" dell'esperienza e si sperimentino le possibili soluzioni dei problemi posti.

Ma per fortuna c'è una parte della scienza giuridica a cui non sfugge l'opportunità dell'approccio empirico.

E così dice bene De Simone, quando, spostando i riflettori sul momento applicativo della norma, afferma che starà ai giudici "riuscire a contemperare i vari interessi in gioco" .

Solo in quel momento, ad esempio,  sarà possibile individuare concretamente, e valutare, l'interesse dei dipendenti della società al mantenimento del posto di lavoro, oppure organizzare gli eventuali controlli dell'Autorità in modo tale che non risultino  eccessivamente invasivi della libertà d'azione della persona giuridica.

Un ultimo accenno è d'uopo fare ai profili processuali della nuova "responsabilité", le cui norme di riferimento sono state introdotte nel codice di procedura penale francese dalla "loi d'adaptation".

Queste disposizioni (dalla posizione processuale della persona giuridica, alla sua rappresentanza, alla creazione di un casellario giudiziale ad hoc) appaiono perfettamente sovrapponibili alle previsioni processuali del nostro d.lg.. 231/2001.

Eppure da noi il soggetto collettivo ha (può avere) una responsabilità amministrativa; in Francia questa è indubbiamente penale.

Posto che non è pensabile che i due termini possano semplicemente ritenersi intercambiabili, da ciò dovrebbe scaturire una seria riflessione sulla reale natura della nuova responsabilità della persona giuridica in Italia.

(Marta Silano)

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