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Tribunale Torino, 10 gennaio 2013: precisazioni su interesse e vantaggio nei reati ex art 25-septies

L'errore occasionale da parte del soggetto qualificato, non puo' essere sufficiente a fondare la responsabilita' dell'ente, se non affermando l'automatismo tra esercizio delle funzioni all'interno dell'impresa e perseguimento dell'interesse della stessa, affermazione che ad avviso del Giudice violerebbe il principio di colpevolezza.

 

Due sono le affermazioni di rilievo alle quali giunge il Tribunale nel disporre l'assoluzione della società in relazione alle contestate lesioni colpose:

1. Sono imputabili agli enti solo quei comportamenti delle persone fisiche psicologicamente diretti a perseguire un interesse dell’ente; in quest’ottica restano fuori dal campo tutta una serie di violazioni derivanti dalla semplice imperizia, dalla sottovalutazione dei rischi o anche dall’imperfetta esecuzione delle misure preventive previste, in quanto non frutto di esplicite deliberazioni volitive finalisticamente orientate a soddisfare un interesse dell’ente.

2. Con riguardo invece al requisito alternativo del vantaggio, esso appare strutturato in termini oggettivi, tant’è che si afferma esso vada verificato ex post, anche a prescindere dalla sussistenza di un profilo di colpevolezza soggettiva in capo all’autore del reato penale. Tuttavia anche in questo caso al fine di evitare surrettizie forme di responsabilità oggettiva, si ritiene che il vantaggio dell’ente possa configurare la responsabilità solo ove sia al contempo riscontrabile un profilo di c.d. “colpa nell’organizzazione”, giacchè appare necessario escludere dal novero delle ipotesi di responsabilità dell’ente tutti quei casi in cui un qualsivoglia vantaggio, si sia realizzato in maniera del tutto fortuita.

Va aggiunto che il Giudice ritiene che la responsabilità degli enti prevista dal D.lgs. n.231/2001 ha natura penale (malgrado formalmente il decreto parli di responsabilità amministrativa derivante da reato), sulla scorta di quanto sostenuto dalla dottrina maggioritaria e di quanto univocamente ricavabile dai principi espressi dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo circa la natura giuridica delle sanzioni e, quindi, degli illeciti per le quali sono comminate:

"La Corte di Strasburgo (le cui sentenze, come è noto, integrano il diritto vivente che promana dalla C.E.D.U.) ha, infatti, più volte ribadito che, per qualificare come “penale” una disciplina, non si deve adottare una visione formale e puramente nominalistica”, bensì si deve guardare agli effetti sostanziali che essa produce, ponendo l’accento su alcuni indicatori quali: la natura e lo scopo delle sanzioni adottate, la afflittività, le modalità di esecuzione, nonché la qualificazione giuridica scelta dall’ordinamento interno e le modalità di comminazione della stessa."

(Maurizio Arena)

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