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Sfruttamento della manodopera e responsabilità dell'ente

La legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”, inserisce nel codice penale, tra i delitti contro la personalità individuale (artt 600-604) la fattispecie di cui al nuovo art. 603-bis (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), il cui testo si riporta per comodità:

 

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un’attività organizzata di intermediazione, reclutando manodopera o organizzandone l’attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.

Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:

1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;

2) la sistematica violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie;

3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.

Costituiscono aggravante specifica e comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;

2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) l’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.

Inoltre viene inserito un art 603-ter (Pene accessorie), che recita:

La condanna per i delitti di cui agli articoli 600, limitatamente ai casi in cui lo sfruttamento ha ad oggetto prestazioni lavorative, e 603-bis, importa l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti. La condanna per i delitti di cui al primo comma importa altresì l’esclusione per un periodo di due anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell’Unione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento. L’esclusione di cui al secondo comma è aumentata a cinque anni quando il fatto è commesso da soggetto al quale sia stata applicata la recidiva ai sensi dell’articolo 99, secondo comma, numeri 1) e 3).

Sulla nuova fattispecie appare utile rinviare alla nota dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, che riassume anche le altre novità di rilievo penalistico della Manovra (http://www.cortedicassazione.it/Notizie/SchedaNewsRelazLeg.asp?ID=46).

In questa sede si intende svolgere alcune considerazioni sulla mancata inclusione della nuova fattispecie tra i reati-presupposto della responsabilità degli enti collettivi ex d.lg. 231/2001.

Come è noto, tutti i delitti contro la personalità individuale (tranne quello previsto dall’art 600-octies: impiego di minori nell’accattonaggio) possono fondare la responsabilità dell’ente ai sensi dell’art 25-quinquies, introdotto dalla legge n. 228 del 2003 sulla tratta delle persone:

1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dalla sezione I del capo III del titolo XII del libro II del codice penale si applicano all'ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602, la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote;

b) per i delitti di cui agli articoli 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1, e 600-quinquies, la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote;

c) per i delitti di cui agli articoli 600-bis, secondo comma, 600-ter, terzo e quarto comma, e 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.l, la

sanzione pecuniaria da duecento a settecento quote.

2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettere a) e b), si applicano le sanzioni interdittive previste dall'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno.

3. Se l'ente o una sua unita' organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell'interdizione definitiva dall'esercizio dell'attivita' ai sensi dell'articolo 16, comma 3.

Ad avviso di chi scrive si tratta di un’occasione persa, specie ove si pensi che in Parlamento giacciono quattro proposte di legge che intendono integrare il d.lg. n. 231 proprio con il reato de quo.

La prima (A.C. 3527) vorrebbe inserirlo nell’articolo 25-septies, accanto all’omicidio colposo e alle lesioni colpose commessi in violazione della normativa antinfortunistica: la stessa rubrica verrebbe anzi modificata, premettendo “Grave sfruttamento dell’attività lavorativa” all’attuale testo.

La seconda (A.C. 1263) vorrebbe inserirlo – più correttamente – nel menzionato articolo 25-quinquies, al comma 1, lettera b), che prevede la sanzione pecuniaria compresa tra trecento e ottocento quote e le sanzioni interdittive ex art 9 comma 2 per una durata non inferiore ad un anno.

La terza (A.C. 1220) mira ad un’integrazione dell’articolo 25-quinquies e, addirittura (a dire il vero in maniera ridondante), ad una modifica dell’art 25-septies, comma 3, prevedendo la sanzionabilità dell’ente oltre che per le lesioni colpose anche per il delitto di cui all’art 603-bis ove commesso con violazione della normativa antinfortunistica.

La quarta (A.S. 2584) vorrebbe aggiungere una disposizione autonoma nell’ambito della Parte Speciale del d.lg. n. 231 per prevedere la responsabilità dell’ente in relazione ai “Delitti in materia di tutela del lavoro e della leale concorrenza tra imprese” (costituiti dall’art 603-bis c.p. e dal delitto di cui all’art 22, comma 12-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286)

Soluzione ancora diversa era stata prospettata dal d.d.l. approvato dal Consiglio dei Ministri del 17 novembre 2006, laddove si proponeva la modifica dell'art. 600 c.p. (a partire dalla rubrica: “Riduzione in schiavitù o servitù e sfruttamento di lavoratori”), con l’inserimento di un comma 2 che testualmente recitava:

Chiunque recluta manodopera ovvero ne organizza l’attività lavorativa mediante violenza, minaccia, intimidazione o grave sfruttamento è punito con la reclusione da 3 a 8 anni e con la multa di 9 mila euro per ogni persona reclutata o occupata. La pena è aumentata se sono reclutati o sfruttati minori di anni 16 ovvero stranieri irregolarmente presenti sul territorio italiano.

In questa ipotesi – evidentemente non andata a buon fine – il nuovo reato sarebbe stato ascrivibile alla persona giuridica, in quanto l’art 600 era già reato-presupposto, a decorrere dall’entrata in vigore della menzionata legge n. 228 del 2003.

Va inoltre rilevato che le pene accessorie previste (a carico della persona fisica) nel nuovo art 603-ter (peraltro si poteva più correttamente ampliare l’esistente art 602-bis, già rubricato “Pene accessorie”) in relazione al delitto di sfruttamento della manodopera, sono in parte analoghe a quelle interdittive sancite a carico dell’ente collettivo ex art 25-quinquies.

Insomma e ad esempio: la condanna per il reato determina l’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione a carico dell’imputato, ma non a carico dell’ente.

Tale circostanza appare depotenziare l’efficacia deterrente del recente intervento legislativo, aprendo le porte a possibili elusioni: la persona fisica condannata potrà “rifugiarsi in un involucro societario” per continuare nella sua disinvolta condotta di sfruttamento del lavoratore.

Tra l’altro, ai sensi del nuovo art 603-bis, “la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale” costituisce indice di sfruttamento del lavoratore stesso.

Pertanto, sarebbe auspicabile – de iure condendo - che tali violazioni, anche se non determinano la responsabilità dell’ente collettivo ai sensi dell’art 25-septies, possano far entrare in gioco il d.lg. n. 231 proprio per il tramite dell’art 603-bis.

Infine va aggiunto che sovente le condotte di sfruttamento del lavoratore sono realizzate nell’ambito di ditte individuali e piccole imprese, di recente ritenute destinatarie del d.lg. n. 231 dalla Corte di Cassazione (Sez. III, 20 aprile 2011).

Anche per questo motivo si impone una integrazione della normativa sulla responsabilità degli enti che consenta la loro punibilità in relazione al delitto di nuovo conio.

(Maurizio Arena)

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