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Appello Milano: confermata l'assoluzione ex art 6 di Impregilo

Ritenuta adeguata la motivazione sull'idoneità e l'efficacia del Modello organizzativo adottato.

 

 

Corte di Appello Milano, II, 18 giugno 2012

 

Ci si aspettava molto dalla sentenza di appello del noto "caso Impregilo", in relazione alle numerose opinioni critiche espresse in relazione alla sentenza di primo grado.

Opinioni che essenzialmente avevano messo in luce come il GUP non si fosse soffermato sui profili di effettiva attuazione del Modello (cfr. in questa Rivista, La prima applicazione dell'esimente ex art 6 (Caso Impregilo))

Tali doglianze concettuali si erano evidentemente tramutate in doglianze processuali nell'appello della Procura Generale, che evidenziava proprio la non necessaria interrelazione tra adeguatezza contenutistica del Modello e sua effettiva applicazione nell'attività dell'ente.

La motivazione sopra riportata, nel confermare l'assoluzione ex art 6 di Impregilo, non ha - ad avviso di chi scrive - approfondito le questioni menzionate.

Viene sostanzialmente ribadita - se non si erra - una "concezione formale" della compliance 231, che solo in parte può essere giustificata dal tempus commissi delicti, dalla prima fase applicativa del d.lg. 231, dal tipo di reato.

In secondo luogo, viene confermata una visione meno stringente di "elusione fraudolenta", che coincide con la violazione intenzionale del Modello, a prescindere dall'utilizzo di "artifizi e raggiri" (profilo prontamente rilevato da autorevole dottrina già in relazione alla sentenza di prime cure: Paliero, Responsabilità dell'ente e cause di esclusione della colpevolezza: decisione "lassista" o interpretazione costituzionalmente orientata?, Le Società, 4/2010, 481).

Soprattutto colpisce il passaggio in cui i Giudici ritengono difficile se non impossibile la dimostrazione dell'effettiva attuazione del Modello da parte della Società: "occorre evidenziare l'estrema difficoltà se non l'impossibilità di verificare come in concreto funzionasse il modello predetto all'interno della società".

In definitiva tutte le perplessità che la prima sentenza ha sollevato vengono riproposte da quella in commento.

Che non manca di aspetti interessanti, laddove, per esempio, sembra oscillare tra una tesi formale (esistenza di un documento modello preesistente al reato) e una (interessante, ma problematica) tesi sostanziale (diligenza preventiva extra modello), anche se alla fine deve per forza scegliere la prima ai fini dell'assoluzione.

Bisogna essere chiari: la difficoltà relativa all'onere probatorio è pacificamente stata evidenziata in dottrina, che ha, da sempre, parlato di probatio diabolica, specie in relazione alla dimostrazione dell'elusione fraudolenta.

Ecco perchè sono sembrati interessanti i progetti di riforma di cui si è parlato negli ultimi anni, volti ad eliminare l'inversione dell'onus a carico dell'ente.

Tuttavia, allo stato (e salve possibili critiche sulla conformità costituzionale della regola), è l'ente che deve dimostrare l'effettiva attuazione e a dover subire il rischio del non soddisfacimento dell'onere stesso.

Insomma occorreva, quantomeno, una dimostrazione (e un riscontro in motivazione) che la procedura venisse effettivamente applicata e che l'ODV effettivamente vigilasse.

A ben vedere il comportamento "impositivo" dei vertici apicali, lungi dall'integrare un'elusione fraudolenta, poneva un problema di tenuta e serietà della procedura evocata, che doveva essere portato all'attenzione di altri organi e soggetti da parte, specialmente, dell'ODV.

Sarebbe interessante verificare - nei termini senz'altro più angusti del sindacato di legittimità - l'opinione definitiva della Corte di Cassazione sul punto.

(Maurizio Arena)

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