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L'applicazione cautelare delle sanzioni interdittive. Il sequestro

Affrontando il tema dell'applicazione cautelare delle misure interdittive introdotte dal decreto 231/2001, deve essere preliminarmente chiarito che si tratta di misure di natura del tutto diversa da quelle, di identica qualificazione, previste dal codice di procedura penale vigente.

Affrontando il tema dell'applicazione cautelare delle misure interdittive introdotte dal decreto 231/2001, deve essere preliminarmente chiarito che si tratta di misure di natura del tutto diversa da quelle, di identica qualificazione, previste dal codice di procedura penale vigente.
In quest'ultimo, infatti, si fa riferimento alle misure interdittive negli articoli da 287 a 290 c.p.p., per individuare dei provvedimenti inibitori (sempre temporanei) dell'esercizio di potestà connesse a uno stato o a una qualità della persona. 
Si tratta di misure che nascono dal filone delle pene accessorie applicate provvisoriamente in tre sfere: la famiglia (incidendo sulla potestà dei genitori); il pubblico ufficio o servizio; le professioni o le imprese.
In concreto s'identificano nelle seguenti:
1.      sospensione dalla potestà dei genitori (provvedimento a cui può - ad esempio - farsi ricorso, nella sussistenza dei presupposti, quando si proceda per maltrattamenti in famiglia ovvero per uno dei delitti contro la libertà sessuale);
2.      sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio con esclusione degli uffici ricoperti per investitura popolare come quelli di sindaco, assessore, parlamentare, che  potrebbero trovare applicazione laddove si proceda, ad esempio, per corruzione o concussione  o altri delitti contro la pubblica amministrazione;
3.      divieto - sempre temporaneo - di esercitare determinate attività professionali ovvero imprenditoriali,  imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese a cui può farsi riferimento nel caso di commissione di reati propri del professionista quali falsa perizia o interpretazione, patrocinio o consulenza infedele ovvero laddove siano stati commessi reati connessi all'esercizio di un'impresa come  l'inadempimento di contratti di pubbliche forniture ovvero la  turbata libertà degli incanti.
Le misure interdittive ora individuate - nel sistema del codice - si rivelano sostanzialmente sostitutive dell'applicazione provvisoria di pene accessorie già prevista nel codice penale da disposizione poi abrogata.
Sotto il profilo delle ragioni giustificatrici e del disegno complessivo del sistema può affermarsi che le misure interdittive previste dal codice di rito mirano a rimuovere posizioni da cui l'imputato, anche restando passivo, può nuocere al contraddittorio soprattutto rispetto alle prove o mira a prevenire nuovi fatti delittuosi con specifica funzione special preventiva.
La misura è quantitativamente graduabile (interdizione sempre temporanea). Presuppongono delitti la cui pena edittale superi i tre anni salvo alcuni casi.

Tipologia delle misure cautelari interdittive. Premessa generale

Di natura completamente diversa sono le misure interdittive previste dal decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231. Queste rappresentano - in una prima approssimativa definizione - un'applicazione anticipata delle sanzioni previste all'esito dell'accertamento di responsabilità.
La procedura di applicazione cautelare delle misure in esame è invece quasi interamente mutuata dalle disposizioni del codice di procedura penale  in materia di misure cautelari.
All'interno del capo  III del decreto dedicato al "Procedimento di accertamento e di applicazione delle sanzioni amministrative", è posta la  sezione IV titolata "Misure cautelari".
L'applicazione cautelare delle misure in esame era infatti oggetto di uno specifico punto della legge di delega, all'art.11 lett. o), dove si indicano, tra i contenuti del decreto legislativo:  "prevedere che le sanzioni di cui alla lettera l) sono applicabili anche in sede cautelare con adeguata tipizzazione dei requisiti richiesti".
Da questa formulazione è derivata una sostanziale sovrapposizione tra le misure interdittive applicabili a titolo di sanzione all'esito dell'accertamento positivo sulla sussistenza dell'illecito amministrativo e quelle applicabili in via cautelare.
Le norme di rito introdotte rappresentano poi una sostanziale imitazione di quelle previste dal codice di procedura penale per le misure cautelari.
Tutte le misure interdittive previste a titolo di sanzione nella legge 29 settembre 2000 n. 300 (la legge di delega) sono quindi applicabili in via cautelare, con esclusione della chiusura anche temporanea dello stabilimento o della sede commerciale perché non inserita tra le sanzioni nel decreto legislativo approvato.
Va spesa qualche considerazione sulla mancata attuazione della delega (art. 11 lett. l l. 300/2000) su questo punto.
In una prima stesura del decreto si introduceva tra le sanzioni la sola chiusura della sede commerciale (con esclusione quindi dello stabilimento). La scelta ridotta era giustificata tale considerazione (cfr. pag. 29 della relazione):  in conseguenza della decisione del Governo di attuare la delega solo con riguardo ad alcuni reati, la sanzione della chiusura dello stabilimento si sarebbe rivelata "sostanzialmente incompatibile con le finalità del sistema punitivo", poiché la sanzione in esame costituisce strumento di prevenzione speciale in relazione a forme diverse di rischio-reato, legate al c.d. rischio d'impresa. Tra questi rientrano i  reati in materia ambientale, omicidio e lesioni personali colpose derivanti dalla violazione delle norme sulla prevenzione infortuni sul lavoro ovvero i reati connessi allo svolgimento di attività pericolose. La chiusura della sede commerciale - si affermava nella relazione - era invece rispondente alla tipologia dei reati di corruzione e frode poiché si tratta di reati che ben possono essere commessi da soggetti che svolgono la loro attività in una sede diversa da quella principale, soprattutto in presenza di enti di dimensioni apprezzabili.
Nel decreto approvato è stata eliminata anche tale tipo di sanzione e, considerando che  la differenziazione proposta, tra chiusura dello stabilimento e chiusura della sede commerciale, non appariva condivisibile perché ricollegabile a parametri tra loro non omogenei, la  scelta adottata in definitiva va condivisa.
Peraltro, nella relazione al decreto, il Governo ha precisato le ragioni che lo hanno spinto a dare attuazione alla legge di delega solo con riferimento ai reati di concussione, corruzione e frode.
Considerando che certamente le problematiche di fondo si collegano a più articolati e complessi equilibri politici, nella relazione leggiamo che il Governo ha inteso limitare la delega ai soli reati che formano oggetto delle convenzioni internazionali ratificate con la legge di delega, per la presenza di due ordini del giorno tra loro contrastanti nella fase finale dell'approvazione della legge tra Camera e Senato. Infatti, nel primo - il 27 luglio 2000 - l'Assemblea dei deputati impegnava il Governo a contenere l'esercizio della delega con riguardo ai soli reati indicati negli strumenti internazionali oggetto di ratifica.
Nel secondo - in data successiva - il Senato impegnava il Governo a dare integrale attuazione alla delega sul presupposto che altri strumenti internazionali (non ancora ratificati) contemplavano già la  responsabilità degli enti in materia ambientale,  di tutela del territorio, di sicurezza sul lavoro.
Il Governo, in ragioni di questo contrasto, riteneva  quindi di attestarsi su una posizione c.d. "minimalista".
- Le sanzioni previste.
Nell'esame del procedimento di applicazione in sede cautelare vanno quindi tenute ben presenti le diverse sanzioni previste dal decreto:
1.      Interdizione esercizio attività
2.      Sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito.
3.      Divieto di contrattare con la pubblica amministrazione salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio
4.      Esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi sussidi, eventuale revoca di quelli già concessi
5.      Divieto di pubblicizzare beni o servizi.
- Presupposti di applicabilità
Nella legge di delega era richiesta " un'adeguata tipizzazione dei requisiti richiesti".  Il sistema seguito dal legislatore delegato è stato quello di ricalcare i requisiti, quasi integralmente, sullo schema delle misure coercitive personali previste dal codice di procedura penale.
1.      Gravi indizi per ritenere sussistente la responsabilità dell'ente per un illecito amministrativo dipendente da reato. Costituisce il primo dei presupposti da esaminare e va adeguatamente chiarito soprattutto per coloro che non si occupano di diritto penale e che non hanno quindi dimestichezza con concetti di squisita natura processualpenalistica. L'esame viene operato con specifico riferimento alla natura dell'illecito di cui ci si occupa (amministrativo) e al contesto di riferimento della legge.
Va innanzitutto operata una fondamentale distinzione tra prove e indizi.
Le prime qualificano elementi che - valutati dall'interprete - inequivocamente depongono per l'effettiva sussistenza dell'illecito amministrativo nonché per la sua riferibilità all'ente e sono prodromiche all'irrogazione di una sanzione (pecuniaria o interdittiva o entrambe).
I secondi invece richiedono non una responsabilità accertata ma una probabilità di colpevolezza, alta, qualificata,  ragionevole e capace di resistere a interpretazioni alternative (per le qualificazione viene evidentemente utilizzata l'elaborazione giurisprudenziale in materia penale: cfr. Cass. sez. un. 21 aprile 1995, Costantino e altro; Cass. sez. un 22.3.2000 n. 111, Audino).
Ancora mutuando la giurisprudenza formatasi in tema di misure cautelari personali può affermarsi che per  indizi si intendono "elementi a carico di natura logica o rappresentativa" che - contenendo "in nuce" soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono - di per sé - a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell'indagato (la commissione dell'illecito amministrativo da parte dell'ente nel nostro caso) e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (cfr. Cass. sez. un. 21.04.1995, Costantino e altro, Cass. pen. 1995, n. 1681).
Quanto detto non consente quindi di prendere in considerazione, quali indizi, mere congetture o sospetti ma richiederà la presenza di elementi che - sulla base dei criteri dettati dal decreto per affermare la responsabilità amministrativa dell'ente - consentano di ritenere altamente probabile tale responsabilità.
Il requisito della gravità andrà escluso laddove uno stesso fatto si rivelerà suscettibile di essere interpretato diversamente e tale diversa interpretazione si presenterà con attendibilità pari alla precedente.
- Criteri di accertamento dei gravi indizi.
Essendo la responsabilità dell'ente una conseguenza del reato per il quale è stato sottoposto ad indagini un soggetto in posizione apicale all'interno dell'ente o un soggetto in posizione subordinata ma sottoposto alla direzione o vigilanza di una persona in posizione apicale, ovvero una conseguenza del reato per il quale uno dei soggetti indicati sia stato - eventualmente - già condannato, l'accertamento positivo dei gravi indizi dovrà riguardare una serie di passaggi argomentativi che coinvolgeranno sia la responsabilità penale che quella amministrativa. L'attività di accertamento e valutativa si rivelerà quindi, per l'operatore del diritto, molto più articolata di quella ordinariamente necessaria per l'esame sulla sussistenza dei presupposti di una misura cautelare in sede penale.
Sarà infatti necessario verificare in positivo:
1.      la sussistenza di gravi indizi del reato che costituisce il presupposto dell'illecito amministrativo
2.      che il fatto sia stato commesso da soggetto in rapporto qualificato con l'ente e quindi o rappresentante, amministratore, dirigente dell'ente o di una sua unità organizzativa autonoma sotto il profilo finanziario e funzionale o comunque una persona che di fatto eserciti la gestione o il controllo dell'ente; ovvero da persona sottoposta alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti prima indicati;
3.      che le persone sopra indicate non abbiano agito nell'esclusivo interesse proprio o di terzi;
4.      ove il sia reato commesso da un soggetto in posizione subordinata, che la commissione del reato sia stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza;
Sarà inoltre necessario verificare in negativo:
1.      nel caso di reato commesso da soggetti in posizione apicale, che l'ente non abbia assolto all'onere della prova di dimostrare che l'organo dirigente ha adottato e efficacemente attuato prima della commissione del fatto modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, nonché che l'ente non abbia provato di aver affidato il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli  nonché di curare il loro aggiornamento a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo (art.6 co. 1° lett. a) e b) d. lgs. 231/01) a cui non possa muoversi alcun addebito di omessa o insufficiente vigilanza (art. 6 co. 1° lett c) d. lgs. 231/01).
2.      Ancora nel caso di reato commesso da soggetti in posizione apicale che le persone non abbiano commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione.
3.      Nel caso di reato commesso da soggetti sottoposti all'altrui direzione, che l'ente non abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi (art. 7 co. 2°).
Gli elementi ora indicati riguardano le modalità con cui si atteggia la responsabilità dell'ente secondo i canoni forniti dal decreto legislativo, nelle due diverse ipotesi di responsabilità da parte di un soggetto in posizione apicale ovvero da parte di soggetto sottoposto alla direzione e alla vigilanza di altri.
Il secondo presupposto indefettibile per l'applicazione  di misure interdittive in via cautelare è data dalla sussistenza di fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.
Si tratta di un profilo ripreso quasi identicamente dalle disposizioni in tema di misure cautelari personali dove, all'art. 274 lett c c.p.p. dove, tra le altre esigenze cautelari, è indicato il pericolo che l'indagato o l'imputato (la qualificazione dipende dal momento processuale in cui è disposta la misura, se sia o meno stata esercitata l'azione penale) commetta gravi reati della stessa specie di quello per cui si procede.
La ragione giustificatrice dell'individuazione di un'esigenza del genere appare chiara: poiché si tratta di un meccanismo di sostanziale applicazione anticipata della sanzione interdittiva, che altrimenti potrebbe costituire solo un effetto della decisione definitiva nei confronti dell'ente, la misura si giustifica solo in presenza di un pericolo concreto di reiterazione degli illeciti da parte dell'ente, al fine di paralizzare o ridurre l'attività di quest'ultimo quando la prosecuzione dell'attività possa agevolare la commissione di altri reati.
- Procedimento applicativo
Anche le modalità di applicazione sono ampiamente mutuate da quanto previsto dal codice di procedura penale per le misura cautelari personali.
L'iniziativa della richiesta appartiene al pubblico ministero (art. 44, co 1°) che presenta al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi gli elementi a favore dell'ente e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. Anche la previsione dell'esposizione di elementi "a favore" ricalca analoga previsione del codice di procedura penale sulle misure cautelari personali, dove il pubblico ministero nell'esporre al giudice gli elementi su cui si fonda la richiesta deve indicare "tutti gli elementi a favore dell'imputato nonché le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate" (art. 291 c.p.p.).
La richiesta viene presentata al giudice che procede: quindi giudice per le indagini preliminari nella fase delle indagini preliminari, nel corso degli atti preliminari al dibattimento il giudice già designato per lo stesso (il tribunale in composizione monocratica per i reati di truffa aggravata, truffa per il conseguimento di erogazioni pubblica e frode informatica, tribunale in composizione collegiale  per tutti gli altri). Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado la competenza all'emissione della misura appartiene al giudice che ha emesso la sentenza, durante la pendenza dell'eventuale ricorso per cassazione provvede invece il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.
Significativa differenza rispetto al sistema delle misure cautelari personali è costituita dall'obbligatoria fissazione dell'udienza da parte del giudice, ove la richiesta sia presentata fuori udienza. In tal caso il giudicante deve far dare avviso dell'udienza all'ente e ai difensori.  La notifica deve intervenire almeno cinque giorni prima della data fissata; difensori e pubblico ministero possono presentare memorie in cancelleria fino a tre giorni prima dell'udienza. Ovviamente gli atti sono depositati nella cancelleria del giudice e possono essere esaminati dai difensori dell'ente.
La presentazione della richiesta in udienza può avvenire oltre che nel corso dell'udienza preliminare, nel corso della discussione per la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'ente (eventualmente nel procedimento riunito per connessione dove si discute anche della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell'imputato), nel corso dell'udienza dibattimentale, ovvero nel corso del giudizio abbreviato o nell'udienza di applicazione della pena su richiesta, se effettuata nel corso delle indagini preliminari.
La misura interdittiva in via cautelare gode quindi di un contraddittorio anticipato sulla sua applicazione. In proposito nella relazione si afferma che "la natura e le caratteristiche dell'ente giustificano il ricorso al previo contraddittorio in vista della decisione sulla domanda del pubblico ministero", apparendo la dialettica tra le parti lo strumento più efficace per porre il giudice nella condizione di adottare - disponendo del maggior numero di conoscenze - una misura interdittiva dalle conseguenze particolarmente incisive sulla vita dell'ente e, allo stesso tempo, fornendogli anche gli strumenti per evitare i rischi di una decisione frutto di una visione parziale.
In realtà sembra che la forma del contraddittorio anticipato sia una strada obbligata per quelle ipotesi nelle quali la responsabilità dell'ente viene ritenuta  - per i reati  commessi da soggetti in posizione apicale - se l'ente non ha assolto a un onere della prova sullo stesso gravante: provare di aver adottato ed efficacemente attuato prima della commissione del fatto modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, che il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli nonché di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, che le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione.
Infatti, se pure l'accertamento in positivo delle circostanze indicate costituisce un onere a carico dell'ente, nell'evidente complessa articolazione degli elementi da provare - ove non fosse prevista una fase in cui l'ente possa trovarsi in contraddittorio con il pubblico ministero che ha avanzato la richiesta - il protagonista del procedimento per la responsabilità amministrativa non sarebbe neppure posto in condizioni di assolvere all'onere della prova su di lui gravante - per l'ipotesi di responsabilità penale a carico di soggetto in posizione apicale. Ne deriverebbe, in caso di mancato contraddittorio anticipato, la conseguenza aberrante che un'eventuale misura sarebbe adottata con un accertamento sulla responsabilità necessariamente parziale e sarebbe destinata in molti casi a essere revocata in conseguenza del successivo emergere di elementi idonei ad assolvere alla prova liberatoria indicata.
La complessità degli accertamenti necessari per l'applicazione cautelare delle misure interdittive consiglia di mantenere il procedimento relativo sempre riunito a quello teso ad accertare la responsabilità penale. Infatti, se pure la riunione dei due procedimenti non è obbligatoria, ove i due procedessero separati, in via ordinaria, diverrebbe decisamente impraticabile un'ipotesi di applicazione cautelare di misure interdittive, poiché - per affermare la sussistenza di gravi indizi - dovrebbero prima essere acquisiti tutti i dati necessari a individuare la responsabilità penale, il soggetto a cui questa sia riferibile, il rapporto dello stesso con l'ente e, quindi, aprire l'accertamento su tutti gli elementi necessari a configurare gli indizi di responsabilità amministrativa con conseguente aggravio di tempi e aumento di complessità.
- Ordinanza che dispone la misura interdittiva in via cautelare
Per il contenuto dell'ordinanza (art. 45 d. lgs. 231/2001) viene richiamata integralmente la disposizione del codice di procedura penale che riguarda le misure cautelari personali (art. 292 c.p.p.).
L'ordinanza deve quindi contenere :
a)      Gli elementi identificativi dell'ente;
b)      La descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate;
c)      l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione dell'illecito;
c ) l'esposizione dei motivi  per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa, (nonché, in caso di applicazione della misura dell'interdizione dall'esercizio dell'attività l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le altre misure risultano inadeguate, come si desume dall'art. 46, co. 3° dello stesso decreto).
d)      Data e sottoscrizione del giudice.
e) Sottoscrizione dell'ausiliario che assiste il giudice e sigillo ufficio.
In forza del richiamo contenuto nell'art. 45 del decreto in esame all'art. 292 c.p.p. deve ritenersi applicabile la sanzione di nullità (rilevabile anche d'ufficio) prevista per la mancanza di uno degli elementi sopra indicati.
Il richiamo indicato determina anche l'estensione all'ordinanza in esame dell'ipotesi di nullità di cui al comma 2 ter dell'articolo 292 c.p.p. laddove si afferma che l'ordinanza è sanzionata da nullità se non contiene la valutazione degli elementi a carico e a favore dell'imputato raccolti dal pubblico ministero e oggetto delle investigazioni difensive. In sede interdittiva deve quindi farsi riferimento specificamente agli elementi emersi oltre che dalla richiesta del pubblico ministero anche a quelli emersi nel corso dell'udienza (in cui sia stata presentata la richiesta o fissata a seguito di presentazione della richiesta).
Di particolare rilievo la previsione sulle modalità applicative della misura che devono essere indicate nell'ordinanza (art. 45, co 2° d. lgs. 213/2001).
Il decreto, all'art. 46, richiama inoltre l'applicazione dei criteri di adeguatezza e proporzionalità già fissati per le misure cautelari.
All'adeguatezza fa infatti riferimento il primo comma dell'articolo indicato laddove precisa che "nel disporre le misure cautelari, il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto".
La proporzionalità viene richiamata al secondo comma dello stesso articolo dove si prescrive che "Ogni misura cautelare deve essere proporzionata all'entità del fato e alla sanzione che si ritiene possa essere applicata all'ente".
E' in ogni caso esclusa la possibilità che le misure possano essere applicate congiuntamente (art. 46. 4° o. d. lgs. 231/2001).
Le misure sono sempre "a termine". Deve infatti esserne determinata la durata al momento in cui viene irrogata. Il decreto non fissa criteri per la durata della misura ma solo il termine massimo di un anno (art. 51, co 1° e 13 co. 2° d. lgs. 231/2001).
- Nomina commissario giudiziale
In luogo della misura interdittiva il giudice può nominare un commissario giudiziale e il riferimento va evidentemente inteso come operato a una misura interdittiva che determini l'interruzione dell'attività dell'ente. In tal caso il giudice dispone la prosecuzione dell'attività dell'ente da parte di un commissario per lo stesso periodo per il quale avrebbe applicato la misura (art. 45, co 3° d. lgs. 231/2001).
Per la nomina del commissario è comunque operato un richiamo all'art 15 dello stesso decreto e ciò fa ritenere che deve ricorrere almeno una delle seguenti condizioni:
1.      l'ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare grave pregiudizio alla collettività;
2.      l'interruzione dell'attività  dell'ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull'occupazione.
Il giudice deve indicare i compiti e i poteri del commissario (avuto riguardo alla specifica attività in cui è stato posto in essere l'illecito da parte dell'ente). Il commissario non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del giudice. Il commissario - nell'ambito dei compiti e dei poteri indicati dal giudice, cura l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di organizzazione e controllo idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (art. 15, co 3° d. lgs. 231/2001).
Problemi interpretativi sorgono in ordine alla destinazione da dare all'eventuale profitto derivato dalla prosecuzione dell'attività da parte del commissario giudiziale, nominato in luogo dell'applicazione della misura interdittiva. In via generale, quando la nomina del commissario tiene luogo della misura applicata con la sentenza di condanna, è prevista la confisca del profitto (art.15, co. 4° d. lgs.231/2001), ma la previsione costituisce evidente conseguenza della sanzione derivante da un accertamento di responsabilità. Al contrario, nel caso in cui il commissario sia stato nominato in luogo dell'applicazione cautelare della sanzione interdittiva, la confisca  del profitto rappresenterebbe una vera e propria anticipazione della sentenza di condanna e costituirebbe una rilevante contraddizione con la natura della misura cautelare caratterizzata da provvisorietà sia nei presupposti valutativi (sempre suscettibili di una diversa considerazione nel corso del giudizio vero e proprio) che nell'applicazione (per la temporaneità del provvedimento).
- Durata della misura cautelare dopo la sentenza di condanna in primo grado.
Dopo la sentenza indicata (è chiaro che ci si riferisce a un'applicazione successiva o contestuale alla sentenza di condanna visto che la durata della misura deve essere indicata dal giudice) la durata può coincidere con quella della corrispondente sanzione applicata con la sentenza ma non può comunque superare i 16 mesi (art. 51, co. 3° d. lgs. 231/2001).
In ogni caso la misura interdittiva applicata in via cautelare si computa, quanto a durata, nel periodo complessivo delle sanzioni interdittive applicate in via definitiva (art. 51, 4° co. d. lgs. 231/2001).
La durata decorre sempre dalla notifica dell'ordinanza.
-         Vicende relative alle misure cautelari
Sospensione (art. 49 d. lgs. 231/2001).
L'istituto è di nuova previsione e non ha collegamenti con le misure cautelari personali.
La sospensione viene discrezionalmente disposta (dal giudice che procede) se l'ente chiede di poter realizzare gli adempimenti a cui la legge condiziona l'esclusione di sanzioni interdittive:
a)      risarcimento integrale del danno e eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero adoperarsi efficacemente in tal senso;
b)      eliminazione delle carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi
c)      messa a disposizione il profitto conseguito ai fini della  confisca.
Il giudice in presenza della richiesta di sospensione deve acquisire il parere del pubblico ministero e, se ritiene di accogliere la domanda, determinare la cauzione  che l'ente deve depositare presso la Cassa delle ammende. Dispone quindi la sospensione della misura, indicando il termine per la realizzazione delle condotte riparatorie sopra indicate.
La cauzione non può essere inferiore alla metà della sanzione pecuniaria minima prevista per l'illecito per cui si procede.
E' possibile però che, in luogo della cauzione, venga prestata una garanzia mediante ipoteca o fideiussione solidale.
La previsione pone almeno due questioni per le quali l'interprete deve individuare una risposta.
1.      Trattandosi di un potere discrezionale da parte del giudice e non essendo dettati criteri per l'accoglimento della richiesta di sospensione deve ritenersi che la discrezionalità andrà esercitata con verifica della fondatezza della proposta dell'ente e accertamento sulla praticabilità delle soluzioni prospettate.
2.      Poiché la sanzione pecuniaria viene fissata attraverso le quote il cui importo deve essere individuato dal giudice tra un minimo e un massimo (tra lire 500.000 e lire 3.000.000), fermo l'ammontare massimo delle quote per ciascun reato, anche in sede cautelare il giudice dovrà fissare l'importo della quota sia pure limitatamente alla fase indicata.
Una terza questione appare invece di meno agevole soluzione.
Tra gli adempimenti che l'ente deve chiedere di poter realizzare, per ottenere la sospensione, si pone la messa a disposizione del profitto. La normativa non indica però in qual modo ciò si realizza. Le soluzioni possibili sono l'elaborazione - da parte dell'ente richiedente - di una valutazione pecuniaria a cui segua il deposito della somma corrispondente nella forma del deposito giudiziario ovvero la prestazione di una fideiussione per importo equivalente. L'assenza di specifiche previsioni apre però difficoltà operative non irrilevanti poiché - prima della richiesta di sospensione - il giudice, su richiesta dell'ente, dovrà determinare le modalità di "messa a disposizione del profitto" ovvero l'ente dovrà correre il rischio di adottare, di propria iniziativa, una soluzione suscettibile di mancata accettazione.
Se nel termine fissato le attività non vengono eseguite, vengono eseguite in maniera incompleta o sono inefficaci, la misura cautelare viene ripristinata e la somma depositata o per la quale è stata data garanzia viene devoluta alla Cassa delle ammende.
Se invece si realizzano le condizioni in vista delle quali è stata disposta la sospensione il giudice revoca la misura cautelare e ordina la restituzione della somma o la cancellazione dell'ipoteca. La fideiussione si estingue.
Revoca misure cautelari (art. 50, co. 1° d. lgs.231/2001)
Anche la revoca viene largamente mutuata, quanto a presupposti e modalità, dalle misure cautelari personali (art. 299 c.p.p.) .
Le misure vengono infatti anche d'ufficio quanto risultano mancanti - eventualmente per fatti sopravvenuti - le condizioni di applicabilità oppure quando sono state comunque effettuate quelle condotte riparatorie elencate all'art. 17 del decreto (anche in assenza della sospensione previamente richiesta).
Sostituzione misure cautelari (art. 50, co 2° d. lgs. 123/2001)
La disposizione ricalca solo in parte la corrispondente previsione di cui all'art. 299, co 2° c.p.p. per le misure cautelari personali.
Il presupposto è che le esigenze cautelari risultino attenuate ovvero la misura non appaia più proporzionata all'entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere applicata in via definitiva. Il giudice non può agire d'ufficio (di propria iniziativa) ma solo su richiesta del pubblico ministero o dell'ente. Al contrario, nelle misure cautelari personali, in talune ipotesi, il giudice in talune ipotesi può provvedere e, quindi, anche in assenza della richiesta del pubblico ministero o della persona interessata).
La sostituzione viene disposta irrogando misura meno grave (passando ad esempio dalla sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell'illecito al divieto di contrattare con la P.A. ovvero al divieto di pubblicizzare beni o servizi) ovvero con l'applicazione della stessa sanzione con modalità meno gravose, anche eventualmente incidendo sulla durata che viene ridotta. 
- Impugnazioni (art. 52 d. lgs. 231/2001)
In generale è prevista la possibilità di appello del pubblico ministero e dell'ente (per mezzo del suo difensore) contro tutti i provvedimenti in materia di misure cautelari con contestuale indicazione dei motivi.
Sull'appello decide in composizione collegiale il tribunale del capoluogo di provincia nell'ambito della quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento.
L'appello non ha efficacia sospensiva del provvedimento.
Il procedimento si svolge in camera di consiglio. L'autorità che procede deve trasmettere al tribunale, entro il giorno successivo alla richiesta, l'ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa si fonda.
La decisione deve intervenire nei 20 giorni dalla ricezione degli atti. 
Contro il provvedimento del tribunale il pubblico ministero e l'ente (sempre per mezzo del difensore) possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge.
Si pone come quesito da risolvere nella fase interpretativa la possibilità di proporre direttamente il ricorso per cassazione, come previsto per il decreto di sequestro emesso dal giudice dall'art. 325, 2°  c.p.p., trattandosi di disposizione richiamata dall'art. 52, co 2° d. lgs. 231/2001 ed essendo dettata una disposizione analoga per le misure cautelari personali nel codice di procedura penale all'art. 311, co. 2° c.p.p.

IL SEQUESTRO PREVENTIVO
Due articoli del decreto legislativo - 53 e 54 - sono dedicati rispettivamente al sequestro preventivo e al sequestro conservativo.
Il primo è consentito sul prezzo o sul profitto del reato considerando che la corrispondente disposizione del decreto fa riferimento alle "cose di cui è consentita la confisca" (ad eccezione evidentemente per la parte che può essere restituita al danneggiato).
Non vengono peraltro fissati presupposti autonomi del provvedimento - oltre al riferimento indicato alle "cose di cui è consentita la confisca". La disposizione in esame, infatti,  richiama solo le disposizioni del codice di rito (art. 321, dal co. 3° in poi c.p.p.) che riguardano il procedimento di applicazione della misura e l'autorità competente, non il comma 1° che fissa i presupposti del provvedimento. La scelta si giustifica evidentemente per il limitato ambito di operatività della misura, trattandosi di sequestro che ha ad oggetto solo le cose di cui è consentita la confisca  con esclusione di ogni riferimento ad esigenze preventive, non essendo contenuto alcun richiamo al pericolo che la cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le  conseguenze dell'illecito  ovvero agevolare la commissione di altri reati, come invece previsto per la corrispondente misura prevista dal codice di rito. 
In tal caso sembra piuttosto che il sequestro preventivo sia preordinato ad evitare la sottrazione o la dispersione delle cose di cui è consentita la confisca, all'esito dell'accertamento dell'illecito, con sostanziale attribuzione al termine "preventivo" di una prevalente valenza temporale  con esclusione di ogni scopo inibitorio sulla commissione di altri reati o sull'aggravamento delle conseguenze del primo.
Il sequestro può essere disposto in via d'urgenza da parte del pubblico ministero ovvero da parte della polizia giudiziaria (sui poteri della quale non è contenuto alcuna specifica disposizione nel decreto), con previsione di successiva convalida da parte del giudice ed emissione di decreto di sequestro nel termine di dieci giorni dalla ricezione della richiesta di convalida proveniente dal pubblico ministero. Quest'ultimo  deve richiedere la convalida nelle quarantotto ore dall'emissione del decreto, se lo ha emesso personalmente, e nelle quarantotto ore dalla ricezione del verbale se il sequestro è stato operato d'iniziativa dalla polizia giudiziaria.
Il sequestro diviene inefficace in caso di inosservanza dei termini indicati o comunque se il giudice non emette l'ordinanza di convalida nei dieci giorni dalla ricezione degli atti.
Avverso il decreto di sequestro è possibile il riesame. Sul punto è richiamata integralmente la disposizione del c.p.p. in tema di riesame del sequestro preventivo. Il riesame è quindi proponibile dall'ente, dal suo difensore, dalla persona a cui le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla sua restituzione. La competenza è attribuita allo stesso tribunale competente per le impugnazioni in materia di applicazione in via cautelare delle misure interdittive: tribunale del capoluogo di provincia nell'ambito della quale si trova il giudice che ha emesso il provvedimento.
Il pubblico ministero può proporre appello. L'appello avverso le ordinanze in materia di sequestro preventivo diverse dal provvedimento che lo dispone (eventuale ordinanza di rigetto di una richiesta di revoca) può inoltre essere proposto  dall'ente, dal suo difensore, dalla persona a cui le cose sono state sequestrate e da quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Sull'appello decide lo stesso tribunale del capoluogo di provincia.
Sia l'appello che la richiesta di riesame si presentano nel termine di dieci giorni decorrenti, per il riesame, dalla data di esecuzione del provvedimento  ovvero dalla diversa data in cui l'interessato ha avuto conoscenza dell'avvenuto sequestro. Il Tribunale deve decidere nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti. Il procedimento si svolge in camera di consiglio a cui possono partecipare il pubblico ministero, il difensore e chi ha proposto la richiesta.
I termini dell'appello decorrono dalla notificazione dell'ordinanza che ha adottato dei provvedimenti sul sequestro preventivo. Il procedimento si svolge come nell'altro caso e il tribunale deve adottare una decisione nel termine di venti giorni dalla ricezione degli atti.
Il sequestro conservativo
L'art. 54 del decreto fissa il presupposto del provvedimento in esame nella fondata ragione di credere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato. La disposizione è ricalcata sul primo comma dell'art. 316 del codice di procedura penale.
L'iniziativa della richiesta appartiene al pubblico ministero, in ogni stato e grado del processo di merito.
L'oggetto possono essere beni mobili o immobili dell'ente, somme o cose allo stesso dovute.
Il sequestro è disposto con ordinanza del giudice che procede e può anche essere adottato dopo che è stata emessa sentenza di condanna, di proscioglimento o di non luogo a procedere e la sentenza è suscettibile di impugnazione. In tal caso, prima della trasmissione  degli atti al giudice dell'impugnazione, provvede il giudice che ha pronunciato la sentenza, successivamente a questa fase la competenza appartiene al giudice dell'impugnazione. Prima che gli atti siano trasmessi al giudice del dibattimento provvede il giudice per le indagini preliminari.
L'esecuzione del sequestro conservativo avviene nei modi previsti dal codice di procedura civile per l'esecuzione del sequestro conservativo sui beni mobili o immobili.
L'ente può offrire cauzione idonea a garantire i crediti per il pagamento della sanzione pecuniaria e le spese processuali. Se l'offerta avviene il giudice può disporre che non si faccia luogo al sequestro e stabilisce le modalità della cauzione.
Le disposizioni del decreto in tema di applicazione cautelare delle misure interdittive - più che quelle riguardanti le ipotesi di sequestro preventivo e conservativo - pongono molteplici problemi interpretativi.
Certamente, come è stato più volte richiamato nel corso del lavoro, vengono mutuate largamente le corrispondenti previsioni del codice di rito sulle misure cautelari personali, ma l'applicazione degli stessi presupposti nel corso del procedimento instaurato per l'accertamento della responsabilità dell'ente, ponendosi quest'ultimo come procedimento in qualche modo "di linea derivata", rende l'applicazione cautelare delle misure decisamente più complessa e articolata rispetto a quelle da cui derivano.
Sembra quindi possibile prevedere - fin da ora - che ne risulterà un'applicazione limitata.
(Mariella Roberti)

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