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In base al disposto di cui all’art. 8, comma 9,
della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni, a decorrere
dal 1° gennaio 2000, i lavori pubblici possono essere affidati esclusivamente a
soggetti qualificati ai sensi dei commi 2 e 3 dello stesso articolo e non
esclusi dalle gare per inaffidabilità morale, finanziaria e professionale.
Già all’atto della qualificazione, le imprese, in
conformità all’art. 17 del D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, oltre che requisiti
economico-finanziari e tecnico-organizzativi, che qui non interessano, devono
dimostrare di possedere requisiti di carattere generale che attengono, più
propriamente, all’indicata affidabilità morale, economica e professionale
dell’esecutore.
Con determinazione 12 ottobre 2000, n. 47, l’Autorità per la vigilanza
sui lavori pubblici stabiliva quale dovesse essere la
“documentazione mediante la quale i soggetti che intendono qualificarsi
dimostrano l’esistenza dei prescritti requisiti d’ordine generale”.
Questi requisiti, inerenti all’affidabilità del contraente, oltre a dover
sussistere alla data di sottoscrizione del contratto per il rilascio
dell’attestazione di qualificazione, devono permanere al momento della
partecipazione alle specifiche procedure di affidamento
e di stipulazione dei contratti. Ai sensi dell’art. 75 del D.P.R. n. 554/1999,
nel testo introdotto dall’art. 2 del D.P.R. 30 agosto 2000, n. 412, vanno,
infatti, “esclusi dalla partecipazione alle
procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni e non possono stipulare
i relativi contratti” le imprese che versano in una delle situazioni di
incompatibilità ivi elencate (1).
In base al disposto di cui al già richiamato art. 8, comma 7, della legge
n. 109/1994 e successive modificazioni, il potere di esclusione
dalle gare, a decorrere dal 1° gennaio 2000, compete alle stazioni appaltanti
(2).
* . * . * .
Vanno esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento
degli appalti e delle concessioni di lavori pubblici e non possono stipulare i
relativi contratti i soggetti di seguito indicati.
a. “che si trovano in stato di fallimento, di
liquidazione coatta, di amministrazione controllata o di concordato preventivo
o nei cui riguardi sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di
tali situazioni” (art. 75, comma 1, lett. a)).
Appare evidente come la
disposizione riportata faccia riferimento a due distinte fattispecie: la prima
attinente all’ipotesi di conclamato dissesto economico dell’impresa, la
seconda, invece, concernente il caso in cui sia in corso un procedimento, ancorché
non concluso, per l’accertamento di tale situazione;
procedimento che, sulla base della prevalente giurisprudenza, può essere
considerato in corso qualora vi sia stata presentazione di apposita
istanza da parte del creditore.
Con riferimento, invece,
alla liquidazione coatta amministrativa, è da ricordare che essa può conseguire
ad accertamento giudiziale dello stato d’insolvenza con sentenza del tribunale,
ai sensi dell’art. 195 o dell’art. 202 della legge fallimentare (r.d. 16 marzo
1942 n. 267), ovvero a provvedimento amministrativo di liquidazione emanato ai
sensi dell’art. 197 della legge medesima.
L’amministrazione
controllata (art. 187 e s.s.), poi, presuppone una temporanea difficoltà
dell’impresa ad adempiere alle proprie obbligazioni, e
con il concordato preventivo (art. 160 e s.s.), è data all’imprenditore
insolvente la possibilità di evitare il fallimento quando pure ne sussistono
gli estremi (3).
b. “nei cui confronti è pendente procedimento per
l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’art. 3 della legge
27 dicembre 1956, n. 1423; (tale) divieto opera se la pendenza del
procedimento riguardi il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di
impresa individuale, il socio o il direttore tecnico se si tratta di società in
nome collettivo o in accomandita semplice, gli amministratori muniti di potere
di rappresentanza o il direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società”
(art. 75, comma 1, lett. b)).
Le misure di prevenzione di cui all’art. 3 della legge n. 1423/1956 sono:
l’applicazione di una misura di prevenzione personale (sorveglianza speciale di
pubblica sicurezza, con eventuale obbligo o divieto di soggiorno) ai sensi
della normativa relativa alle persone pericolose per
la sicurezza pubblica (legge n. 1423/1956, art. 3), ovvero ai sensi delle
disposizioni contro la mafia (legge 31 maggio 1965, n. 575, artt.
1 e 2), o a tutela dell’ordine pubblico (legge 22 maggio
1975, n. 152, art. 18 e 19).
Il procedimento è da ritenersi pendente quando sia avvenuta
l’annotazione della richiesta di applicazione della
misura nei registri di cui all’art. 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55, nel
quale è stabilito che presso le segreterie delle procure della Repubblica e
presso le cancellerie dei tribunali sono istituiti appositi registri per le
annotazioni relative ai procedimenti di prevenzione.
L’incapacità alla partecipazione alle gare ed alla stipulazione dei
contratti è prevista per la pendenza del procedimento, in quanto nel caso di avvenuta irrogazione di una delle
misure di prevenzione è applicabile l’art. 10, comma 2, della legge n. 575/1965
secondo cui il provvedimento definitivo di applicazione della misura di
prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni,
concessioni, iscrizioni, abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonché
il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiduciario, di
fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione e
relativi subcontratti, compresi i cottimi di
qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le
autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le iscrizioni sono cancellate a
cura degli organi competenti.
L’incapacità
a contrarre con la pubblica amministrazione, che deriva dall’applicazione di
una misura di sicurezza, non colpisce il solo destinatario, ma si può estendere
ai conviventi ed agli enti di cui il soggetto è rappresentante o gestore: ai
sensi del comma 4 del citato art. 10 della legge n. 575/1965, il tribunale
dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei
confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di
prevenzione nonché nei confronti di imprese,
associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di
prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e
indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di cinque anni.
L’articolo
10, comma 5 ter della legge n.
575/1965, stabilisce altresì che le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si
applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva
o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello,
per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3 bis, del codice di procedura
penale (4).
Ad
integrazione delle disposizioni commentate va, infine, richiamato il disposto
di cui all’art. 4 del D.Lgs. 8 agosto 1994 n. 490, in
base al quale le pubbliche amministrazioni, gli enti pubblici e gli altri
soggetti aggiudicatori devono acquisire informazioni
prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti d’importo superiore
alla soglia comunitaria ovvero, per i subcontratti,
d’importo superiore a 200 milioni di euro.
C. “nei
cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato,
oppure di applicazione della pena su richiesta, ai
sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati che incidono
sull’affidabilità morale e professionale”; “il divieto opera se la
sentenza è stata emessa nei confronti del titolare o del direttore tecnico, se
si tratta di impresa individuale; del
socio o del direttore tecnico, se si tratta di impresa in nome collettivo o in
accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o
del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio”. “In
ogni caso il divieto opera anche nei confronti dei soggetti cessati dalla
carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa non dimostri di avere adottato
atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”.
“Resta salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 178 del codice penale (concernente
la concessione della riabilitazione) e dell’art. 445, comma 2, del codice di
procedura penale” (riguardante l’estinzione del reato per decorso del
termine) (art. 75, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 554/1999 e successive
modificazioni).
A parte la disposta equiparazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta, emessa ai sensi
dell’art. 444 codice di procedura penale (c.d. patteggiamento), alla sentenza
di condanna vera e propria, particolarmente complessa è l’individuazione dei
reati che sono considerati incidenti sull’affidabilità morale e professionale
dell’imprenditore e delle modalità attraverso le quali può essere dimostrata la
mancata ricorrenza della condizione in esame (5).
Quanto alla prima delle indicate questioni, va
richiamata la determinazione dell’Autorità n. 56 del 13 dicembre 2000 che,
concordando con le indicazioni di cui alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 1° marzo 2000, n. 182/400/93, ha
ritenuto che influiscono sull’affidabilità morale e professionale del
contraente i reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la
fede pubblica ed il patrimonio, se relativi a fatti la cui natura e contenuto
siano idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con le stazioni
appaltanti per la loro inerenza alle specifiche obbligazioni dedotte in
precedenti rapporti con le stesse.
La mancanza, tuttavia, di parametri fissi e
predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio
spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un
apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti
gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale,
quali ad. es. l’elemento psicologico, la gravità del
fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive (6).
Analogamente ed all’opposto, non potrà essere fatta alcuna valutazione
discrezionale della concreta fattispecie, dovendosi automaticamente escludere
il concorrente, nel caso di ricorrenza delle ipotesi di cui all’art. 32 quater codice penale (malversazione, corruzione, etc.),
implicante una “incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”,
nonché di quella di irrogazione di sanzione interdittiva nei confronti della persona giuridica emessa
ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001
n. 231 per reati contro la pubblica amministrazione o il patrimonio commessi
nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica medesima.
La disposizione in esame non fa riferimento
esplicito alle condanne inflitte con decreto penale. Al riguardo, in conformità
all’orientamento del giudice amministrativo di appello
(Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2002, n. 5523), le
condanne che incidono sull’affidabilità morale e professionale,
indipendentemente dalla modalità di irrogazione della sanzione, stante la
formula generica adoperata dall’art. 75, consentono all’Amministrazione una
valutazione discrezionale del caso concreto per stabilire la rilevanza o meno
di una data condanna penale, ancorché questa sia estranea alla qualità
dell’imprenditore. Dal che consegue l’obbligo per il partecipante alle gare di
dichiarare anche i decreti penali di condanna (7).
Sotto il
profilo soggettivo giova ricordare che il divieto di cui al punto in esame
opera se la sentenza è stata emessa nei confronti del titolare o del direttore
tecnico se si tratta di impresa individuale, del socio
o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo o in
accomandita semplice, degli amministratori muniti del potere di rappresentanza
o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio.
Il
divieto medesimo opera anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica
nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di
gara, qualora l’impresa non dimostri di
avere adottato atti o misure di completa dissociazione dalla condotta
penalmente sanzionata.
Secondo la Determinazione n.
13/2003, sarebbe irrilevante la circostanza che la condanna
dell’amministratore o del direttore tecnico sia intervenuta per fatti
antecedenti alla data di assunzione nell’incarico, ovvero per fatti non correlati ad eventuale
interesse o vantaggio dell’impresa.
Non risulterebbe ostativa a questa interpretazione – sempre
secondo l’Autorità - la normativa sulla c.d. responsabilità amministrativa
delle persone giuridiche (ex d.lg. n. 231/2001).
Se è vero, infatti, che la responsabilità dell’ente può
essere riconosciuta soltanto con riferimento a reati commessi nel suo
interesse od a suo vantaggio, è altrettanto vero, tuttavia, che di una tale
limitazione non vi è traccia nel citato art. 75, comma 1, lett. c), del
D.P.R. n. 554/1999 e s.m.,
il quale estende all’impresa l’affievolimento, derivante dalla sentenza penale
di condanna, della moralità occorrente per la partecipazione alle gare
d’appalto.
Ciò in quanto la condanna penale dei titolari, amministratori o
del direttore tecnico delle imprese, ai sensi dell’art. 75, comma 1,
lett. c), del D.P.R. n. 554/1999 e s.m. costituisce circostanza incidente
sull’affidabilità morale dell’impresa nel suo complesso: per la rilevanza ed il
ruolo del condannato nell’organizzazione aziendale e per le decisioni da esso assunte, la “moralità” complessiva dell’impresa verrebbe
ad attenuarsi con conseguente limitazione della capacità alla partecipazione
alle gare ed alla stipulazione dei contratti di appalto (8).
Sussiste preclusione alla partecipazione alle gare anche in ipotesi di condanne del direttore tecnico o amministratore in epoca anteriore all’assunzione in carica nell’impresa, ritenendosi, quindi, ininfluente il fatto che la condanna dello stesso sia o meno temporalmente e funzionalmente correlata alla carica ricoperta in seno all’impresa. Così come sembra ininfluente la circostanza che l’impresa abbia cessato di avvalersi dell’amministratore o del direttore tecnico condannati, a meno che non dimostri di averli per tale ragione estromessi dall’incarico, dando così prova di dissociazione dalla relativa condotta criminosa.
(continua)
(Maurizio
Arena)
NOTE
(1) Situazioni di incompatibilità le quali, in
caso di partecipazione di imprese associate ovvero tra loro consorziate o che
intendano associarsi o consorziarsi, rilevano per tutte le imprese facenti
parte dell’associazione o consorzio, in quanto la collaborazione tra le
imprese, tipica di detti fenomeni, non può implicare una deroga alla regola
della necessaria affidabilità morale, professionale e tecnica di tutti i
soggetti contraenti a qualsiasi titolo con l’amministrazione.
(2) Va poi richiamata, per completezza di analisi,
la disciplina relativa al “Casellario informatico delle imprese
qualificate”, nel quale vanno inseriti dati e notizie concernenti le
imprese e rilevanti al fine della ammissione alle gare e che “sono a
disposizione di tutte le stazioni appaltanti per l’individuazione delle imprese
nei cui confronti sussistono cause di esclusione dalle procedure di affidamento
di lavori pubblici” (art. 27, comma 5, D.P.R. n. 34/2000).
(3) La possibilità di esclusione dalle gare e dalla stipulazione dei contratti
dovrebbe ritenersi sussistere anche nell’ipotesi dell’amministrazione
straordinaria, di cui al D.Lgs. 8 luglio 1999, n.
270, in quanto vi fa riferimento implicito l’art. 24
della direttiva 93/37/CE, secondo cui può essere escluso dalla partecipazione
all’appalto ogni imprenditore che sia in stato di fallimento, di
liquidazione, di cessazione dell’attività, di regolamento giudiziario o di
concordato preventivo o in ogni altra analoga situazione risultante da
una procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e
regolamentazioni nazionali.
(4) delitti, consumati o tentati, di cui agli articoli 416 bis
(associazione a delinquere di tipo mafioso) e 630
(sequestro di persona a scopo di estorsione) del codice penale, per i delitti
commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416 bis ovvero
al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso
articolo, nonché per i delitti previsti dall’art. 74 T.U. approvato con D.P.R.
9 ottobre 1990, n. 309 (associazione finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti).
(5) DETERMINAZIONE n. 13/2003
del 15 luglio 2003
(6) Siffatta discrezionalità è, in parte, limitata dalla previsione della
norma secondo cui è fatta salva, in ogni caso, l’applicazione degli artt. 178 del codice penale e 445 del codice di procedura
penale, riguardanti, rispettivamente, la riabilitazione e l’estinzione del
reato per decorso del tempo nel caso di applicazione
della pena patteggiata.
(7) Dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere
discrezionale di valutazione dei reati degli interessati, si deve dare contezza
con idonea e congrua motivazione; motivazione ancor più puntuale nei casi di
decreto penale di condanna ex art. 459 c.p.p., atteso che in tale ipotesi l’applicazione della pena
avviene eccezionalmente per reati di particolare tenuità che comportano
l’irrogazione di una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di pena
detentiva, per cui la condanna inflitta con il rito del decreto penale non fa
emergere elementi particolarmente sintomatici di una scarsa moralità
professionale. (Cons. Stato, sez. V, 18 ottobre 2001, n. 5517).
(8) Come rilevato dalla giurisprudenza, tale limitazione si
protrae per i tre anni successivi dalla cessazione della carica del soggetto
condannato, con la possibilità, tuttavia, per l’impresa interessata e con
riferimento a detto triennio di interrompere il nesso di identificazione
adottando “atti o misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente
sanzionata” tenendo conto, in particolare, che il recupero dell’affidabilità
dell’impresa non avviene automaticamente per effetto della semplice
sostituzione del soggetto inquisito, occorrendo al riguardo anche una completa
dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata al fine di evitare una
considerazione negativa per il triennio antecedente la data di pubblicazione
del bando di gara come precisato nella seconda parte dell’art. 75, comma
1, lett. c) D.P.R. n. 554/1999 (Cons. Stato, sez. V,
12 ottobre 2002, n. 5523).