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Importanti precisazioni sull'ambito di operatività dell'art 8 del d.lg. 231 sono contenute nella motivazione di Cass., VI, 7 luglio 2016 n. 28299.
La motivazione della sentenza d'appello non forniva elementi per risalire all'identità della persona fisica corruttrice per conto della società coinvolta, difettando pertanto uno degli elementi fondamentali della fattispecie complessa che può dar luogo alla responsabilità dell'ente ex d.lg. 231.
Ebbene, secondo la Cassazione, nel caso in esame non può soccorrere la previsione contenuta nell'art. 8 d.lg. 231/2001 sull'autonomia della responsabilità dell'ente.
Secondo questo principio l'ente è chiamato a rispondere dell'illecito anche quando l'autore del reato presupposto non è stato identificato. Invero, tra le ragioni all'origine dell'introduzione di forme di responsabilità diretta dell'ente c'è proprio quella di ovviare alle difficoltà di procedere all'individuazione dell'autore del reato nelle organizzazioni a struttura complessa, in cui più evidente appare il limite di un sistema che punti esclusivamente sull'accertamento della colpa della persona fisica: in questo modo il fattore umano non viene escluso dal tipo di responsabilità, ma si prende atto che la prevenzione del rischio-reato non è soltanto un problema di persone, ma soprattutto di organizzazione.
Va ribadito che la responsabilità dell'ente è autonoma da quella della persona fisica, ma non dalla obiettiva realizzazione di un reato.
Certo, nelle ipotesi prese in considerazione dall'art. 8 cit., soprattutto con riferimento al caso della mancata identificazione della persona fisica, può venire a mancare uno degli elementi del reato, cioè la colpevolezza del soggetto agente, ma quando si parla di autonomia ciò che deve precedere, in via pregiudiziale, l'accertamento della responsabilità dell'ente è sì il reato, ma inteso come tipicità del fatto, accompagnato dalla sua antigiuridicità oggettiva, con esclusione della sua dimensione psicologica.
In definitiva deve comunque essere individuabile a quale categoria appartenga l'autore non identificato del reato: se cioè si tratti di un soggetto c.d. apicale ovvero di un dipendente, con conseguente applicazione dei diversi criteri di imputazione e del relativo regime probatorio; allo stesso modo dovrà essere possibile escludere che il soggetto agente abbia agito nel suo esclusivo interesse, dovendo quindi risultare che il reato sia stato posto in essere nell'interesse o a vantaggio dell'ente.
Solo quando il giudice è in grado di risalire, anche a livello indiziario, ad una delle due tipologie cui si riferiscono gli artt. 6 e 7 d.lg. cit., potrà pervenire ad una decisione di affermazione della responsabilità dell'ente, anche in mancanza dell'identificazione della persona fisica responsabile del reato, ricorrendo, ovviamente, gli altri presupposti.
Su questi aspetti la sentenza impugnata non ha offerto alcuna motivazione, "rifugiandosi in affermazioni apodittiche circa la sicura responsabilità della società" coinvolta, laddove avrebbe dovuto fornire una spiegazione specifica in ordine agli elementi probatori idonei a dimostrare la responsabilità della società stessa in base al d.lg. 231.
La S.C. ne ha di conseguenza sancito l'annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano per nuovo giudizio.